Medicina integrata

Oms: ogni minuto i vaccini salvano sei vite. I pediatri: in Italia serve uno scatto su adolescenti e donne in gravidanza

HealthDesk - Ven, 04/18/2025 - 19:35
Settimana mondiale ed europea

Ogni minuto, da cinquant’anni, sei persone vengono salvate grazie a un vaccino.

A ricordarlo è l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sottolineando che negli ultimi cinquant’anni i vaccini hanno salvato 154 milioni di vite: nello stesso periodo la vaccinazione ha ridotto del 40% la mortalità infantile. Il solo vaccino contro il morbillo ha contribuito al 60% di queste vite salvate.

In occasione della Settimana mondiale dell’immunizzazione promossa dall’Oms che si celebra dal 24 al 30 aprile e della Settimana europea delle vaccinazioni (dal 27 aprile al 3 maggio), la Società italiana di pediatria (Sip) richiama l’attenzione sull’importanza di proteggere la salute in ogni fase della vita, ribadendo il ruolo chiave delle vaccinazioni per bambini, adolescenti e donne in gravidanza.

«Questa ricorrenza non è solo un’occasione per celebrare i successi della vaccinazione – sottolinea il presidente della Sip, Rino Agostiniani – ma anche per riflettere sulle sfide che ancora restano aperte anche nel nostro Paese, a partire dalle coperture insufficienti negli adolescenti e nelle donne in gravidanza, fino al preoccupante ritorno del morbillo. L’Italia ha gli strumenti per migliorare, ma servono più informazione e più fiducia».

In Italia coperture sotto-soglia. Torna il morbillo

Nel nostro Paese, secondo i dati del ministero della Salute, si registra un calo della maggior parte delle vaccinazioni raccomandate nei primi anni di età. Le coperture vaccinali per polio e per il morbillo sono leggermente al di sotto della soglia del 95% raccomandata dall’Oms: 94,76% per la poliomielite e 94,64% per il morbillo (coorte 2021). A preoccupare è soprattutto la ripresa del morbillo, con oltre mille casi nel 2024 contro i 44 dell’anno precedente e ben 227 casi nei primi tre mesi del 2025. Il nostro Paese è il secondo più colpito in Europa dopo la Romania. Il 90% delle persone colpite non era vaccinata.

Vaccinazioni in adolescenza: serve un cambio di passo

Le carenze più evidenti riguardano le vaccinazioni raccomandate nell’adolescenza. Quella della dose di richiamo contro il meningococco coniugato ACWY, che protegge da meningiti e sepsi potenzialmente gravi e permanenti, seppur in lieve miglioramento, nella coorte dei sedicenni, raggiunge appena il 56,98% a livello nazionale, ben lontano dall’obiettivo di copertura vaccinaledi almeno il 95%, previsto dal Piano nazionale vaccini.

Tra le vaccinazioni più trascurate, l’anti-Hpv (Papilloma Virus Umano), responsabile di diverse forme di cancro: collo dell’utero, ano, pene, testa-collo (orofaringe), oltre a verruche genitali. E riguarda entrambi i sessi.

Nel 2023, solo il 45,39% delle ragazze nate nel 2011 ha completato il ciclo vaccinale, mentre tra i coetanei maschi la percentuale scende al 39,35%. Nessuna Regione ha raggiunto l’obiettivo minimo del 95%, con picchi negativi come il Friuli-Venezia Giulia (12%) e la Sicilia (23%).

«È ancora troppo diffusa l’idea che l’Hpv sia un problema solo femminile» rileva Agostiniani –. «Ma vaccinare anche i ragazzi è fondamentale – avverte - sia per la loro protezione diretta, sia per interrompere la circolazione del virus. Solo così possiamo ridurre davvero il carico di malattia».

Vaccinazioni in gravidanza: proteggere il bambino fin dal primo respiro

La gravidanza è un momento cruciale per la prevenzione. In questa fase sono raccomandate alcune vaccinazioni fondamentali: dTpa (contro la pertosse), antinfluenzale, anti-Covid-19 e quella contro il virus respiratorio sinciziale, recentemente introdotta.

«Vaccinarsi in gravidanza significa offrire al neonato una protezione immediata – segnala Rocco Russo, responsabile del Tavolo tecnico vaccinazioni della Sip – soprattutto nei primi mesi di vita, quando è più vulnerabile. Eppure in Italia le coperture restano basse, a causa di paure infondate e informazioni poco chiare. Serve un lavoro coordinato tra ginecologi, ostetriche, pediatri e medici di medicina generale per superare queste resistenze e proteggere davvero i più piccoli».

Anche prima del concepimento è importante agire in ottica preventiva. «Le donne in età fertile dovrebbero essere immunizzate contro morbillo, parotite, rosolia (Mpr) e varicella – aggiunge Russo - in quanto un’infezione contratta in gravidanza, specialmente nelle prime settimane, può comportare gravi rischi per non solo per il nascituro, ma anche per la stessa gestante. Dal momento che i vaccini Mpr e contro la varicella sono controindicati in gravidanza, è fondamentale che la vaccinazione avvenga prima del concepimento, con due dosi somministrate almeno un mese prima dell’inizio della gravidanza».

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Ictus. Obiettivo: ridurre i casi del 10% entro il 2030

HealthDesk - Gio, 04/17/2025 - 17:41
Il Piano

In Italia ogni anno 100 mila persone vengono colpite da ictus, ma ad accedere alle Stroke Unit, le unità dedicate al trattamento di questa patologia, sono solo tra il 50 e il 70%, con conseguenze sulla sopravvivenza, sui tempi di intervento terapeutico e sulla compromissione della funzionalità. 

Una situazione su cui è necessario intervenire, come messo in evidenza dall'Italian Stroke Association – Associazione italiana ictus (ISA-AII), che dal 2024 lavora allo Stroke Action Plan for Italy (SAP-I), la versione italiana del riferimento europeo, lo Stroke Action Plan for Europe (SAP-E).

«I numeri relativi sia all’incidenza dell’ictus che alle modalità di ricovero – osserva Paola Santalucia, presidente ISA-AII – mostrano l’importanza di un intervento efficace che veda impegnati sia gli operatori sanitari che le Istituzioni». Gli obiettivi principali da raggiungere entro il 2030, precisa, sono appunto la riduzione del numero assoluto di ictus del 10% e il trattamento di almeno il 90% dei pazienti nelle Stroke Unit, con accesso entro 24 ore dall’esordio dei sintomi. «L’obiettivo prevenzione – prosegue Santalucia - può essere raggiunto grazie ad attività di informazione ed educazione della popolazione sui fattori di rischio dell’ictus e sull’importanza degli stili di vita sani, la promozione di programmi educazionali e di screening per i quali collaboriamo strettamente con ALICe, l’Associazione dei pazienti colpiti da ictus, e la collaborazione con i tavoli istituzionali. È poi fondamentale intervenire sul dato della presa in carico nelle Stroke Unit, per cui sarà necessario un impegno congiunto tra operatori sanitari e Istituzioni».

Il SAP-I è stato realizzato, sottolinea Andrea Vianello, presidente di A.L.I.Ce. Italia, con «un obiettivo ben chiaro, il benessere dei pazienti. Aprile è il mese che dedichiamo alla prevenzione di questa patologia: le nostre attività, iniziative e campagne di informazione hanno come obiettivo non solo quello di sensibilizzare la popolazione generale sui fattori di rischio, sull’importanza della prevenzione e del fattore tempo ma anche di far sentire le persone colpite da ictus parte di una comunità e, quindi, meno sole». Uno dei progetti su cui sta lavorando l'Associazione è quello chiamato Fast Heroes che vede coinvolte le scuole primarie per insegnare ai bambini come riconoscere i sintomi dell’ictus in modo da poter chiamare i soccorsi e salvare nonni, zii e genitori: «Il lavoro è molto, la strada per diminuire l’incidenza della malattia e le disabilità correlate è ancora lunga – conclude Vianello - ma siamo certi che, grazie all’impegno congiunto tra clinici, associazioni pazienti e Istituzioni si possano raggiungere i risultati ambiti».

