Medicina integrata

Una molecola naturale contrasta alcuni problemi legati alla sindrome di Down

HealthDesk - Gio, 05/08/2025 - 19:37
Lo studio

Un polifenolo di origine vegetale, la polidatina, sembra in grado di riattivare l'attività bioenergetica dei mitocondri riducendo la produzione eccessiva di radicali dell'ossigeno e può inoltre prevenire i danni al Dna e l’invecchiamento cellulare causati da stress ossidativo indotto con stimoli esterni: questa attività di prevenzione dal danno ossidativo avviene sia nelle cellule con sindrome di Down sia in quelle sane.

A questo risultato è giunto uno studio dell’Istituto di biomembrane, bioenergetica e biotecnologie molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche di Bari (Cnr-Ibiom), pubblicato su Free Radical Biology and Medicine.

La sindrome di Down è patologia provocata da una particolare alterazione cromosomica, ovvero la presenza di una triplice copia (trisomia) del cromosoma 21, che ogni anno colpisce circa 3.000-5.000 bambini nel mondo (uno su mille neonati, secondo dati della World Health Organization).

La polidatina è un estratto dalla pianta Polygonum cuspidatum, usato da secoli nella medicina tradizionale asiatica, di cui sono già note le proprietà antinfiammatorie e antiossidanti.

«L’idea è quella di utilizzarla come integratore alimentare per gestire alcuni dei sintomi della sindrome di Down – spiega Rosa Anna Vacca, del Cnr-Ibiom - da somministrare già nella primissima infanzia. Benchè siano diversi i composti naturali di origine vegetale che oggi vengono proposti nel trattamento della patologia, siamo convinti che la polidatina possa diventare un candidato ideale per applicazioni cliniche future legate alla prevenzione dei disturbi associati alla sindrome: ha, infatti, dimostrato di non avere effetti tossici collaterali e in più è stabile, idrosolubile, e si distribuisce meglio nel nostro corpo. Inoltre – aggiunge - è un precursore del resveratrolo, un altro composto naturale noto per i suoi effetti benefici in particolare come coadiuvante nel trattamento di malattie neurologiche».

Grazie a questa ricerca, effettuata su cellule provenienti da aborti spontanei di feti in parte caratterizzati da trisomia 21 e in parte sani, è stato possibile comprendere anche un altro meccanismo d'azione della polidatina: «È in grado di “abbassare” i livelli di miR-155 – precisa Apollonia Tullo del Cnr-Ibiom - una piccola molecola di RNA che “bersaglia” geni coinvolti in aspetti fondamentali delle funzioni mitocondriali, come la bioenergetica mitocondriale, il controllo della qualità dei mitocondri e la loro formazione. In pratica, avviamo rivelato che quando il livello di miR-155 è troppo alto, come nel caso della sindrome di Down, perché espresso dal cromosoma 21 che è in triplice copia, la polidatina riesce ad “abbassarlo”, riportandolo a valori normali, e contribuendo a riattivare questi geni importanti, che preservano le funzioni mitocondriali e cellulari».

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Tumore del polmone: la Commissione europea approva tislelizumab

HealthDesk - Gio, 05/08/2025 - 19:36
Farmaci

BeOne Medicines ha annunciato che la Commissione europea ha approvato tislelizumab in combinazione con chemioterapia a base di etoposide e platino come trattamento di prima linea dei pazienti adulti con tumore del polmone a piccole cellule di stadio esteso (ES-SCLC).

«Il tumore del polmone a piccole cellule in stadio esteso è notoriamente difficile da trattare per la sua natura aggressiva – sottolinea Silvia Novello, presidente di Women Against Lung Cancer in Europe (WALCE), direttrice dell'Oncologia medica all’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano e professoressa di Oncologia medica all’Università di Torino - e necessita di nuove opzioni terapeutiche. I risultati dello studio RATIONALE-312 mostrano che tislelizumab più chemioterapia ha migliorato la sopravvivenza rispetto al trattamento con placebo più chemioterapia, evidenziando la capacità di offrire migliori risultati per i pazienti eleggibili».

Lo studio (su 457 pazienti) ha raggiunto l’endpoint primario, mostrando un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza globale (OS) con tislelizumab in combinazione con chemioterapia, rispetto a placebo più chemioterapia nella popolazione intent-to-treat (ITT). Come riportato nel Journal of Thoracic Oncology, all’analisi finale prevista dal protocollo, la OS mediana è risultata di 15,5 mesi per tislelizumab con chemioterapia rispetto a 13,5 mesi per placebo più chemioterapia, con una riduzione del 25% del rischio di morte. Tislelizumab più chemioterapia è stato generalmente ben tollerato e non sono stati identificati nuovi segnali di sicurezza.

«In meno di due anni, tislelizumab è stato approvato in quattro patologie distinte nell’Unione Europea – ricorda Mark Lanasa, Chief Medical Officer, Solid Tumors in BeOne Medicines - sottolineando la sua capacità di produrre miglioramenti della sopravvivenza clinicamente significativi e un profilo di sicurezza ben caratterizzato in vari tipi di tumori. La nostra comprovata esperienza con le registrazioni di tislelizumab in 45 Paesi rafforza il nostro impegno a offrire trattamenti innovativi al maggior numero possibile di persone affette da cancro».

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Egualia: «Trovare baricentro tra riforma legislazione Ue e governance nazionale»

HealthDesk - Gio, 05/08/2025 - 12:32
Farmaci

«Per dare risposta alle difficoltà che travagliano il comparto italiano dei farmaci fuori brevetto (equivalenti e biosimilari per primi) e mettono a rischio la sostenibilità di moltissimi medicinali, anche essenziali, non va arrestata la riforma della legislazione europea del settore - soprattutto la nuova clausola Bolar - e vanno adottati almeno tre interventi urgenti sul fronte interno. bisogna eliminare il payback dell’1,83% sulla spesa farmaceutica convenzionata; introdurre un fattore di correzione sul payback per gli acquisti diretti che tenga conto del risparmio generato dal ruolo pro-concorrenziale dei farmaci equivalenti e biosimilari acquistati tramite gara e adottare il modello dell’accordo quadro multi-aggiudicatario per le gare d’acquisto dei farmaci fuori brevetto di sintesi chimica, con una definizione preventiva delle quote per ciascuno dei tre aggiudicatari». È quanto ha affermato Stefano Collatina, presidente di Egualia, l’associazione delle aziende produttrici di farmaci equivalenti e biosimilari, intervenuto oggi al convegno su “La nuova legislazione farmaceutica UE e la governance italiana: impatti e prospettive”. 

«Il dibattito sulla riforma farmaceutica Ue è vicino ad un punto di svolta con il prossimo voto da parte del Consiglio di norme che puntano a coniugare innovazione, equità e sostenibilità dei sistemi sanitari europei di cui i farmaci fuori brevetto rappresentano un pilastro insostituibile, mentre la governance farmaceutica nazionale è ancora in attesa di trovare un nuovo assetto capace di garantire appropriatezza delle cure a tutti i cittadini», ha aggiunto Collatina. «Per questo è indispensabile trovare al più presto un baricentro accettabile tra regole Ue e governance nazionale».

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L’Ai incontra la chimica per progettare nuovi farmaci per malattie rare

HealthDesk - Gio, 05/08/2025 - 12:24
Innovazione Tuccinardi_Piazza copia.jpeg La prima firmataria dello studio Lisa Piazza e Tiziano Tuccinardi, professore di docente di Chimica farmaceutica all'Università di Pisa

Creare nuovi farmaci in modo più veloce e mirato, anche per malattie rare o complesse è l’obiettivo di un progetto di ricerca internazionale coordinato dalle Università di Pisa e di Bonn ce usa a questo scopo i cosiddetti “chemical language models”, modelli linguistici ispirati a quelli usati nei chatbot come ChatGPT, capaci di leggere e scrivere il linguaggio molecolare.