 

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Alopecia areata: non è solo una questione estetica

HealthDesk - Gio, 04/17/2025 - 17:39
L'incontro Infografica Alopecia Areata.jpg

L’alopecia areata è una malattia autoimmune imprevedibile e complessa, che colpisce indipendentemente dall’età o dal genere. Oltre alla perdita improvvisa dei capelli o su tutto il corpo, comporta un peso emotivo e psicologico profondo, che influenza l’autostima, le relazioni sociali e la qualità della vita.

In Italia ci convivono circa 120 mila persone che hanno poche opzioni di cure a cui affidarsi. Oggi, però, grazie alla ricerca e all’introduzione di nuove terapie, i pazienti possono contare su trattamenti efficaci per gestire la malattia. 

Per esempio, ritlecitinib, sviluppato da Pfizer, è il primo trattamento orale approvato per l’alopecia areata severa negli adulti e adolescenti di età pari o superiore a dodici anni, di cui si è parlato in un incontro a Bologna mercoledì 17 aprile.

«L’alopecia areata è una patologia autoimmune spesso sottovalutata – sostiene Bianca Maria Piraccini, professoressa di Dermatologia all'Università di Bologna – che può compromettere profondamente l’equilibrio psicologico e relazionale dei pazienti, soprattutto nei giovani. Ritlecitinib rappresenta un passo avanti nella gestione della malattia» e «agisce in modo mirato, modulando selettivamente l’infiammazione che aggredisce i follicoli piliferi, senza comprometterne la funzionalità. La possibilità di somministrazione quotidiana in un’unica compressa migliora non solo l’aderenza alla terapia – aggiunge Piraccini - ma anche l’esperienza complessiva del paziente, che oggi può contare su una prospettiva terapeutica solida e durevole nel tempo».

L’indicazione di ritlecitinib per il trattamento dell’alopecia areata severa è supportata dallo studio ALLEGRO, che ha coinvolto 718 pazienti con una perdita di capelli sul cuoio capelluto pari o superiore al 50% e ha confrontato l’efficacia di ritlecitinib rispetto al placebo. Dopo 24 settimane il 13% dei pazienti trattati si trovava vicino alla remissione con una copertura del cuoio capelluto superiore al 90%, mentre il 23% aveva una copertura superiore all’80%, rispetto all’1,6% dei pazienti nel gruppo placebo. Dopo 48 settimane, il 31% dei pazienti trattati con il farmaco si trovava vicino alla remissione. Anche lo studio ALLEGRO-LT, condotto per valutare la sicurezza e l’efficacia prolungata di ritlecitinib, ha dimostrato la sostenibilità del trattamento fino a 24 mesi.

L’alopecia areata non è considerata una malattia invalidante, ma le sue conseguenze sul piano psicologico ed emotivo possono essere molto importanti. La perdita improvvisa dei capelli può infatti generare ansia, depressione e un forte calo dell’autostima. Colpendo persone di tutte le età, inclusi bambini e adolescenti, questa condizione rende particolarmente difficile il percorso di accettazione della propria immagine. A pesare ulteriormente è la percezione sociale della malattia, che può portare a isolamento, difficoltà nelle relazioni quotidiane e, in alcuni casi, a episodi di discriminazione.

«Oggi sappiamo che l’alopecia areata non si limita alla perdita dei capelli – sottolinea Alfredo Rossi, professore di Dermatologia all’Università La Sapienza di Roma – ma ha un impatto profondo sulla vita sociale, emotiva e relazionale delle persone. È per questo che diventa essenziale adottare un approccio multidisciplinare, in cui il dermatologo sia il punto di partenza di un percorso che coinvolga anche il supporto psicologico e il medico di Medicina generale. Significa passare dalla cura della malattia alla cura della persona».

«A chi mi chiede cosa comporti davvero l’alopecia areata – interviene Claudia Cassia, presidente dell'Associazione italiana pazienti alopecia and friends (Aipaf) - rispondo così: non è solo una malattia visibile, è una condizione che cambia il modo in cui ci vediamo e in cui ci guardano. Perché la perdita dei capelli non è un fatto estetico, ma il segno visibile di un'aggressione del sistema immunitario contro il proprio corpo. Un’aggressione che colpisce profondamente anche la nostra identità». Quello che «fa ancora più male – aggiunge Cassia - è l’incomprensione. C’è chi parla di “capelli che ricrescono”. C’è chi dice che “tanto ci sono problemi ben peggiori”». L'Associazione non chiede «compassione, ma giustizia. Un accesso più equo alle cure, un’informazione chiara, il riconoscimento pieno di una malattia che cambia la vita. E chiediamo che la presa in carico sia reale, strutturata. Serve una rete di Centri competenti, capaci di accogliere e accompagnare il paziente. Anche un solo giorno a settimana, nei reparti di dermatologia, la presenza di uno specialista esperto in tricologia farebbe una differenza enorme. Una diagnosi corretta, un supporto mirato, una terapia adeguata possono cambiare la traiettoria della nostra storia». Perché «la battaglia contro l’alopecia areata – spiega Cassia - non è solo clinica, è anche culturale. Dobbiamo abbattere lo stigma, combattere la disinformazione, ridare dignità a chi soffre. Perché dietro la caduta dei capelli si nasconde molto di più: la perdita della propria identità, del proprio ruolo sociale, della libertà di essere sé stessi».

«Riteniamo fondamentale che l’innovazione terapeutica impatti positivamente la qualità di vita delle persone» assicura infine Barbara Capaccetti, direttrice medica di Pfizer in Italia. «In dermatologia siamo impegnati in una stretta collaborazione con la comunità scientifica – aggiunge - proprio per sviluppare soluzioni efficaci ai bisogni ancora insoddisfatti dei pazienti. Non solo con terapie innovative, ma anche con la definizione di percorsi di cura sempre più personalizzati, accessibili e integrati, che valorizzino l’ascolto e l’esperienza di chi vive la malattia».

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Brevetti in scadenza per diabete, Bpco ed epilessia. Cardiovascolare e antidepressivi, però, restano centrali nel mercato dei farmaci equivalenti

HealthDesk - Gio, 04/17/2025 - 17:35
Il Rapporto

Diabete di tipo 2, Bpco, epilessia: in queste tre aree si concentrano le scadenze brevettuali di farmaci tra il 2025 e il 2029. Si tratta di 21 molecole che andranno a incrementare il mercato dell’off patent e quasi certamente anche quello dei generici-equivalenti. 

A disegnare questa prospettiva è la società Newline RDM in una previsione realizzata per il Rapporto annuale del Centro studi di Egualia.

«Nei prossimi due anni il mercato dell’off patent vedrà una crescita, seppur contenuta, in termini di confezioni alla quale contribuiranno le principali scadenze brevettuali» conferma Elena Folpini, Managing Director New Line RDM. «Al contempo – aggiunge - il farmaco equivalente continuerà gradualmente ad aumentare la sua penetrazione, con una crescita di 0,74 punti quota nel mercato off patent dal 2024 al 2026. A questa crescita contribuiranno maggiormente l’area del sistema cardiovascolare, in particolare con i farmaci regolatori dei lipidi in associazione, coi betabloccanti, e con gli antagonisti dell’angiotensina in associazione, e l’area del sistema nervoso, dove gli antidepressivi e gli stabilizzatori dell’umore registreranno una domanda sempre più crescente».

La previsione rispecchia le tendenze illustrate nel Rapporto annuale realizzato dal Centro studi di Egualia sui dati del mercato dei generici-equivalenti nel 2024, che rivela un outlook di sostanziale stabilità rispetto al 2023, con un giro d’affari da 1,7 miliardi di euro e un totale di 422 milioni di confezioni vendute nel canale farmacia, l’89% in Classe A, totalmente rimborsate dal Ssn, dove si concentra l’82% del giro d’affari del comparto.

In particolare nel 2024, nel canale delle farmacie aperte al pubblico, i generici-equivalenti hanno rappresentato il 23,3% del totale del mercato a confezioni e il 15,8% del mercato a valori. Su un totale di 1,8 miliardi di confezioni di farmaci venduti in farmacia i generici-equivalenti rappresentano il 20,8% delle vendite in classe A, il 2,2% in classe C e appena lo 0,3% nell'area dell'automedicazione.