«L’obiettivo è quello di superare i limiti delle tecniche tradizionali nella progettazione di nuovi farmaci, generando in modo automatico molecole chimicamente corrette, strutturalmente originali e potenzialmente bioattive, a partire da frammenti», racconta il coordinatore dello studio Tiziano Tuccinardi.

Nello studio illustrato sull’European Journal of Medicinal Chemistry, i ricercatori hanno addestrato tre modelli di Ia per “tradurre” frammenti chimici (strutture centrali, gruppi sostituenti o combinazioni di entrambi) in nuove molecole a partire da enormi dataset di molecole bioattive.

«La ricerca rappresenta un salto qualitativo nell'uso dell'Ia per la chimica e la farmacologia aprendo la strada a una generazione automatica e intelligente di molecole, con impatti potenziali su sanità, industria e ricerca. Non si tratta solo di accelerare i processi, ma di immaginare strutture molecolari che la mente umana difficilmente può concepire”, continua Tuccinardi.

 «In linea con i principi di scienza aperta il codice sorgente e i dataset utilizzati nello studio sono stati resi pubblicamente disponibili, a beneficio della comunità scientifica», conclude Tuccinardi. «Ma soprattutto, il progetto segna un traguardo importante: da oggi, anche all’Università di Pisa, è possibile generare automaticamente nuove molecole bioattive, un passo concreto verso una progettazione molecolare più rapida, innovativa e accessibile», conduce. 

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Domenica 11 maggio tornano le Azalee della Ricerca di Airc

HealthDesk - Gio, 05/08/2025 - 11:24
L'appuntamento AIRC_AZA24_Piazza Piemonte @Stefano De Grandis (41).jpg.jpeg

Domenica 11 maggio, in occasione della Festa della Mamma, torna l’Azalea della Ricerca di Airc. Migliaia di volontari saranno impegnati a distribuire 600 mila piantine a fronte di una donazione minima di 18 euro. L’Azalea è disponibile anche su Amazon. Tutte le informazioni e i punti di distribuzione su azaleadellaricerca.it

Nata nel 1984, prima campagna di raccolta fondi sulle piazze, L’Azalea della Ricerca continua a rappresentare l’appuntamento di riferimento per festeggiare le mamme e le donne con un fiore, diventato un vero e proprio simbolo della salute al femminile. Questa iniziativa ha consentito ad AIRC di raccogliere fondi per garantire continuità a medici e ricercatori impegnati ad affrontare i tumori che colpiscono le donne. L’appuntamento è anche l’occasione per promuovere l’importanza della prevenzione e raccontare i più importanti traguardi raggiunti dalla ricerca oncologica. In piazza, insieme alla piantina sarà distribuita una pubblicazione speciale sui tumori che colpiscono le donne, con testimonianze e informazioni utili per sfatare molti falsi miti.

In Italia solo lo scorso anno si sono stimate 175.600 nuove diagnosi nel genere femminile. I tumori più frequenti tra le donne sono quelli della mammella (53.065 nuovi casi), del colon-retto (21.233), del polmone (12.940), dell’utero (8.652), della tiroide (8.322), del pancreas (6.712), il linfoma non-Hodgkin (5.950), il melanoma cutaneo (5.872), il cancro della vescica (5.789) e dello stomaco (5.512), secondo i dati AIOM-AIRTUM.

Oggi in Italia 2 donne su 3 che si ammalano di tumore sono vive a cinque anni dalla diagnosi grazie ai costanti progressi della ricerca che hanno reso disponibili metodi per diagnosi sempre più precoci, approcci chirurgici meno invasivi e terapie più precise, mirate e meglio tollerate. Esistono però da questo punto di vista notevoli differenze tra i diversi tipi di tumore: dopo un cancro al seno l’88% circa delle donne è viva a cinque anni dalla diagnosi mentre per le donne colpite da un tumore ginecologico le percentuali sono del 79% circa per il tumore del corpo dell’utero, 68% per la cervice uterina e 43% per l’ovaio. La diagnosi precoce ha un ruolo fondamentale nell’aumentare le probabilità di superare la malattia. Nel tumore dell’ovaio, per cui ancora non esistono test specifici per la diagnosi precoce, l’80% circa dei casi viene identificato quando la malattia è già progredita, riducendo notevolmente le probabilità di guarigione. Gli scienziati stanno lavorando al miglioramento delle cure con la messa a punto di nuovi chemioterapici. Tra i composti recenti vi sono alcuni prodotti naturali come un potente maitansinoide estratto da una pianta veicolato da anticorpi che lo concentrano nel tumore. Ed è a volte usata in seconda linea la trabectedina, di origine marina, sviluppata da Maurizio D’Incalci e dal suo gruppo, oggi presso IRCCS Istituto Clinico Humanitas, grazie al sostegno continuativo di AIRC. Inoltre si sta studiando l’introduzione di terapie a bersaglio molecolare, usate sia come prima linea di trattamento, sia in caso di recidiva. E si stanno cercando metodi innovativi per la diagnosi precoce (La fonte sui numeri di incidenza e mortalità è “I numeri del cancro in Italia 2024” a cura di AIOM-AIRTUM).

Sono sempre più numerose le testimonianze di persone che superano la malattia come Roberta, 37 anni di Rieti, alla quale nella primavera del 2010 è stato diagnosticato un linfoma di Hodgkin: “Ho affrontato un percorso complesso senza mai abbattermi nonostante la chemioterapia, la perdita dei capelli, il ritorno della malattia, il trasferimento a Milano e il trapianto di midollo. Ho provato sulla mia pelle l'importanza della ricerca: le mie terapie erano frutto di studi, sperimentazioni e innovazione. Sono stata seguita da specialisti di altissimo livello che mi hanno mostrato anche il lato umano di questo settore, fatto da medici empatici, vicini al letto del paziente e non chiusi nei loro laboratori”. Accanto a Roberta c’è sempre stata mamma Carla: “La notizia della diagnosi ha fermato tutto il resto. Abbiamo attraversato insieme un lungo tunnel cercando di seguire la lucina in fondo. La cosa peggiore è la sensazione di impotenza, quella per un genitore è devastante, non ti resta che affidarti completamente ai medici e andare avanti con fiducia”. 

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Stili di vita e cancro: le giovani donne pagano il prezzo più alto

HealthDesk - Mer, 05/07/2025 - 18:56
Il Convegno

Il 45% dei tumori mammella è causato da quantità inferiori ai 20 grammi di alcol al giorno, mentre la combinazione di alcol e fumo aumenta di 35 volte il rischio di cancro orale.

Di cifre come queste cifre si è parlato nell'incontro organizzato a Roma mercoledì 7 maggio in un convegno organizzato dal Medical Observatory on Harm Rediction (MOHRE).

I dati presentati sono allarmanti: un'analisi condotta nel 2024 dai ricercatori dell'Università di Tor Vergata sul database USA SEER22 (10 milioni di casi oncologici dal 2020 al 2022) ha rivelato che alcuni tipi di cancro stanno aumentando significativamente tra le donne più giovani.

Per esempio, l'incidenza del tumore del pancreas (uno dei più temibili) nelle giovani tra 18 e 34 anni è aumentata del 6,22% rispetto al 4,4% nei maschi della stessa età. Nella fascia 18-26 anni, le femmine hanno registrato un aumento del 9,37% dei casi rispetto al 4,43% dei maschi.

Altri tumori mostrano lo stesso trend: il cancro dello stomaco +2,37% nelle donne rispetto al -0,17% nei maschi; mieloma +2,82% nelle donne contro il -0,16% nei maschi; tumore del colon-retto +6,18% nelle femmine rispetto al +5,15% nei maschi (nella fascia 18-26 anni)

«Negli ultimi dieci anni abbiamo osservato un incremento generale dell'incidenza di tumori aggressivi tra i giovani – sottolinea Maria Rita Noviello, oncologa responsabile dell'Unità Screening promozione della salute e stili di vita della Asl Roma 3 - con una disparità di genere a svantaggio delle donne: aumento di quelli di polmone, vescica e mammella, ma non solo. Li hanno chiamati 'tumori a insorgenza precoce”. Negli ultimi decenni – prosegue - il divario di tabagismo tra maschi e femmine si è drasticamente ridotto ed è cresciuta progressivamente la dipendenza tabagica nel genere femminile, causando un aumento della mortalità femminile per patologie fumo correlate, come il tumore del polmone, vescica e mammella».