I generici-equivalenti rappresentano il 23,3% del totale del mercato farmaceutico a volumi, mentre i brand a brevetto scaduto, arrivano al 64,2%. I farmaci esclusivi (protetti o senza generico corrispondente) assorbono invece l'altro 12,5% del mercato complessivo.

Il divario Nord-Sud dei consumi regionali

Per quanto riguarda il mercato dei farmaci rimborsati di Classe A, il ricorso alle cure equivalenti continua a essere privilegiato al Nord (40,4% in unità e 34,4% in valori), rispetto al Centro (29,5% e 26,9%) e al Sud (24,3% e 22,1%), a fronte di una media Italia del 32,6% in confezioni e del 28,8% in valori. In una Italia, dove il rimborsato Ssn è per l’86% rappresentato da farmaci off patent, il peso degli equivalenti varia ancora in modo rilevante da Regione a Regione: l’incidenza maggiore dei “senza marca” si registra a Trento (45,3%), in Lombardia (42,5%), in Piemonte (40,9%); il minor ricorso ai generici-equivalenti si registra invece in Basilicata (23,3%), Calabria (22,1%), Campania (21,8%).

In ospedale off patent il 65% delle cure

Nel 2004 il 65% delle cure somministrate in ospedale afferisce all’area dei farmaci fuori brevetto: gli equivalenti hanno assorbito il 36,5% del mercato a volumi (+3% sul 2023), i farmaci esclusivi, sotto brevetto o privi di generico corrispondente, hanno assorbito il 34,9% (+0,2% rispetto al 2023), mentre la restante quota è stata assorbita dai brand a brevetto scaduto, che hanno concentrato il 28,6% (-3,2% rispetto al 2023) dei consumi in corsia.

«Il servizio sanitario pubblico – sostiene Riccardo Zagaria, vicepresidente di Egualia con delega al Centro studi - trae un enorme vantaggio dalla presenza sul mercato dei nostri prodotti: la concorrenza generata dagli equivalenti dal 2012 a oggi ha generato, in termini di minore spesa per l’Ssn, risparmi superiori ai 6 miliardi di euro. Ssn e cittadini potrebbero ulteriormente beneficiarne se tutte le Regioni incrementassero sia l’uso dei farmaci fuori brevetto che quello dei farmaci equivalenti».

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Obesità: nasce la Federazione delle associazioni di pazienti

HealthDesk - Gio, 04/17/2025 - 17:34
L'iniziativa

Far sentire la voce dei pazienti, tutelarne i diritti e contribuire al dibattito per il contrasto all’obesità, intesa come emergenza prioritaria del sistema sanitario.

È questo l’obiettivo della Federazione italiana associazioni obesità (Fiao), presentata a Roma mercoledì 16 aprile, come alleanza che riunisce sette Associazioni di pazienti già impegnate nell’ambito dell’obesità. 

Presidente della nuova Federazione è Iris Zani, presidente di Amici obesi Onlus, vicepresidente è Eligio Linoci, presidente di La Mattina dopo Odv.

L’obesità è una malattia cronica progressiva e recidivante, che in Italia riguarda circa il 12 per cento della popolazione, ovvero circa 6 milioni di persone. A questi si aggiunge circa un altro 40 per cento della popolazione con sovrappeso, il che significa che nel nostro Paese un problema di peso riguarda oltre la metà degli adulti. Ma in Italia un problema di obesità o sovrappeso ce l'ha anche il 30 per cento circa dei bambini. Uno scenario che, nel suo complesso e nelle sue implicazioni, rappresenta una delle grandi sfide del nostro sistema sanitario, anche alla luce della possibilità concreta che ha oggi l’Italia di avere la prima legge al mondo dedicata all’obesità, all'esame del Parlamento.

«Fiao, nel dare voce ai pazienti, intende promuovere una corretta informazione sull’obesità e sensibilizzare le Istituzioni, e la comunità tutta, sul suo riconoscimento come malattia» spiega Zani. Scopo dell'Associazione, precisa, è «accompagnare e supportare le persone lungo il loro percorso, offrendo assistenza, orientamento e sensibilizzazione su una malattia complessa e troppo spesso sottovalutata, sottolineando l’importanza di un approccio multidisciplinare, da un lato, e della condivisione di esperienze, dall’altro, per migliorare la qualità di vita di chi vive con questa malattia».

Attraverso questa Federazione, le Associazioni riunite «intendono creare una rete solida e inclusiva per diffondere consapevolezza, abbattere i pregiudizi e favorire un accesso equo alle cure» aggiunge Linoci. 

«Il riconoscimento dell’obesità come una malattia cronica e recidivante è un aspetto fondamentale nel contrasto a questa emergenza, che richiede il pieno supporto da parte della società e della politica».

Il ruolo delle Associazioni dei pazient, sottolinea Andrea Lenzi, presidente del Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita della Presidenza del consiglio dei ministri, membro della Cabina di Regia piano nazionale della cronicità, «è oggi sempre più importante: non solo assistono gli associati, ma dialogano come interlocutori fondamentali con il mondo dei medici e delle Istituzioni. La nascita di una Federazione come Fiao che unisce autorevolmente le Associazioni di persone con obesità rappresenta una novità molto importante e una spinta ulteriore ad agire nella giusta direzione».

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Vaccinazioni, in un position paper le opportunità e le sfide

HealthDesk - Gio, 04/17/2025 - 15:15
Il documento Vaccinare Senato.jpeg

La vaccinazione come pilastro delle politiche sanitarie pubbliche, capace di ridurre il carico delle malattie infettive e proteggere la salute dei cittadini lungo tutto il corso della vita, a partire dall’infanzia. È questo il messaggio rimarcato dal progetto “Vaccinare per proteggere: il valore della vaccinazione fin dall’infanzia e la necessità di una life course immunization”. Il progetto, realizzato dalla divisione Healthcare & People Advocacy di Bistoncini Partners, con il contributo non condizionante di Pfizer, è iniziato nell’autunno 2024 e si è concluso con la realizzazione di un Position Paper presentato al Senato. 

«Il tema della vaccinazione è di fondamentale importanza e oggi più che mai è necessario recuperare il valore che questo strumento rappresenta per la salute pubblica», ha affermato il senatore Ignazio Zullo. «Le diffidenze nate negli ultimi anni ci impongono una riflessione profonda. Serve un cambio di approccio: è il momento di puntare su una raccomandazione forte, supportata da un’adeguata informazione sanitaria. Solo così possiamo dissipare i dubbi e le paure, molte delle quali create dal sistema stesso». 

Il position paper rimarca il concetto di life course immunization, cioè una strategia vaccinale che accompagni l’individuo dalla nascita, alla gravidanza all’anzianità. 

«Vaccinare significa proteggere: è una misura di prevenzione fondamentale», ha sottolineato Antonio D’Avino, Presidente della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP). «Oggi abbiamo un modello virtuoso in cui i pediatri vaccinano direttamente e questo si traduce in coperture maggiori, come dimostrato dai numeri regionali. Il rapporto di fiducia che costruiamo con le famiglie ci permette di promuovere l’adesione consapevole». 

«Le vaccinazioni sono prima di tutto un diritto: un diritto alla salute, alla prevenzione, alla qualità della vita. E questo diritto va garantito in modo continuo, stabile, sostenibile», ha aggiunto Tommasa Maio, responsabile vaccini Metis. 

Non sempre però ciò avviene in maniera uniforme sul territorio nazionale. Esistono forti differenze nelle modalità di offerta tra le diverse regioni e talora nella tempestività di aggiornamento dei calendari. 

«Oggi il ruolo delle Regioni è sempre più centrale nell’introduzione delle vaccinazioni, come dimostrano recenti esempi», ha spiegato Carlo Signorelli, presidente del National Immunization Technical Advisory Group (NITAG). «Le best practices regionali possono offrire stimoli importanti per aggiornare il calendario vaccinale, anche se vanno adottate ai diversi contesti locali. Serve una governance attenta, anche rispetto ai costi: il mondo scientifico ha il compito di stabilire le priorità all’interno delle risorse disponibile, basandosi su dati ed evidenze, diffondendo messaggi chiari e coerenti». 