«Se tradizionalmente erano gli uomini ad avere una salute e stili di vita peggiori – ricorda Johann Rossi Mason, direttrice MOHRE - nuovi dati ci raccontano una storia di vulnerabilità femminile: tra le donne tra i 15 e i 34 anni sono comparsi tumori sempre più aggressivi. Si tratta di un gap inatteso – aggiunge - a cui rispondere sia sui singoli che a livello di strategie di salute pubblica come campagna educative, screening su popolazione a rischio, campagne vaccinali come quella per l’Hpv che sta contribuendo alla diminuzione dei tumori della cervice. Le malattie non possono essere considerate una responsabilità o una “colpa” individuale e la salute deve essere “costruita” con l'aiuto di tutti e con strategie che tengano conto delle scienze comportamentali e della riduzione del rischio, con una spinta “gentile” verso i comportamenti corretti».

L'alcol, però, «dilaga tra le donne – avverte Emanuele Scafato, direttore dell'Osservatorio nazionale alcol dell'Istituto superiore di sanità - in particolare seguendo un modello di consumo fuori pasto, una tendenza incessante da dieci anni. Aperitivi e happy hour hanno contribuito a consolidare una delle tendenze più pericolose che le donne potrebbero seguire, l'assunzione di maggiori quantità di alcol che l'organismo femminile non può metabolizzare. Importante sarebbe, in occasione delle iniziative di prevenzione del cancro del seno, tipo “ Race for the cure”, diffondere alle donne il messaggio che anche la moderazione è a rischio».

Basti pensare che il secondo bicchiere di un alcolico aumenta del 27% il rischio di cancro della mammella, quanto più precoce e prolungato è il consumo, mentre il consumo “pesante” (tre o più drink al giorno) è associato a un aumento del rischio del 40-50%. Non solo: l'alcol aumenta i livelli di estrogeni e gli estrogeni possono esercitare il loro effetto cancerogeno sul tessuto mammario. E l'International Agency for Research on Cancer (IARC) stima in oltre 3.200 i nuovi casi di cancro al seno tra le donne in Italia, di cui 1.400 (cioè il 45%) causati da quantità inferiori ai 20 grammi di alcol al giorno.

L'accoppiata fumo e alcol, rileva quindi Fabio Beatrice, direttore del Board scientifico MOHRE «aumenta il rischio di ammalarsi di tumori della testa e del collo e dell'esofago. In più l'uso combinato rafforza la dipendenza dalle due sostanze. Il tumore della bocca rappresenta il rischio più allarmante: i fumatori hanno una probabilità sei volte maggiore di svilupparlo rispetto a chi non fuma, pericolo analogo per chi consuma regolarmente alcolici, ma quando il consumo è combinato, il rischio aumenta di 35 volte».

Simona Saraceno, presidente Andos Roma, ricorda infine che «alle persone nei gruppi più svantaggiati viene generalmente diagnosticato il cancro in una fase successiva rispetto a quelli meno svantaggiati, indicando ancora una volta che il gradiente socioeconomico può essere un fattore importante da considerare in relazione alla consapevolezza del fattore di rischio. In questo senso possiamo dire che non piove, ma “diluvia sul bagnato” delle donne che si ammalano prima, ma si curano più tardi e con outcome peggiori».

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Per le coppie infertili 4-5 anni prima di avviare un percorso terapeutico adeguato

HealthDesk - Mer, 05/07/2025 - 18:55
Congresso Siru

In Italia le coppie infertili impiegano mediamente 4–5 anni per iniziare un percorso terapeutico adeguato, che può comprendere anche la riproduzione assistita, a partire dal momento in cui decidono di aver bisogno di aiuto nel concepimento di un figlio che non arriva.

È quanto emerge da un’indagine condotta dalla Società italiana di riproduzione umana (Siru) nei Centri italiani di riproduzione medicalmente assistita (Rma), su cui gli esperti si confronteranno nel Congresso nazionale Siru che si svolgerà a Verona dall’8 al 10 maggio.

Si tratta di un dato allarmante considerando che l'aumento dell'età e della durata dell'infertilità possono compromettere le possibilità di successo delle cure. La causa principale del ritardo nell’avvio del percorso terapeutico adeguato può essere attribuita alla mancanza di Linee-guida appropriate e dei relativi Percorsi diagnostici e terapeutici assistenziali (Pdta) e, quindi, al fatto che le coppie non riescono a orientarsi nella ricerca della soluzione.

«Dai risultati di uno studio pubblicato su Human Reproduction nel febbraio 2021, emerge proprio come il ritardo dell’avvio della fecondazione in vitro provochi una riduzione delle possibilità di successo – ricorda Paola Piomboni, presidente Siru - un effetto che si acuisce in modo particolare con l'età materna avanzata e in presenza di una causa nota di infertilità. Nelle donne di età pari a 36-37, 38-39 e 40-42 anni un ritardo di sei mesi ridurrebbe le nascite rispettivamente del 5,6%, 9,5% e 11,8%, mentre i valori corrispondenti associati a un ritardo di dodici mesi sono rispettivamente dell’11,9%, 18,8% e 22,4%».

Nel nostro Paese «è necessaria una riorganizzazione del sistema della riproduzione medicalmente assistita che non è più procrastinabile» sostiene Antonino Guglielmino, fondatore della Siru. «In assenza di Linee guida – prosegue - non si riesce a discutere concretamente di Percorsi diagnostici e terapeutici assistenziali; questi rappresentano una cintura di protezione sanitaria per le coppie che, a partire dal medico di medicina generale o dal consultorio territoriale già coordinati con i centri di Rma, possono offrire, a seconda delle esigenze  della coppia, esami diagnostici e terapie utili per raggiunge velocemente l'obiettivo del concepimento di un figlio».

Proprio riguardo la possibilità di avere a disposizione linee guida appropriate, una recentissima sentenza del Tar del Lazio, emanata su ricorso delle società scientifiche Siru, Siu, Urop e Cecos Italia, ha annullato tutte le raccomandazioni in materia clinica aventi carattere vincolante per tutti i Centri medici, contenute nelle Linee-guida ministeriali sulla Rma del marzo 2024 poiché non erano state elaborate secondo le norme italiane sul Sistema nazionale delle Linee guida, istituito e disciplinato dalla Legge Gelli-Bianco.

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Stefania Badavelli nuova General Manager di Zentiva Italia

HealthDesk - Mer, 05/07/2025 - 18:53
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Zentiva Italia annuncia la nomina di Stefania Badavelli come nuova General Manager. Badavelli ha ricoperto molti ruoli di crescente responsabilità in diverse aziende multinazionali. 

Laureata in medicina veterinaria all’Università di Milano, ha frequentato un MBA presso l’Università Bocconi di Milano. 

«È un onore per me, oltre che motivo di orgoglio, guidare un'organizzazione che ha come missione garantire l’accessibilità di prodotti di alta qualità a persone che ne hanno bisogno ogni giorno. Sono felice di poter mettere a disposizione la mia esperienza e la mia passione per perseguire questo obiettivo puntando su accessibilità alle cure, sostenibilità e attenzione alle persone» dichiara Badavelli.

Badavelli condurrà le attività strategiche, commerciali e operative di Zentiva Italia con l’obiettivo di guidare l’azienda nella sua nuova fase di crescita ed espansione. Lavorerà per consolidare la posizione nel mercato di Zentiva Italia, il cui focus per quest'anno sarà la diversificazione del portfolio. L’azienda continuerà a costruire nuove partnership e a consolidare quelle esistenti in collaborazione con i farmacisti e svilupperà ulteriormente il suo portfolio di prodotti Otc, rafforzando ulteriormente le linee dei brand Zerinol e Soluzione Schoum. Continuerà, inoltre, a investire in nuove aree terapeutiche.

«La nomina di Stefania segna un passo importante nel futuro di Zentiva Italia. Siamo certi che la sua leadership darà impulso alla nostra nuova fase di crescita – commenta Julie Ross, Head of Commercial Western Europe - e favorirà una cultura aziendale sempre più solida, innovativa e orientata al futuro. Guardiamo con fiducia alle nuove opportunità e ai cambiamenti positivi che Stefania porterà».

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La tecnologia per ridurre il peso del diabete e migliorare la qualità della vita

HealthDesk - Mer, 05/07/2025 - 18:49
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Vivere con il diabete ha un impatto sulla vita quotidiana, ma grazie all'innovazione tecnologica e al supporto sanitario è possibile gestire efficacemente la condizione e condurre una vita piena.

È questo, in sintesi, il messaggio lanciato dall'evento "Ridurre il peso del diabete e semplificarne la gestione attraverso la tecnologia", promosso da Medtronic il 6 maggio a Roma.

L'incontro, che ha visto la partecipazione del tennista Alexander Zverev, a Roma per gli Internazionali d'Italia 2025, ha sottolineato l'importanza della conoscenza, della discussione e di una cultura inclusiva nella gestione del diabete, con il principio guida: “Empowering people with Diabetes: reduce the burden of Diabetes Management to maximize the enjoyment of life”. Zverev, con una diagnosi di diabete di tipo 1 dall'infanzia, ha condiviso il proprio percorso di eccellenza nel suo sport nonostante la condizione di diabetico.

In Italia circa 4 milioni di persone convivono con il diabete, con una maggiore prevalenza tra le donne.

Il Time in Range, ovvero il tempo trascorso all'interno dell'intervallo glicemico ottimale (70-180 mg/dL) è un indicatore chiave per ridurre il rischio di complicanze. Tuttavia, nonostante l'esistenza di soluzioni tecnologiche, solo il 20% delle persone con diabete in Italia utilizza microinfusori insulinici, rispetto al 65% in Germania e al 43% negli Stati Uniti. Per le persone con diabete di tipo 1, rimanere nell'intervallo glicemico target per almeno 17 ore al giorno può migliorare significativamente gli esiti clinici e offrire una migliore qualità della vita. Ogni aumento del 10% del Time in Range può ridurre il rischio di complicanze a lungo termine, come la retinopatia, di quasi il 40%.

«Vivere con il diabete è un po' come essere sulle montagne russe» racconta Luigi Morgese, Business Director di Medtronic Diabetes per Italia, Grecia, Israele. «I livelli di glucosio nel sangue sono influenzati da vari fattori – precisa - e possono essere diversi da un giorno all'altro. Ma oggi, la tecnologia può davvero fare la differenza, aiutando a stabilizzare i livelli di glucosio durante i pasti, l'esercizio fisico, il sonno e ogni volta che i livelli di zucchero nel sangue sono alti o bassi». La tecnologia oggi disponibile «può ridurre il peso del vivere con il diabete – aggiunge - ripristinando la libertà quotidiana e la tranquillità mentale».

Il diabete è la patologia endocrinologica più comune in età pediatrica, come ricorda Marco Marigliano, professore di Pediatria dell’Università di Verona. La diagnosi durante l'infanzia o l'adolescenza «è un evento traumatico – sottolinea - che genera emozioni come shock, rabbia, paura e ansia. Aiutare i giovani a normalizzare queste emozioni è essenziale per il loro benessere psicologico. L'uso di tecnologie come i sensori glicemici e i microinfusori di insulina ha svolto un ruolo fondamentale nell’alleviare lo stress e l'ansia, in particolare per la paura dell'ipoglicemia, comune nei pazienti e nelle loro famiglie».

A livello internazionale, grazie al progetto SWEET (che raccoglie i dati di oltre 50 mila bambini e adolescenti con diabete tipo 1) circa l'80% di loro utilizza un sensore CGM e oltre il 50% un microinfusore di insulina, con il 28% che ha accesso a sistemi di rilascio automatico dell'insulina (AID).

In Italia, i dati più recenti mostrano progressi: su oltre 4 mila bambini e ragazzi monitorati, più del 95% utilizza un sensore CGM, oltre il 40% è in terapia con microinfusore di insulina e quasi tutti quelli che utilizzano un microinfusore (circa il 38% del totale) impiegano sistemi a rilascio automatico dell’insulina.

«All’inizio ci sembrava una cosa estranea – raccontano Gianni e Roberta, genitori di Davide, un bambino con diabete - quasi innaturale da accettare per nostro figlio. Ma sono bastati pochi giorni per capire quanto questa tecnologia fosse avanti: ci ha semplificato la vita, ci ha tolto tante preoccupazioni. Adesso possiamo concentrarci su momenti più belli, più leggeri… a volte ci dimentichiamo persino del diabete». «Grazie alla tecnologia – conferma infine Cecilia, studentessa con diabete - ora posso vivere più serenamente la mia vita e rassicurare la mia famiglia nonostante sia lontana da casa».

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Smile House: una rete di eccellenza per la cura delle malformazioni facciali

HealthDesk - Mer, 05/07/2025 - 18:43
L'anniversario

In 25 anni la Smile House Fondazione ha preso in carico e trattato oltre 100 mila pazienti nati con malformazioni cranio-maxillo-facciali, con un focus specifico sulla labiopalatoschisi.

Il traguardo del quarto di secolo è stato celebrato mercoledì 7 maggio alla Camera dei Deputati. «Il 2025 segna 25 anni di impegno in cui abbiamo trasformato un’idea in una rete di Centri di eccellenza» sostiene Stefano Zapponini, presidente della Smile House Fondazione. «Guardiamo al futuro – aggiunge - con il desiderio di crescere ancora, ampliare la nostra rete e rendere l’eccellenza sempre più accessibile, con il sostegno di chi crede in una sanità innovativa e vicina alle persone».

Il “cuore” operativo della Fondazione è la Rete Smile House: otto Centri su tutto il territorio nazionale (quattro Hub chirurgici a Roma, Vicenza, Pisa, Monza e quattro Spoke ambulatoriali a Cagliari, Taranto, Ancona, Catania) nati grazie a partnership consolidate con strutture del Servizio sanitario nazionale. Questa rete si fonda su un Protocollo d’intesa con il ministero della Salute, attivo fin dal 2008 e rinnovato nel 2022, che definisce il quadro programmatico per garantire un percorso assistenziale completo, dalla diagnosi prenatale all’età adulta, e per promuovere la ricerca scientifica su tecnologie, protocolli e cause delle malformazioni. Il mantenimento e lo sviluppo della struttura operativa, incluse le attività di ricerca e formazione, sono resi possibili grazie al sostegno di donazioni private, fondazioni erogative e partnership mirate.

Nel solo 2023 il 65% dei bambini nati in Italia con labiopalatoschisi è stato trattato in uno dei Centri Smile House, ma l'impegno della Fondazione varca i confini nazionali. La Fondazione assiste infatti nei propri Centri pazienti provenienti da Paesi in cui non ci siano le adeguate condizioni di cura e opera direttamente in contesti internazionali, come le missioni a bordo della Nave Cavour della Marina militare e sono già attivi accordi in India, Pakistan e Colombia, dove il modello Smile House è applicato per garantire il diritto alla cura e alla formazione superspecialistica.

«Il nostro obiettivo – spiega Domenico Scopelliti, fondatore e vicepresidente della Smile House Fondazione - è rafforzare la rete, investire nella formazione e nella ricerca, migliorare l’integrazione tra i Centri e continuare a contrastare la migrazione sanitaria. Ogni paziente – conclude - merita di essere curato vicino a casa, con professionalità e competenza fino al termine della crescita».

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Animali da compagnia alleati del benessere

HealthDesk - Lun, 05/05/2025 - 18:47
Il Rapporto Uccellino.jpg

La presenza di animali da compagnia in famiglia riduce del 15% il ricorso alle visite mediche negli anziani ed è un antidoto alla solitudine, generando un risparmio potenziale di 4 miliardi di euro annui per il Servizio sanitario nazionale.