«Credo profondamente che vaccinare significhi dare alle persone uno strumento concreto di protezione», ha concluso Simona Barbaglia, presidente dell’Associazione Nazionale Pazienti Respiriamo Insieme. «Scienza e politica devono lavorare insieme: la scienza per fornire informazioni validate, la politica per garantire equità nell’accesso. Se esistono vaccini in grado di offrire una protezione più ampia, è doveroso assicurarne la disponibilità per tutti, soprattutto per i bambini e le persone più vulnerabili», ha concluso. 

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Trapianto di neuroni per curare il Parkinson, dati positivi da due studi clinici

HealthDesk - Gio, 04/17/2025 - 14:51
Gli studio PLoSBiol4.e126.Fig6fNeuron.jpg Immagine: Wei-Chung Allen Lee, Hayden Huang, Guoping Feng, Joshua R. Sanes, Emery N. Brown, Peter T. So, Elly Nedivi, CC BY 2.5 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.5>, da Wikimedia Commons Su Nature due piccole sperimentazioni. Dopo il trapianto le cellule nervose prodotte da cellule staminali producono dopamina, non hanno effetti collaterali rilevanti e ci sono ance segni di efficacia

Ancora è solo una promessa. La possibilità che si realizzi, però, ha ora fatto un passo avanti. Due studi clinici hanno infatti confermato che nelle persone affette da malattia di Parkinson, una terapia cellulare - un vero e proprio trapianto di neuroni - non causa effetti collaterali gravi. Dalle sperimentazioni, inoltre, emergono timidi segnali di efficacia. I risultati dei test sono stati pubblicati ieri su Nature e aprono la porta a sperimentazioni più ampie che confermino sicurezza ed efficacia. 

Il Parkinson è causato dalla progressiva degenerazione e morte dei neuroni che producono un neurotrasmettitore: la dopamina. I farmaci oggi in uso puntano a fornire dall’esterno questo sostanza e per un buon periodo di tempo ci riescono. Tuttavia, non sono esenti da effetti collaterali e nel lungo periodo tendono a perdere efficacia. 

Da qui l’idea che ripristinare i neuroni persi possa rappresentare una valida alternativa terapeutica. L’intuizione è vecchia di diversi decenni e in passato ci fu addirittura chi tentò di sostituire queste cellule mancanti con trapianti di tessuto cerebrale fetale.

Ora diversi gruppi di ricerca nel mondo stanno percorrendo questa strada tendando diverse strategie per produrre i neuroni dopaminergici e poi trapiantarli nei pazienti. 

In questo filone si inseriscono i due studi. Il primo, condotto su sette pazienti da ricercatori della Kyoto University, in Giappone, ha usato un particolare tipo di cellule staminali (cellule staminali pluripotenti indotte) per far sviluppare neuroni capaci di produrre dopamina. Queste staminali si ottengono partendo da normali cellule adulte fatte ‘regredire’ allo stadio staminale lo spegnimento di alcuni geni eseguito in laboratorio. Il secondo, coordinato dal Memorial Sloan Kettering Cancer Center, ha prodotto i neuroni partendo da cellule staminali embrionali (la terapia, denominata bemdaneprocel, è di proprietà della farmaceutica BlueRock Therapeutics).

Dopo essere state fatte differenziare in neuroni le cellule sono state trapiantate nei pazienti. 

Nei 18-24 mesi successivi al trapianto nessuno dei volontari ha riscontrato effetti avversi gravi, i neuroni impiantati hanno continuato a produrre dopamina - sebbene non sempre in quantità giudicata sufficiente - e, inoltre, in quattro pazienti è stata osservata una riduzione dei sintomi della malattia. 

«Con le cautele legate a uno studio di piccole dimensioni, ci sono stati segnali di effetti considerevoli sui sintomi del Parkinson», ha affermato la prima firmataria di uno degli studi, Viviane Tabar. «È ancora presto, ma questo ci dà ottimismo sul fatto che il trattamento possa davvero migliorare la qualità della vita di questi pazienti».

Cauti anche i ricercatori giapponesi: «Abbiamo bisogno di studi multicentrici, su ampi campioni con più controlli», ha detto Jun Takahashi, neurochirurgo coordinatore dell’altro studio. 

Questi studi sono in dirittura d’arrivo. La Food and Drug Administration americana ha accordato il permesso alla realizzazione di uno studio di fase III il cui inizio è già previsto nel primo semestre del 2025. Si prevede che a breve saranno arruolate un centinaio di persone. Anche il gruppo giapponese sta collaborando con un'azienda farmaceutica per l’avvio di un nuovo studio clinico.

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Nel 30% dei casi le alterazioni molecolari possono orientare la cura dei tumori

HealthDesk - Mar, 04/15/2025 - 17:00
L'Italian Summit On Precision Medicine

Quasi un terzo delle persone colpite da un tumore in fase avanzata oggi può ricevere una terapia basata su un biomarcatore, cioè su un’alterazione genetico-molecolare. Questa percentuale è destinata ad aumentare grazie ai progressi della ricerca e al nuovo paradigma dell’oncologia di precisione, costituito dal modello mutazionale, in cui la firma genomica supera il valore dell’organo da cui il cancro ha origine. Per l’effettivo funzionamento di questo nuovo approccio, però, da un lato è necessario l’utilizzo di test di profilazione genomica estesa che possano esaminare anche 500 geni con un singolo esame, come quelli NGS (Next Generation Sequencing). Dall’altro lato, è indispensabile l'intervento da parte dei Molecular Tumor Board (MTB) per valutare il significato biologico e clinico delle alterazioni rilevate, che potrebbero essere trattate con specifici farmaci a bersaglio molecolare o con l’immunoterapia. Ma in Italia solo il 2% delle biopsie da pazienti oncologici sono analizzate con NGS (nel 2020/2021), contro una media europea del 10%. E, a oggi, solo dodici sistemi sanitari locali su 21 hanno un MTB unico regionale. 

Perché il modello mutazionale si affermi, allora, è fondamentale che venga istituita una rete strutturata di MTB, in stretta collaborazione con le Reti oncologiche regionali, e un Centro di coordinamento nazionale dei MTB, che monitori l’istituzione e le attività svolte a livello regionale. La richiesta viene dall'Italian Summit On Precision Medicine, evento internazionale organizzato dalla Fondazione per la medicina personalizzata (Fmp), a Roma il 14 e 15 aprile, con la partecipazione di oltre 150 esperti.

«Il modello mutazionale – spiega Paolo Marchetti, presidente Fmp e direttore scientifico dell’Idi di Roma – costituisce una sfida per l’oncologia, permettendo nuove strategie di cura, associate a percorsi scientifici e regolatori realmente innovativi, con la necessità di assicurare l’uguaglianza di accesso per tutti i pazienti. Nel modello istologico, i farmaci sono autorizzati dall’ente regolatorio europeo, rimborsati dalle agenzie regolatorie nazionali e prescritti dagli oncologi». In questo modello i farmaci vengono indicati dal Molecular Tumor Board a seguito della profilazione genomica di pazienti metastatici, per i quali le cure standard non abbiano rilevato benefici. «In questo nuovo paradigma - precisa Marchetti - i trattamenti risultano off-label in presenza di mutazioni con sede diversa da quella autorizzata oppure perché sono farmaci in fase di sviluppo e, quindi, non ancora autorizzati e rimborsati. L’aspetto più complesso riguarda l’accesso e la copertura finanziaria delle terapie in base alle decisioni assunte dall’Mtb».

Nel 2024 in Italia sono state stimate più di 390 mila nuove diagnosi di tumore.

Nel nostro Paese «bisogna accelerare l’istituzione dei Molecular Tumor Board» conferma Giuseppe Curigliano, presidente eletto della Società europea di oncologia medica (Esmo), professore di Oncologia medica all’Università di Milano e direttore della Divisione Sviluppo di nuovi farmaci per terapie innovative allo Ieo. «L’analisi e l’interpretazione dei risultati della profilazione genomica – sottolinea - richiedono competenze inter e multidisciplinari» come, per esempio quelle dell’oncologo medico, dell’anatomopatologo, il biologo molecolare, il genetista, il farmacologo clinico, il farmac«ista ospedaliero, il bioinformatico, l’epidemiologo clinico e il bioeticista. Un altro obiettivo cruciale - aggiunge Curigliano - è la condivisione di dati genomici uniformi mediante il completamento della Piattaforma genomica nazionale, che permetterà la produzione di nuove conoscenze e l’accesso di più pazienti alle terapie innovative, consentendo contemporaneamente la valutazione dell’efficacia e dei costi e un miglior governo della pratica clinica».