Questo risulta dal Rapporto Assalco-Zoomark 2025 presentato lunedì 15 maggio. In Italia vivono quasi 65 milioni di animali da compagnia, con oltre 20 milioni tra cani e gatti, una popolazione stabile ma in continua evoluzione. Crescono infatti i gatti e i cani di piccola taglia, mentre si riducono pesci e uccelli, complice anche l’adeguamento normativo e la riduzione dei negozi che vendono animali vivi.

Il Rapporto segnala tra l'altro che il 96% dei proprietari di animali da compagnia considera il proprio pet parte integrante della famiglia, un dato che si riflette anche nei risultati di studi internazionali, secondo i quali vivere con un pet produce benefici emotivi e psicologici comparabili a quelli delle relazioni sociali strette, con impatti concreti sulla qualità della vita come osservato in una ricerca pubblicata dalla University of Kent in collaborazione con la London School of Economics.

Sempre più diffuso è il fenomeno della pet inclusion negli ambienti di lavoro: dalle aziende private al Senato e alla Regione Siciliana fino a università come Verona, Trento e Milano-Bicocca, cresce il numero di ambienti lavorativi che permettono ai dipendenti di portare il proprio animale d’affezione in ufficio, nel rispetto di apposite procedure.

«Oggi gli animali da compagnia rappresentano una presenza strutturale nella società italiana - commenta Giorgio Massoni, presidente di Assalco (Associazione nazionale tra le imprese per l’alimentazione e la cura degli animali da compagnia) - con un impatto crescente sul benessere individuale, sull’inclusione sociale e sulla salute pubblica. Il Rapporto Assalco-Zoomark 2025 documenta con evidenze chiare come la relazione uomo-pet sia un fattore di equilibrio sociale, sostenibilità del welfare e qualità della vita. Integrare questa presenza nei contesti abitativi, sanitari e lavorativi – sostiene - significa adottare una visione moderna e lungimirante delle politiche per la salute e la coesione sociale».

Categorie: Medicina integrata

Oltre 16 milioni a letto per l’influenza, mai come quest’anno

HealthDesk - Lun, 05/05/2025 - 18:00
Malattie infettive Influenza vaccine.jpg Immagine: © HealthDesk Virus influenzali e altri agenti hanno causato oltre 1,5 milioni di contagi in più rispetto all’anno scorso

Nella stagione 2024/2025 oltre 16 milioni di italiani sono stati messi a letto da virus influenzali e altri patogeni respiratori. È record: mai da quando esiste la sorveglianza si erano registrati questi dati. La conferma arriva dal sistema di sorveglianza RespiVirNet dell’Istituto Superiore di Sanità che oggi ha pubblicato l’ultimo bollettino di questa stagione. 

Una stagione iniziata un po’ in sordina e non ha mai prodotto colpi di fiamma, come avvenuto lo scorso anno, quando solo a cavallo delle ultime due settimane dell’anno, oltre 2 milioni di italiani sono stati stati contagiati. Quest’anno la curva, invece, pur senza raggiungere il picco dello corso anno è rimasta a lungo in alto, tanto che nella settimana di Pasqua quasi 300 mila persone erano ammalate. 

Il segreto di questa stagione anomala che ha smentito ogni previsione l’ha spiegata all’ANSA Gianni Rezza, professore straordinario di Igiene all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e già a capo del dipartimenti della Prevenzione del ministero della Salute e dell’Iss: tutta colpa del mix di virus che ha animato questa stagione. 

Lo scorso anno lo scenario era stato dominato da un unico virus: il virus influenzale A/H1N1 (pdm09), quello che ci portiamo dietro dalla pandemia di “suina” del 2009. Su 7.985 campioni analizzati 5.923 erano di questo tipo. Se si escludono i 1.041 campioni che non sono stati tipizzati, significa che circa l’85% degli italiani che hanno preso l’influenza ha contratto il virus  A/H1N1. 

Quest’anno, ciò non è avvenuto. 

“Dall’inizio della stagione sono stati identificati 9.166 ceppi di tipo A (66,7%) e 4.580 di tipo B (33,3%). Tra i virus di tipo A, i sottotipi H1N1pdm09 e H3N2 hanno circolato in proporzioni simili, rappresentando rispettivamente il 54% e il 46% dei ceppi A sottotipizzati”, spiega il bollettino dell’Iss. 

Significa, dunque, che anche chi l’anno scorso ha contratto l’influenza (con ogni probabilità A/H1N1) ha avuto alte probabilità di incontrare uno degli altri ‘ceppi’ circolanti. 

Non solo. Ci riferiamo spesso alla stagione usando l’attributo ‘influenzale’. In realtà più corretto sarebbe parlare di ‘simil-influenzale’. Il rapporto dell’Iss, infatti, parla di ILI, vale a dire Influenza Like Illness, cioè malattia simil-influenzale. Infatti, i sintomi tipici dell’influenza e delle comuni malattie respiratorie invernali possono dovuti (seppure con severità e sfumature diverse) a molti agenti patogeni, soprattutto virus. 

In questa stagione, in Italia, se i campioni rilevati dal sistema di sorveglianza positivi all’influenza sono stati 13.746, quelli positivi ad altri agenti sono stati 18.234. I più rappresentati sono i rhinovirus con 5.831 casi, il virus respiratorio sinciziale con 4.857, il metapneumovirus con 1.915 casi (a inizio stagione vi era stato un ‘falso allarme’ legato a questo virus per un supposto aumento dei casi in Cina). E poi diversi coronavirus parenti dell’agente responsabile del Covid e frequenti causa di raffreddore (1.791), adenovirus (1.560), SarsCov2 (1.273) e virus Parainfluenzali (600). 

Chiusa la stagione, ora si guarda al prossimo anno. 

Inutile fare previsioni. All’emisfero Sud che, in genere anticipa le tendenze, ancora non si è entrati nella stagione influenzale. E poi i virus influenzali hanno insegnato che sono imprevedibili: la memoria immunitaria non è lunga e sono sufficienti piccole mutazioni per scardinare l’immunità sviluppata ammalandosi negli anni precedenti. 

Come sempre le armi sono i vaccini e le misure di igiene, dal lavaggi delle mani alle misure di rispetto degli altri come coprire bocca e naso quando si starnutisce o tossisce e la permanenza a casa in presenza di sintomi.

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Cinque scottature solari a 15-20 anni bastano per aumentare dell’80% il rischio di melanoma. Gli errori da evitare

HealthDesk - Lun, 05/05/2025 - 15:55
Mese della sensibilizzazione su melanoma e tumori della pelle

Basta un numero molto basso di scottature solari nell'arco della vita di una persona per renderla vulnerabile al melanoma. Secondo l’American Academy of Dermatology, cinque o più scottature solari con la comparsa di vesciche tra i 15 e i 20 anni d'età aumentano infatti il rischio di melanoma dell’80% e il rischio di altri tumori della pelle non melanoma del 68%. A lanciare un avvertimento, invitando a una maggiore attenzione e prudenza in vista delle prossime vacanze estive, è Paolo Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma e direttore dell’Unità di Oncologia melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto Pascale di Napoli, in occasione del mese di maggio, dedicato alla prevenzione del melanoma.

«Le scottature solari possono aumentare il rischio di sviluppare il melanoma, soprattutto se ripetute e gravi – spiega l'oncologo - e in particolare durante l’infanzia e l’adolescenza. L’esposizione ai raggi ultravioletti danneggia il Dna delle cellule della pelle e se questo danno non viene riparato dal sistema immunitario, può portare a mutazioni che possono causare il cancro della pelle, incluso il melanoma».

I casi di melanoma sono in forte aumento in Italia: attualmente è il terzo tumore più frequente in entrambi i sessi al di sotto dei 50 anni. Negli ultimi venti anni la sua incidenza è aumentata passando dai 6 mila casi nel 2004 agli 11 mila nel 2014 fino agli oltre 17 mila previsti nel 2024.