L’intelligenza artificiale contribuisce ad insegnare l’oncologia

L’intelligenza artificiale entra in classe per insegnare l’oncologia medica. È italiano il primo studio al mondo (“AI Learning”), presentato all’Italian Summit on Precision Medicine, che vuole indagare il livello di apprendimento degli studenti di Medicina che frequentano lezioni svolte da avatar dotati di intelligenza artificiale. Il sistema di docenza si chiama Plato ed è sviluppato dalla start-up ctcHealth.

Lo studio, promosso dalla Fondazione per la medicina personalizzata presso l’Università La Sapienza di Roma, partirà a settembre 2025 e coinvolgerà circa 120 studenti degli ultimi due anni del Corso di laurea in Medicina. È il primo al mondo che intende verificare in maniera scientifica quale possa essere il vantaggio offerto dagli avatar dotati di intelligenza artificiale applicati al mondo della didattica medica.

«Nello studio verranno analizzate sia le risposte degli studenti alla fine della singola lezione sia dopo un certo periodo, ad esempio dopo una o due settimane» spiega Andrea Botticelli dell’Università La Sapienza di Roma e Principal Investigator dello studio.«Mentre nel tradizionale insegnamento frontale lo studente può avvalersi solo degli appunti scritti durante la lezione – prosegue -  con PLATO, in caso di dubbi, può formulare domande all’insegnante avatar nel corso della lezione o anche dopo alcuni giorni. Inoltre, PLATO consente di superare i limiti temporali, perché è possibile collegarsi alla lezione in ogni momento».

La Facoltà di Medicina e odontoiatria della Sapienza e tutto l’Ateneo «sono fortemente impegnati nella sperimentazione di metodologie didattiche innovative, volte a migliorare la formazione dei nostri giovani» coomenta infine Domenico Alvaro, preside della Facoltà.

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Emofilia: colpite anche le donne. Servono linee guida specifiche

HealthDesk - Lun, 04/14/2025 - 19:41
Giornata mondiale Young_Woman_on_Battlements_-_Olinda_-_Outside_Recife_-_Brazil_-_02.jpg Immagine: Adam Jones, Ph.D., CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons Garantire diagnosi e parità di accesso a trattamenti e terapie, in particolare alle donne con emofilia e malattie emorragiche congenite, spesso ancora troppo sottodiagnosticate: è l’appello lanciato dalla Federazione delle Associazioni emofilici in occasione della Giornata mondiale del 17 aprile

In passato si è ritenuto che solo i maschi potessero essere affetti da emofilia A o B e che le femmine fossero solamente portatrici della malattia. Errore: oggi sappiamo che, per la casuale inattivazione del cromosoma X, il cosiddetto fenomeno della lyonizzazione, può verificarsi una carenza di fattore VIII o IX in entrambi i generi, tanto che quasi un terzo delle donne può essere colpito da queste malattie e le portatrici presentano globalmente un aumentato rischio di sanguinamento, addirittura di tipo emorragico nel 10-15% dei casi.

In occasione della Giornata mondiale emofilia 2025 (Gme) del 17 aprile, la Federazione delle Associazione di emofilici (FedEmo) ha promosso un incontro il 14 aprile a Roma sul focus di quest'anno tutto al femminile:“Le MEC, malattie emorragiche congenite nelle donne: una condizione di rarità e fragilità. Diagnosi e terapie”.

Le malattie emorragiche congenite (Mec) sono un gruppo di malattie rare ereditarie causate dalla carenza quantitativa o qualitativa di uno o più fattori della coagulazione del sangue con conseguente predisposizione al sanguinamento. L’emofilia A (carenza di fattore VIII) e l’emofilia B (carenza di fattore IX) insieme alla malattia di von Willebrand sono i disturbi emorragici congeniti più frequenti per un numero complessivo, secondo gli ultimi dati dell'Istituto superiore di sanità di oltre 10 mila persone in Italia.

«Nelle donne affette da Mec – ricorda Cristina Cassone, presidente FedEmo – i sanguinamenti ostetrico-ginecologici rappresentano indubbiamente la manifestazione emorragica prevalente. Conseguentemente, la donna affetta da Mec presenta una maggiore frequenza di sanguinamenti e una qualità della vita peggiore rispetto ai maschi con la stessa malattia. Durante la vita riproduttiva, infatti, i sanguinamenti fisiologici, come ciclo mestruale, ovulazione e parto – precisa - possono causare emorragie anche pericolose per la vita. Inoltre, tali sintomi possono determinare la necessità di terapie aggiuntive, comportando ulteriori complicazioni».

La Giornata mondiale dell’Emofilia quest’anno vuole dunque richiamare l’attenzione sull’importanza di non considerare l’emofilia e le Mec solo patologie al maschile.

«Il sospetto clinico di una malattia emorragia in una donna – spiega Vito Trojano presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo) - può nascere in qualunque momento, anche dopo una banale estrazione dentaria o durante i cicli mestruali, se molto abbondanti o, nella maniera più eclatante, nel post partum dopo l’estrazione del feto la cui evenienza può condurre a emorragie così importanti da necessitare, oltre a un intervento medico, anche un intervento chirurgico di asportazione dell’utero».

Un riconoscimento precoce è essenziale per una gestione adeguata e per prevenire conseguenze anche gravi. «Esistono fortunatamente dei campanelli di allarme: durante l’adolescenza – sottolinea Elvira Grandone, professoressa al Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche all'Università di Foggia - mestruazioni abbondanti, a esempio, possono indicare coagulopatie. Nell’età fertile, sanguinamenti anomali, soprattutto in gravidanza o post-partum, sono segnali importanti. In gravidanza e parto, il rischio di emorragie spontanee o aborti ricorrenti richiede attenzione. In menopausa, infine, il sanguinamento anomalo può suggerire disturbi della coagulazione». 

L’auspicio è che vengano definite linee guida sempre più chiare: «Esistono già linee guida internazionali che forniscono indicazioni sulla diagnosi e la gestione delle Mec nelle donne – osserva Rita Carlotta Santoro presidente dell'Associazione italiana centri emofilia (Aica) - con particolare attenzione alle specificità legate al ciclo mestruale e alla gravidanza». Tuttavia, in Italia «come Aice stiamo lavorando alla redazione di Linee guida nazionali – aggiunge Santoro - e abbiamo istituito uno specifico Gruppo di lavoro rivolto a studiare gli aspetti clinici e di ricerca relativi alle donne portatrici e affette da malattie emorragiche congenite».

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Grazie a intelligenza artificiale e tecnologie per la sanità, record di brevetti in Europa per Philips

HealthDesk - Lun, 04/14/2025 - 19:37
Aziende

Con 594 richieste di brevetto depositate all’Ufficio europeo dei brevetti (EPO - European Patent Office) nel segmento delle tecnologie sanitarie e 1.231 domande in vari settori, nel 2024 Royal Philips si è posizionata tra le principali aziende richiedenti brevetti in assoluto e la prima tra quelle olandesi.

A conferma della sua capacità innovativa, Philips è stata inoltre riconosciuta, per il dodicesimo anno consecutivo, da Clarivate come prima azienda al mondo per l’innovazione nel campo health tech all’interno della classifica Top 100 Global Innovators 2025.

Tra le innovazioni sviluppate dall'azienda e sottoposte a richiesta di brevetto vi sono sistemi informatici avanzati e programmi di intelligenza artificiale per affiancare gli operatori sanitari nel processo decisionale, eseguire diagnosi più rapide e precise e offrire ai pazienti percorsi di cura più personalizzati.