Si stima che quasi nove melanomi su dieci siano prevenibili, ma ancora tanti italiani non sanno come farlo correttamente, nonostante le numerose campagne di informazione e sensibilizzazione.

«In particolare – ricorda Ascierto - ci sono sette comunissimi errori che si tendono a fare e che rischiano di vanificare gli sforzi per proteggersi dagli effetti negativi dei raggi Uv».

Eccoli:

1) Pensare di abbronzarsi in sicurezza. Sbagliato. Non esiste un modo sicuro o sano per abbronzarsi. Quando ci si abbronza, la luce ultravioletta stimola le cellule della pelle a produrre pigmenti per cercare di proteggere il Dna delle cellule, ma questa protezione è minima e quindi ci si potrebbe comunque scottare e così aumentare il rischio di melanoma.

2) Pensare che la crema solare offra una protezione al 100%. Sbagliato. Utilizzare la protezione solare non è un “permesso” per abbronzarsi. La crema solare, anche con un fattore di protezione molto alto, non protegge totalmente dai danni dei raggi Uv.

3) Non usare la protezione solare perchè si ha la pelle scura o perchè si è già abbronzati. Sbagliato. La pelle scura non è immune ai danni del sole: i raggi Uv possono comunque penetrare e causare danni al Dna cellulare, aumentando il rischio di melanoma.

4) Utilizzare le creme solari dell’anno precedente. Sbagliato. L’efficacia delle creme solari può arrivare al massimo fino a dodici mesi dall’apertura della confezione e solo se è stata conservata correttamente.

5) Proteggersi di meno se è nuvoloso e c'è vento. Sbagliato. È possibile scottarsi anche quando il cielo è nuvoloso e c'è vento.

6) Rinunciare agli occhiali da Sole. Sbagliato. Il melanoma può colpire anche l'occhio.

7) Pensare che le creme doposole riparino i danni provocati da una scottatura. Sbagliato. Le creme doposole servono a idratare la pelle dopo l’esposizione al sole. In molti casi contengono anche sostanze lenitive che alleviano la sensazione di bruciore e l’arrossamento dovuto alla scottatura. Tuttavia non possono avere alcun effetto benefico su eventuali danni al Dna prodotti dai raggi Uv.

Categorie: Medicina integrata

Risultati positivi per mepolizumab nella Bpco

HealthDesk - Lun, 05/05/2025 - 14:51
Farmaci

GSK ha annunciato i risultati positivi di mepolizumab nel trattamento della broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), con i dati completi dello studio di fase III MATINEE pubblicati sul New England Journal of Medicine. Lo studio ha valutato l’efficacia e la sicurezza di mepolizumab, un anticorpo monoclonale che ha come bersaglio l'interleuchina-5 (IL-5), in un ampio spettro di pazienti con Bpco, compresi i più gravi e difficili da trattare, secondo le raccomandazioni GOLD (Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Disease). 

Nell'intera popolazione studiata, mepolizumab ha mostrato una riduzione clinicamente e statisticamente significativa del 21% del tasso annuale di riacutizzazioni moderate o gravi rispetto al placebo, raggiungendo l’endpoint primario dello studio MATINEE. Inoltre, ha mostrato una riduzione del 31% del tasso annuale di riacutizzazioni moderate o gravi rispetto al placebo in un’analisi post-hoc di pazienti con bronchite cronica. 

In particolare, è stata osservata una riduzione del 35% con mepolizumab rispetto al placebo del tasso annuale di riacutizzazioni gravi che hanno portato al Pronto soccorso o al ricovero ospedaliero, un endpoint secondario dello studio MATINEE. Da segnalare che in caso di ospedalizzazioni per Bpco, un paziente su dieci muore durante la degenza, fino a uno su quattro entro un anno e la metà entro cinque anni.

Le riacutizzazioni «sono devastanti per i pazienti - sottolinea Kaivan Khavandi, Global Head, Respiratory, Immunology & Inflammation R&D, GSK - accelerano la progressione della malattia e causano danni polmonari irreversibili, peggioramento dei sintomi e aumento della mortalità. Per decenni abbiamo lavorato per espandere i confini dell’innovazione e continuiamo a farlo per prevenire la progressione della malattia e avere un impatto significativo sulla vita delle persone affette da Bpco».

L'incidenza di eventi avversi rilevata nello studio è stata simile tra mepolizumab e placebo, con i più frequenti casi di riacutizzazione o peggioramento della Bpco e dell'infezione da Covid-19. 

Lo studio MATINEE «apre nuove prospettive terapeutiche per i pazienti con Bpco e infiammazione di tipo 2 – assicura Frank Sciurba, professore di Pneumologia, allergologia e terapia Intensiva e autore principale dello studio - mentre ci impegniamo a individuare i fattori scatenanti della malattia e a migliorare la vita dei pazienti affetti da Bpco».

A oggi mepolizumab non è registrato in alcun Paese per il trattamento della Bpco, ma sono in corso pratiche regolatorie in diversi Paesi tra cui Stati Uniti, Cina e UE.

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Nicola Bencini nuovo General Manager di Incyte Italia

HealthDesk - Lun, 05/05/2025 - 14:49
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Cambio al vertice di Incyte Italia: Nicola Bencini assume la carica di General Manager. Subentra a Onofrio Mastandrea, che ha guidato l’azienda negli ultimi sei anni e passerà ora alla guida dell’affiliata tedesca.

Bencini raggiunge Incyte dal Gruppo Menarini dopo essere stato in Novartis.

Laureato in Economia all’Università di Milano-Bicocca, ha successivamente conseguito un Executive MBA alla School of Management SDA Bocconi di Milano e ha integrato le proprie competenze manageriali grazie a programmi di leadership presso la Columbia University e la Glasgow University.

«Sono onorato di guidare Incyte Italia nel proseguire il suo percorso di sviluppo» commenta Bencini. «I prossimi anni rappresenteranno un momento di forte crescita per l’azienda a livello globale – prosegue - con dieci potenziali lanci ad alto impatto da qui al 2030 e l’Italia vuole dare un contributo decisivo al raggiungimento di questa ambizione».

La biotech americana a livello globale reinveste in Ricerca e Sviluppo il 47% delle proprie revenue e conta più di mille dipendenti impegnati esclusivamente su questo fronte, con gruppi di ricerca attivi in 14 Paesi di tutto il mondo. In Italia, negli ultimi cinque anni, Incyte ha investito in ricerca 87 milioni di euro, portando nei Centri 73 studi clinici, il 25% dei quali di Fase I, e generando un valore di oltre 290 milioni di euro per il sistema Paese.

«Il focus su aree terapeutiche a elevato unmet need, nelle quali i pazienti hanno a disposizione limitate opzioni di trattamento o non ne hanno affatto – sottolinea Bencini - ha prodotto come risultato una consolidata tradizione di farmaci first-in-class. Nel prossimo futuro porteremo avanti il nostro impegno su questo fronte, con l’ambizione di generare valore per il sistema salute attraverso investimenti in ricerca e innovazione, elementi strategici per la competitività del Paese».

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Tumori: la doppia biopsia, tissutale e liquida, può migliorare la sopravvivenza

HealthDesk - Mer, 04/30/2025 - 19:09
Lo studio

Rispetto alla terapia personalizzata basata su un solo tipo di biopsia, i pazienti con tumori avanzati raggiungono una sopravvivenza significativamente migliore quando ricevono una terapia personalizzata basata sul rilevamento della stessa alterazione genomica sia con la biopsia su tessuto sia con quella liquida. In particolare, nel gruppo di pazienti con concordanza dei due esami, il controllo di malattia (PFS) a dodici mesi si è triplicato, passando dal 9,1% dei pazienti trattati con la terapia convenzionale al 27,2% ottenuto con la terapia a bersaglio molecolare. Questi risultati sono stati ulteriormente confermati dall’analisi della sopravvivenza globale nel gruppo dei pazienti trattati con terapia a bersaglio molecolare: 11,05 mesi nei pazienti con concordanza dei due test, 9,9 mesi nel gruppo con sola biopsia solida positiva e 4,05 mesi in quello con sola biopsia liquida positiva.

Sono i principali risultati di una analisi della profilazione genomica nello studio di fase II ROME Trial, presentato al meeting annuale dell’American Association for Cancer Research (AACR, a Chicago dal 25 al 30 aprile).

«La profilazione genomica – spiega Paolo Marchetti, direttore scientifico dell’Idi di Roma e presidente della Fondazione per la Medicina personalizzata (Fmp) – è utilizzata nell’oncologia di precisione per aiutare a identificare alterazioni specifiche in un tumore che possono essere il bersaglio di una terapia. Sebbene i test possano essere eseguiti utilizzando un campione di sangue o di tessuto, non è ancora chiaro quale metodo debba essere preferito nella pratica clinica e in quali circostanze specifiche».

Le biopsie tissutali prelevano un campione direttamente dal tumore, ma richiedono una procedura chirurgica invasiva. Poiché il campione viene prelevato da un’area specifica del tumore, il test potrebbe non rilevare mutazioni presenti in altre parti. Le biopsie liquide richiedono solo un campione di sangue, ma potrebbero non rilevare mutazioni da tumori che non rilasciano abbastanza Dna nel flusso sanguigno. Queste differenze nelle modalità di raccolta dei campioni possono portare a risultati discordanti.

Tra novembre 2020 e agosto 2023, 1.794 pazienti adulti con tumori solidi avanzati o metastatici sono stati arruolati nel ROME Trial, studio indipendente, svolto con il patrocinio dell’Università di Roma La Sapienza, l’Istituto superiore di sanità e la Fondazione per la Medicina personalizzata. Ogni paziente ha fornito campioni per biopsie liquide e tissutali. Sui campioni è stato eseguito il sequenziamento di nuova generazione e i risultati sono stati analizzati da un Molecular Tumor Board per valutare la concordanza e la discordanza in base alle alterazioni considerate attivabili. Il board ha identificato 400 pazienti con alterazioni che potrebbero essere oggetto di una terapia personalizzata.

In questi 400 pazienti, le biopsie tissutali (T) e liquide (L) hanno identificato le stesse alterazioni attivabili nel 49,2% dei casi (197 pazienti, gruppo T+L), mentre alterazioni attivabili sono state identificate esclusivamente nella biopsia su tessuto nel 34,7% dei casi (139 pazienti) ed esclusivamente nella biopsia liquida nel 16% (64 pazienti). In entrambi i bracci i pazienti sono stati randomizzati a ricevere la terapia personalizzata o lo standard di cura in base alla scelta del clinico che ha presentato il caso.

La sopravvivenza globale (OS) mediana è risultata di 11,05 mesi nel gruppo T+L che ha ricevuto la terapia personalizzata rispetto a 7,7 mesi nel gruppo standard di cura, con una riduzione del 26% del rischio di morte per i pazienti del gruppo T+L. La sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana è stata di 4,93 mesi rispetto a 2,8 mesi, con una riduzione del 45% del rischio di progressione nel gruppo T+L.

Al contrario, il beneficio di sopravvivenza della terapia personalizzata è stato meno pronunciato o assente nei pazienti con risultati discordanti.

Inoltre, il tasso di OS a 12-mesi è risultato del 47,8% nel gruppo T+L che ha ricevuto la terapia personalizzata e del 38,8% nel gruppo con lo standard di cura, mentre i tassi di PFS a dodici mesi sono stati del 27,2% e 9,1%, rispettivamente. Tra i pazienti T+L, il tasso di risposta obiettiva è stato del 20% nel braccio con la terapia personalizzata rispetto all’11,8% nel braccio con lo standard di cura.

Si tratta di dati «importanti» assicura infine Marchetti, e le valutazioni biologiche che ne derivano «rappresentano le premesse per i futuri approfondimenti».

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I Fans non bastano per un controllo completo dei sintomi in una persona su quattro con spondiloartrite assiale

HealthDesk - Mer, 04/30/2025 - 19:07
World AS Day 2025

Meno del 25% delle persone con spondiloartrite assiale ottiene un controllo completo dei sintomi con i Fans, mentre circa il 75% delle persone necessita di farmaci biologici o di agenti antireumatici sintetici modificanti per ridurre i sintomi e la progressione del danno strutturale, controllare l’infiammazione e migliorare la qualità di vita.

È quanto risulta da un recente studio pubblicato sulla rivista JAMA, Journal of the American Medical Association.

La spondiloartrite assiale è una malattia infiammatoria cronica che colpisce principalmente le articolazioni sacroiliache e la colonna vertebrale e attualmente non esistono criteri definiti per diagnosticare la patologia. Questa condizione infiammatoria può causare dolore cronico, rigidità e affaticamento, rendendo difficili per le persone anche i movimenti più semplici come alzarsi dal letto, vestirsi e allacciarsi le scarpe.

Per questo «sensibilizzare l'opinione pubblica sulle sfide che affronta ogni giorno chi vive con la spondiloartrite assiale è essenziale per creare empatia e comunità di supporto, rendendo la vita più facile e inclusiva» dice Antonella Celano, presidente dell'Associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare (Apmarr), membro dell’Axial Spondyloarthritis International Federation (ASIF), che sabato 1 maggio celebra l’edizione 2025 del World AS Day con la campagna “Lace Up for axSpA”.

Uno dei problemi principali legati a questa patologia riguarda appunto la scarsa conoscenza che c’è tra l’opinione pubblica, con la maggior parte delle persone che non ne ha mai sentito parlare.

«L'immagine delle stringhe delle scarpe allacciate simboleggia l'impegno attivo necessario per capire cosa significhi vivere con l'axSpA – spiega Celano - illustrando così le sfide quotidiane affrontate da chi ne è affetto. Inoltre sosteniamo la necessità di una diagnosi precoce, di trattamenti migliori e di una migliore assistenza. Insieme, possiamo promuovere un cambiamento reale, creando un futuro in cui nessuno affronti, da solo, le sfide poste dalla diagnosi di spondiloartrite assiale, rendendo così la vita più facile e inclusiva per tutte le persone colpite da questa patologia».

La diagnosi, spesso ritardata di 6-8 anni dall'inizio dei primi sintomi, si basa sull'anamnesi, sui risultati di laboratorio, su un livello elevato di proteina C-reattiva e sui reperti di imaging come la sacroileite alla radiografia standard e alla risonanza magnetica. In passato, i trattamenti principali per combattere la spondiloartrite assiale erano la terapia fisica che comprende l’esercizio fisico e la fisioterapia insieme all’utilizzo dei farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS).

La gestione della spondiloartrite assiale, ricorda Salvatore D’Angelo dell’Università della Basilicata e dirigente medico dell’Unità di Reumatologia all’ospedaliera San Carlo di Potenza, «resta una sfida complessa. Serve una maggiore consapevolezza non solo tra i medici ma anche tra la popolazione generale, perché riconoscere i primi segnali della malattia può davvero fare la differenza. Ridurre i tempi di diagnosi e iniziare precocemente terapie adeguate significa preservare la funzionalità, migliorare la qualità di vita dei pazienti e rallentare la progressione della patologia».

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Tumori della testa e del collo: pembrolizumab prima e dopo la chirurgia riduce il rischio di recidiva o morte nel carcinoma squamoso

HealthDesk - Mer, 04/30/2025 - 19:05
Farmaci

Nei pazienti con tumori della testa e del collo, l’immunoterapia con pembrolizumab, prima e dopo la chirurgia in aggiunta allo standard di cura, riduce del 27% il rischio di recidiva o morte rispetto allo standard rappresentato dalla sola radioterapia (con o senza chemioterapia) successiva all’intervento.