Un risultato che nasce dallo sviluppo di tecnologie all’avanguardia, frutto di continui investimenti in ricerca: nel 2024 sono stati circa 1,7 miliardi di euro, pari a oltre il 9% del fatturato, dato superiore alla media del settore. Grazie al suo impegno nell’innovazione e nella ricerca, a oggi il portafoglio di proprietà intellettuale dell’azienda comprende 50.500 diritti di brevetto, 30.500 marchi registrati, 150.000 diritti di design e 3.200 domini.

Tra le tecnologie che Philips ha lanciato nel 2024 sono presenti, per esempio, un nuovo sistema di terapia guidata da immagini per il trattamento dell’ictus, una nuova tomografia computerizzata, una tecnologia a fibre ottiche per la riduzione delle radiazioni nelle operazioni di chirurgia vascolare minimamente invasiva e alcuni strumenti di intelligenza artificiale integrati nei sistemi di ecografia per automatizzare le procedure di imaging cardiovascolare.

«Da oltre 130 anni, Philips mette l’innovazione al servizio della salute» osserva Andrea Celli, Managing Director Philips Italia, Israele e Grecia. «Ogni anno investiamo circa il 10% del nostro fatturato in R&D per creare soluzioni in grado di aiutare i professionisti sanitari a rispondere alla continua crescente domanda di cure. La classifica dei brevetti europei del 2024 conferma il nostro impegno in questa direzione e il valore delle tecnologie digitali e dell’AI per rendere i sistemi sanitari più efficienti, accessibili e sostenibil».

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Ancora poche le reti gastroenterologiche

HealthDesk - Lun, 04/14/2025 - 19:36
Il Congresso

Tempestività e condivisione delle informazioni sono le priorità a cui guardare per la costruzione delle reti in ambito della gastroenterologia, ancora troppo scarse. Al tema, il Congresso nazionale delle malattie digestive, promosso dalla Federazione italiana delle società delle malattie dell'apparato digerente (Fismad) a Roma il 14 e 15 aprile, , ha dedicato una sessione. 

«Le reti in gastroenterologia rappresentano oggi un elemento cardine per garantire un’assistenza efficace, tempestiva e di qualità – sostiene Luca Frulloni, presidente della Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva (Sige) - soprattutto in ambiti complessi e spesso urgenti come le emorragie gastrointestinali, le urgenze endoscopiche non emorragiche, le malattie infiammatorie croniche intestinali, le patologie biliopancreatiche e le epatopatie». 

L’organizzazione in rete consente una gestione integrata e coordinata dei pazienti, fondata su un sistema strutturato di relazioni tra ospedali di riferimento (hub) e presidi territoriali (spoke), modello che consente una risposta tempestiva anche in contesti complessi, migliorando gli esiti clinici e riducendo il rischio di complicanze.

«Nelle urgenze emorragiche e nelle emergenze endoscopiche non emorragiche – sottolinea Frulloni – la rapidità dell’intervento è spesso decisiva per la prognosi. Un sistema in rete permette di ottimizzare il percorso del paziente, garantendo l’accesso immediato a centri dotati di tecnologia avanzata e personale specializzato».

Nel caso delle malattie infiammatorie intestinali (Mici), che richiedono una gestione cronica e spesso multidisciplinare, la rete consente di garantire un’assistenza continua e personalizzata, facilitando l’accesso a competenze specialistiche e a tecnologie diagnostiche di alto livello. Il paziente può così essere seguito in modo coordinato tra ospedale e territorio, con un miglioramento dell’aderenza terapeutica, del monitoraggio e della qualità di vita.

Anche per le patologie biliopancreatiche e per le malattie epatiche, che spesso presentano un’elevata complessità diagnostica e terapeutica, la rete consente di connettere i livelli di assistenza e di concentrare nei centri hub le competenze e le tecnologie necessarie.

Lo scorso 4 febbraio, il ministro della Salute ha approvato il documento elaborato dalla Cabina di regia per l’implementazione di una rete di Centri dedicati alla presa in carico e gestione di pazienti con patologia pancreatica definite “pancreas unit”, strutture organizzate in un modello a rete. «La creazione delle Pancreas Unit Hub e Spoke richiederà del tempo per arrivare a un coordinamento efficace tra ospedali e territorio – avverte Silvia Carrara, presidente dell'Associazione Italiana Studio Pancreas (Aisp - ma una volta consolidata la rete fra Hub e Spoke e definiti con precisione i percorsi diagnostico-terapeutici, potremo vedere i risultati che si tradurranno in una più accurata gestione clinica e una migliore qualità della vita dei malati».

L’organizzazione in rete della gastroenterologia basata sul modello hub-spoke «e su una solida infrastruttura di servizi di Gastroenterologia ed Endoscopia distribuiti ma integrati – assicura infine Frulloni – rappresenta un modello virtuoso per affrontare con efficacia sia le urgenze acute che le patologie croniche complesse. Questo approccio consente di coniugare prossimità e specializzazione, assicurando ai pazienti un percorso di cura sicuro, rapido e adeguato, in linea con i principi di equità, efficienza e sostenibilità del sistema sanitario».

Categorie: Medicina integrata

Tumore del rene, il sentito dire non basta

HealthDesk - Mer, 04/09/2025 - 15:51
L'indagine Fianco a fianco.jpeg Immagine: © HealthDesk Secondo un'indagine Piepoli è scarsa la conoscenza soprattutto sui percorsi di cura e i professionisti competenti. Ma poca consapevolezza anche sui progressi terapeutici grazie a farmaci a bersaglio molecolare e immunoterapia

Il tumore del rene lo conoscono praticamente tutti, ma quasi la metà degli italiani ne ha solo un'idea vaga, basata principalmente su TV e passaparola. A difettare è soprattutto la conoscenza sui percorsi di cura e sui professionisti a cui rivolgersi. È quanto emerge da un’indagine condotta dall’Istituto di Ricerca Piepoli presentata presentata durante l’evento dedicato all’edizione 2025 della campagna “Fianco a fianco. Uniti contro il carcinoma renale”, promossa da MSD con il patrocinio della Società Italiana di Urologia (Siu) e dell’associazione di pazienti ANTURE. 

Il carcinoma renale colpisce ogni anno circa 13mila persone e interessa quasi 155mila italiani che convivono con una diagnosi. Pazienti per i quali, negli ultimi anni, sono emerse nuove opportunità di diagnosi e trattamento, purché seguano un percorso adeguato e si rivolgano allo specialista appropriato. 

L’indagine, condotta su 1.000 persone, ha rilevato che il 94% del campione  conosce la patologia. Il 70% lo ritiene abbastanza diffuso e ne riconosce almeno un sintomi. 

«Quasi la metà degli intervistati però ne ha solo un’idea vaga basata principalmente su tv e passaparola e solo un terzo (32%) riconosce spontaneamente fattori di rischio legati a uno stile di vita scorretto, come fumo e alimentazione. Anche se le principali lacune degli italliani emergono quando si deve affrontare un percorso di diagnosi e cura», spiega Livio Gigliuto, presidente dell’Istituto Piepoli. 

Scarsa la conoscenza anche degli aspetti legati al percorso di cura. Il 92% degli intervistati, infatti, dichiara di non conoscere un centro di eccellenza per la cura del tumore del rene, quasi la metà crede erroneamente che la figura di riferimento sia il nefrologo contro un 43% che indica l’oncologo e un 35% l’urologo, a dimostrazione di una confusione nei ruoli. 

«La valutazione del paziente deve essere fatta in centri di eccellenza, centri cioè dove viene garantita la migliore presa in carico multidisciplinare con una stretta interazione tra urologi, oncologi, radiologi e anatomo-patologi. Un progetto utile per orientarsi in questo contesto è il “Bollino Arancione”, un riconoscimento, promosso da Siu, che identifica, tra i centri rispondenti, quelli che offrono trattamenti all'avanguardia e servizi dedicati a prevenzione, diagnosi e cura. I criteri di attribuzione del bollino garantiscono un approccio integrato basato su evidenze scientifiche e sulle più recenti linee guida internazionali, migliorando così la qualità delle cure per i pazienti», spiega Giuseppe Carrieri, Presidente della Società Italiana di Urologia (SIU).

Per quel che riguarda le terapie, la chirurgia viene indicata come trattamento per il tumore del rene dal 46% degli intervistati, il 33% cita la chirurgia robotica, sebbene meno della metà riconosce i vantaggi di questa metodica. 

«La chirurgia rappresenta un approccio cruciale nel trattamento del tumore del rene e la nuova frontiera della chirurgia robotica offre opportunità senza precedenti migliorando i risultati chirurgici e riducendo i tempi di recupero per i pazienti», afferma Andrea Minervini, Professore ordinario di Urologia presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica Università degli Studi di Firenze e Direttore della SOD di Urologia Oncologica mini-invasiva ed Andrologica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi (FI). «È fondamentale che gli urologi, che sono gli specialisti di riferimento nella gestione della malattia operabile, siano adeguatamente formati e aggiornati sulle ultime innovazioni chirurgiche e terapeutiche per garantire ai pazienti il percorso di cura più efficace. Questo è possibile solo lavorando con un approccio multidisciplinare al fine di trasformare un atto terapeutico in un percorso personalizzato per ogni paziente».

La mancanza di conoscenza degli italiani emerge anche quando si parla di terapie: il 55% degli intervistati associa la terapia esclusivamente alla chemioterapia e alla radioterapia, mentre solo il 26% indica la terapia farmacologica.

«In caso di tumore del rene metastatico è riconosciuto che i trattamenti chemioterapici e radioterapici tradizionali possono essere poco efficaci. Per questo motivo, gli oncologi si orientano verso terapie a bersaglio molecolare e immunoterapia, ormai consolidate nella pratica clinica. Grazie ai progressi della ricerca, oggi possiamo non solo curare il tumore nella sua fase avanzata ma anche prevenirne la recidiva andando ad identificare quei soggetti ad elevato rischio di sviluppare le metastasi dopo la chirurgia. Questi pazienti, se trattati con immunoterapia adiuvante, hanno una minor rischio di ricaduta e quindi possono sopravvivere più a lungo e liberi dal tumore», commenta Roberto Iacovelli, professore associato di Oncologia Medica presso Università Cattolica del Sacro Cuore e Oncologo Medico UOC Oncologia Medica Comprehensive Cancer Center Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS di Roma. 

Dall’indagine emerge anche il bisogno informativo su questa patologia: secondo il 42% degli intervistati si dovrebbe parlare di più di tumore del rene e il 39% chiede maggiori campagne di sensibilizzazione. 

«La corretta informazione sulla patologia e sui più appropriati percorsi diagnostici e terapeutici è essenziale per orientare correttamente pazienti e caregiver. Come Associazione siamo da sempre impegnati in questa direzione e abbiamo aderito con entusiasmo alla campagna ‘Fianco a fianco. Uniti contro il carcinoma renale’, che rappresenta un impegno concreto per aumentare - attraverso un’informazione puntuale e rigorosa – la consapevolezza su una patologia ancora troppo poco conosciuta», dice Tonia Cinquegrana, presidente ANTURE.

La campagna “Fianco a Fianco”, lanciata nel 2023, ha già raggiunto milioni di persone attraverso una comunicazione social mirata e a un sito web (www.tumoredelrene.it) che offre informazioni dettagliate e scientificamente validate, oltre a consigli pratici per supportare pazienti e caregiver. 

«La corretta informazione conclude, afferma Nicoletta Luppi, Presidente e Amministratrice Delegata di MSD Italia – rappresenta uno dei tre pilastri della nostra visione integrata e olistica in oncologia, insieme alla prevenzione e alla Ricerca. Oltre alla nostra missione di sviluppare soluzioni terapeutiche innovative, crediamo fermamente di avere la responsabilità, in partnership con tutti gli attori coinvolti, di contribuire anche alla diffusione della consapevolezza su temi rilevanti di salute. Oltrepassare le frontiere della conoscenza per rispondere a quei bisogni ancora non soddisfatti significa dare forma a un domani migliore, per i pazienti, i loro familiari e l’intera collettività. Una sfida che non ci stancheremo mai di perseguire».

Categorie: Medicina integrata

Con i cambiamenti climatici un cane su due è a rischio di leishmaniosi. E rischiano anche i padroni

HealthDesk - Lun, 04/07/2025 - 22:09
One Health

La leishmaniosi , malattia conosciuta e temuta dai proprietari di cani, è ormai endemica in tutta Italia. Nessuna Regione si salva: sono in forte aumento la diffusione e la distribuzione sia del Leishmania infantum, il parassita causale dell’infezione, sia del flebotomo, meglio conosciuto come pappatacio, che trasmette la forma infettante al cane e all’uomo. La prevalenza nei cani varia da 1,7% al 48,4%, secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità e ministero della Salute, ma in alcune Regioni del centro-sud e insulari un cane su due sarebbe esposto al parassita, con una sieroprevalenza che supera in alcuni casi il 50%, e una incidenza annuale dal 9,5% fino al 13,1% in aree endemiche come la Puglia. Nuovi focolai di infezione vengono registrati anche nelle Regioni più settentrionali, con 27 focolai di infezione registrati negli ultimi dieci anni.

Come zoonosi trasmissibile la leishmaniosi, oltre alle implicazioni di clinica veterinaria, ha anche ricadute sulla sanità pubblica ed è in questa prospettiva che esperti di fama nazionale e internazionale hanno partecipato a “STOP alla leishmania in 3ACT”, evento promosso da Boehringer Ingelheim, tenutosi nei giorni scorsi a Rezzato (BS).

Da alcuni anni l’epidemiologia della leishmaniosi «sta rapidamente cambiando – avverte Gioia Buongiorno, ricercatrice del Dipartimento Malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità - superando i confini meridionali per espandersi anche nei territori settentrionali. A influenzare negativamente la diffusione del vettore, i cambiamenti climatici con l’aumento delle temperature, gli allevamenti e le colture intensivi, gli animali di importazione, tutti fattori che favoriscono lo sviluppo delle larve dei flebotomi tutto l’anno e l’adattamento del flebotomo anche in fase di quiescenza invernale. Lo scenario desta preoccupazione – insiste - anche perché i casi di leishmaniosi animale e umana, soggetti a notifica obbligatoria, sono largamente sotto-notificati».

L’approccio One & More Health poggia su tre cardini: informare ed educare veterinari e proprietari; condividere le strategie migliori nella pratica clinica e nella sanità pubblica; prevenire con l’impiego di prodotti insetticidi e repellenti che proteggono i cani, diminuendo il rischio di punture del flebotomo.

I proprietari di cani generalmente conoscono la leishmaniosi e la temono, soprattutto quelli che vivono in aree ad alto rischio, ma solo il 47% di coloro che adottano misure di profilassi è consapevole che si tratta di una malattia mortale, se non curata; inoltre, un’alta percentuale di proprietari si affida al “fai da te” nell’acquisto di presidi considerati protettivi, senza il consiglio del veterinario.

Uno studio realizzato sul territorio al quale ha partecipato il ministero della Salute, condotto sulla casistica di ospedalizzazioni per leishmaniosi umana negli anni tra il 2011 e 2016, ha segnalato 1.700 casi di leishmaniosi viscerale umana, letale se non trattata subito e in modo adeguato, specie nei soggetti più fragili come la popolazione pediatrica, gli anziani e le persone di ogni età immunodepresse per altre patologie concomitanti.

«A causa del rialzo delle temperature determinato dai cambiamenti climatici la leishmaniosi ha superato i confini tradizionali: il flebotomo ha trovato condizioni di adattamento ideali e si è diffuso ovunque» spiega Marco Melosi, presidente dell'Associazione nazionale medici veterinari italiani (Anmvi).

«Siamo fermamente convinti che il ruolo del veterinario sia cruciale in questo contesto – assicura infine Emanuele Ferraro, Head of Pets&Equine Boehringer Ingelheim Animal Health - e per questo vogliamo fare la nostra parte per costruire un futuro in cui la salute venga vista in modo globale, integrato e sostenibile. La partnership tra privato, associazioni e medici veterinari può generare un importante valore aggiunto in ottica One Health».