È quanto mostrano i risultati dello studio di Fase 3 KEYNOTE-689, che ha valutato pembrolizumab, terapia anti-PD-1 di MSD, come regime di trattamento perioperatorio per i pazienti con carcinoma squamoso di testa e collo localmente avanzato e resecato di stadio III o IVA. I risultati della prima analisi ad interim dello studio hanno mostrato che pembrolizumab ha migliorato significativamente la sopravvivenza libera da eventi EFS (recidiva o morte).

I dati sono stati presentati per la prima volta durante il Congresso annuale dell’American Association for Cancer Research (AACR, a Chicago dal 25 al 30 aprile).

Nel 2024, in Italia, sono stati stimati circa 6 mila nuovi casi di tumori della testa e del collo. Possono interessare diverse sedi, fra cui il cavo orale, la faringe, la laringe. I principali fattori di rischio sono il fumo, l’alcol e l’infezione da Papilloma virus.

«L’immunoterapia rappresenta già lo standard di cura nella malattia metastatica. Alla luce dei dati dello studio KEYNOTE-689 - spiega Lisa Licitra, responsabile della Oncologia medica 3 – Tumori della testa e del collo dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano - l’immunoterapia può cambiare la pratica clinica anche in stadi più precoci candidati a intervento chirurgico. È infatti il primo studio positivo in oltre vent’anni nei pazienti con carcinoma squamoso della testa e del collo localmente avanzato. Questi risultati sono significativi – sostiene - e rappresentano una svolta per questi pazienti e per i clinici. Siamo di fronte a un nuovo regime terapeutico in grado di offrire la possibilità di ridurre il rischio di recidiva e progressione della malattia». L’aggiunta dell’immunoterapia con pembrolizumab alla chirurgia standard di cura e alla radio(chemio)terapia adiuvante, precisa Licitra, «ha portato alla riduzione significativa del rischio di eventi rispetto allo standard di cura» a cui si aggiunge che «una riduzione del numero dei casi destinati a ricevere un trattamento postoperatorio a base di chemioradioterapia. Questo effetto di de-escalation del trattamento postoperatorio è importante perchè sappiamo avere un impatto sulle tossicità e, quindi, un impatto favorevole sulla qualità di vita dei pazienti».

I risultati di KEYNOTE-689 «testimoniano il nostro impegno nel rispondere a un’esigenza clinica non ancora soddisfatta» sostiene Marjorie Green, vicepresidente senior e responsabile Oncologia, sviluppo clinico globale, MSD Research Laboratories. «Questi straordinari risultati confermano il potenziale di questo regime di cambiare il panorama di cura per determinati pazienti che affrontano questa difficile malattia. Stiamo collaborando con la FDA e con le autorità globali – aggiunge - per poter offrire questa nuova opzione ai pazienti il più presto possibile».

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Sindacati medici: Subito le trattative per il rinnovo del contratto

HealthDesk - Mar, 04/29/2025 - 19:08
Servizio sanitario nazionale

L’ultimo incontro del 29 aprile all'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran) per il rinnovo del contratto del Comparto Sanità «conferma lo stallo dei mesi scorsi, lasciando in ostaggio medici e dirigenti sanitari che ancora attendono la pubblicazione dell’atto di indirizzo necessario ad avviare le trattative per il Ccnl 2022-2024, dunque già ampiamente scaduto». A sostenerlo sono Pierino Di Silverio, segretario di Anaao Assomed, e Guido Quici, presidente della Federazione Cimo-Fesmed: «Vorremmo conoscere le ragioni per le quali si continua a rimandare sine die la pubblicazione dell’atto di indirizzo del contratto dei medici e dei dirigenti sanitari».

Per i due leader sindacali «è inaccettabile dover aspettare la conclusione del contratto del Comparto per poter iniziare a discutere di quello dei medici: se sindacati del Comperato e Aran non trovano un accordo continueremo ad attendere? Chiediamo a 140 mila medici e dirigenti sanitari di aspettare pazientemente il loro turno per poter vedere i dovuti aumenti in busta paga?».

Una parte delle risorse economiche attese dal rinnovo contrattuale è stata anticipata, ricordano Di Silverio e Quici, ma l’aumento stipendiale «è stato in gran parte neutralizzato, sia dalla crescita della pressione fiscale che dall'aumento dell'addizionale Irpef deciso da quasi tutte le Regioni, visto che il finanziamento del sistema sanitario rimane al di sotto delle necessità, per quanto etichettato come “storico”».

Il ritardo del rinnovo contrattuale «riduce significativamente il potere d'acquisto dei dirigenti medici e sanitari – sottolineano - che già ha registrato un calo del 6,2% nel periodo 2015-2022, consolidandone la collocazione agli ultimi posti in Europa, e peggiora ulteriormente condizioni di lavoro proibitive che ne riducono la attrattività». E nel frattempo «continuiamo ad assistere alla quotidiana emorragia di personale dagli ospedali pubblici, di medici stanchi di essere trattati e considerati in questo modo».

In conclusione, «non solo non siamo disponibili ad aspettare - avvertono - ma anzi chiediamo di fare un ulteriore passo avanti accorpando i trienni contrattuali 2022-2024 e 2025-2027, in modo da garantire ai colleghi adeguamenti retributivi accettabili e bloccare questa intollerabile tradizione di firmare solo contratti già scaduti. Una volta definite le aree e i comparti per il triennio 2025-2027, non ci risultano ostacoli all’adozione di una decisione che sarebbe storica - concludono Di Silverio e Quici - che darebbe il giusto valore a chi, ogni giorno, tutela la salute del Paese assicurando più di 2 milioni di prestazioni gratuite al giorno».

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Tumori. Foce: approvare l’aggiornamento dei Lea per garantire i test molecolari

HealthDesk - Mar, 04/29/2025 - 19:03
L’appello

I due Dpcm che aggiornano i Livelli essenziali di assistenza (Lea) «contribuiscono a colmare l’enorme ritardo accumulato, fino a otto anni, rispetto all’acquisizione dei dati scientifici sul potenziale beneficio dei test molecolari per circa 87.000 pazienti oncologici ogni anno nel nostro Paese, grazie all’acquisizione gratuita di questi esami e dei farmaci correlati». A dirlo è Francesco Cognetti, presidente della ConFederazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi (Foce), aggiungendo che «questi provvedimenti porteranno al completo utilizzo, finora abbastanza discontinuo in vaste aree del territorio nazionale, di ben 62 farmaci a bersaglio molecolare, già da tempo approvati dall’Agenzia italiana del farmaco».

Il presidente Foce chiede pertanto che le due norme che aggiornano i Lea a distanza di otto anni dall’ultimo Dpcm del 12 gennaio 2017, siano subito promulgate.

Tra le nuove prestazioni previste nei due provvedimenti ci sono lo screening e la sorveglianza attiva per tumori della mammella e dell’ovaio in persone con mutazioni genetiche BRCA1 e BRCA2 (per un target stimato di circa 9.693 donne l’anno) e i 45 pannelli standard o avanzati di test molecolari, che includono la valutazione di 223 geni per la ricerca di mutazioni in 22 tumori solidi ed ematologici. Inoltre viene approvato l’utilizzo dei test genomici nel carcinoma mammario ormono-responsivo in stadio precoce, utili per una migliore valutazione della prognosi di queste pazienti e per la scelta del miglior trattamento adiuvante, cioè successivo alla chirurgia (per un totale di circa 10 mila donne e un esborso da parte del Servizio sanitario nazionale di circa 20 milioni di euro).

Tutte valutazioni queste, sottolinea Cognetti, «effettuate con il fondamentale contributo dell’expertise scientifico fornito da Foce e dai suoi esperti nella selezione delle mutazioni prescelte nelle specifiche neoplasie e nella individuazione dei pazienti da testare e del loro numero in funzione delle risorse da investire». Il costo per l’utilizzo di questi pannelli, precisa infine, è stato valutato intorno a quasi 82 milioni di euro annui (completamente a carico del Ssn), mentre l’esborso complessivo conseguente ai due Dpcm sarà di circa 150 milioni di euro l'anno.

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