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Disponibile online l’aggiornamento sui consumi e la spesa farmaceutica in Italia

HealthDesk - Lun, 04/07/2025 - 22:08
Aifa

Sul portale dell’Agenzia italiana del farmaco è online l’”OsMed interattivo” aggiornato con gli ultimi dati sui consumi e la spesa farmaceutica in Italia. Gli utenti possono accedere, selezionare e confrontare tabelle e grafici dell’ultima edizione del Rapporto OsMed (dati 2022-2023, aggiornati al 23 aprile 2024), analizzare i trend di utilizzo sia complessivi sia per singola Regione e ottenere report personalizzati.

Collegandosi al portale (aifa.gov.it/osmed-interattivo) sono consultabili i dati relativi all’assistenza convenzionata, agli acquisti delle strutture sanitarie pubbliche, alla spesa lorda pro capite e ai consumi per ATC e per categoria terapeutica. La piattaforma, arricchita da grafici e mappe interattive, permette di creare report dettagliati in base alle esigenze specifiche degli utenti. È possibile effettuare confronti tra diverse Regioni, evidenziando differenze e similitudini nei consumi e negli scostamenti di spesa rispetto alla media nazionale. La consultazione interattiva comprende anche le serie storiche relative ai dati nazionali e regionali a partire dal 2018.

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In Italia nove adolescenti su dieci non svolgono attività sportiva quotidiana

HealthDesk - Lun, 04/07/2025 - 22:03
Giornata mondiale della salute

In Italia il 90% degli adolescenti tra gli undici e i 15 anni non pratica attività sportiva quotidiana; meno del 10% svolge almeno 60 minuti di attività fisica al giorno, come raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Un bambino su cinque tra otto e nove anni è in sovrappeso e uno su cinque è obeso; solo il 14% dei piccoli sotto i tre anni frequenta un nido pubblico, con forti disuguaglianze territoriali.

Sono solo alcuni dei dati evidenziati dalla Rete italiana città sane–Oms, in occasione della Giornata mondiale della salute del 7 aprile, dedicata quest'anno al tema Healthy beginnings, hopeful futures, con focus sull’importanza della salute nei primi mille giorni di vita di ogni bambino.

«Oggi più che mai è importante ricordare che le abitudini sane si costruiscono nei luoghi della vita quotidiana« sostiene Lamberto Bertolè, presidente della Rete. «Le città – prosegue - assumono un ruolo centrale nella sperimentazione di politiche integrate e nella promozione di relazioni efficaci e durature. I quartieri, le scuole e gli spazi pubblici sono infatti i primi presidi del benessere fisico e mentale. Come Rete italiana città sane abbiamo analizzato i dati raccolti da diversi enti, riguardo i comportamenti più o meno virtuosi delle persone e la presenza di servizi offerti dal territorio, e il quadro che si presenta mostra quanto lavoro sia ancora necessario fare in termini di sensibilizzazione della popolazione alla prevenzione primaria e secondaria e di appelli alle Istituzioni perché le mancanze vengano colmate».

I dati mostrano una scarsa attenzione della popolazione alla salute: solo il 37% degli adulti pratica attività fisica almeno 1-3 volte a settimana, rispetto al 61% della media UE; nel 2023 il 7,6% dei cittadini ha rinunciato alle cure mediche a causa di motivi economici o delle lunghe attese, contro il 6,3% del 2019. In alcune periferie urbane solo il 40% dei residenti ha accesso tempestivo alle strutture sanitarie, contro l’85% di chi vive nei centri urbani. Dal 2010 al 2020 i posti letto ospedalieri nelle grandi città sono calati da 4,5 a 3,8 posti ogni mille abitanti. I presidi residenziali socio-sanitari sono insufficienti per poter rispondere alle necessità dei cittadini: all'1 gennaio 2023, in Italia,risultavano attive 12.363 strutture per 408 mila posti letto, cioè sette posti ogni mille residenti. Il Paese spende inoltre il 9,4% del Pil in sanità (mentre la media UE è del 10,9%), solo il 74% coperto da fondi pubblici (mentre l’UE si attesta sull’80%).

«Il nostro obiettivo è creare relazioni strutturate tra chi amministra i territori, chi li studia e chi li vive» sottolinea Bertolé. Le politiche per la salute «non possono essere settoriali – sostiene - hanno bisogno di visione, prossimità e relazioni forti. I Comuni sono in prima linea nel costruire una società più sana, inclusiva e consapevole. Il benessere si costruisce nei territori, attraverso politiche intersettoriali e relazioni collaborative: solo così – conclude - possiamo trasformare il principio Health for All in realtà quotidiana».

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Manuela Bertaggia nuova presidente dell'Associazione italiana diabetici

HealthDesk - Lun, 04/07/2025 - 22:01
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Manuela Bertaggia, veneta di Chioggia, è la nuova Presidente di Fand – Associazione Italiana Diabetici. Succede a Emilio Augusto Benini. Il cambio alla guida dell’Associazione è arrivato dall'Assemblea nazionale, svoltasi a Rimini dal 4 al 6 aprile.

Bertaggia è stata vicepresidente e responsabile progetti di Fand. Ha maturato una lunga esperienza come persona con diabete. La sua nomina avviene insieme a quella del nuovo Consiglio direttivo che guiderà Fand nei prossimi anni.

«In un periodo in cui la crisi del sistema sanitario è una realtà annunciata – commenta la neoeletta presidente - il mio impegno sarà perché Fand diventi un punto di riferimento solido per le persone con diabete e per le famiglie. Ancor oggi spesso, quando si parla di diabete, ci si limita a focalizzare l’attenzione sulla malattia. Va ribadito con forza, invece, che, grazie all’aumento dell’aspettativa di vita, oggi è fondamentale occuparsi della persona che convive con la malattia, con le sue complicanze e con le sue fragilità, senza distinzioni o priorità tra diabete di tipo uno o due. Mettere al centro la persona e rendere Fand un importante interlocutore a livello istituzionale – aggiunge - sarà una parte importante del mio impegno come presidente».

Tra gli obiettivi fondamentali della nuova dirigenza Fand, l’uguaglianza delle cure, l’accesso ai nuovi farmaci, la disponibilità della tecnologia. L’Associazione si impegnerà anche nella revisione della norma sul rinnovo della patente di guida per le persone con diabete.

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Rimegepant efficace e ben tollerato per il trattamento acuto dell'emicrania

HealthDesk - Lun, 04/07/2025 - 22:00
Farmaci

Un nuovo studio real world (GAINER) ha mostrato che la formulazione di compresse orodispersibili di rimegepant è un trattamento acuto efficace e ben tollerato per l'emicrania in una popolazione italiana.

Lo studio ha arruolato 103 partecipanti, tra cui quelli con emicrania episodica (75,7%) ed emicrania cronica (24,3%), molti dei quali avevano precedentemente fallito molteplici trattamenti preventivi per l'emicrania. L'endpoint primario dello studio era la libertà dal dolore a due ore dalla somministrazione ed è stata raggiunta dal 44,7% dei partecipanti. La libertà dal dolore è stata più alta nel gruppo di emicrania episodica (50%) rispetto al gruppo di emicrania cronica (28%).

Sono stati osservati anche altri esiti positivi, con il 70,9% dei partecipanti che ha ottenuto sollievo dal dolore a tre ore, il 56,3% che ha ottenuto la libertà dal sintomo più fastidioso dell'emicrania e il 64,1% che non ha avuto dolore a 24 ore senza bisogno di farmaco di salvataggio.

Eventi avversi sono stati segnalati nel 15,5% dei casi, per lo più di natura lieve, tra cui affaticamento, sintomi gastrointestinali, sonnolenza e difficoltà cognitive transitorie.

Secondo gli autori dello studio i risultati suggeriscono che il rimegepant è un trattamento acuto dell'emicrania «efficace e ben tollerato in un contesto del mondo reale, anche in pazienti con emicrania cronica e una storia di fallimenti di molteplici trattamenti preventivi. I risultati si espandono sui dati esistenti dei trial clinici randomizzati – aggiungono - fornendo informazioni sull'utilizzo del rimegepant in una popolazione di pazienti più diversificata, rappresentativa della pratica clinica».

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Morire di parto nel 2025. Ancora 260 mila donne perdono la vita ogni anno nel mondo

HealthDesk - Lun, 04/07/2025 - 14:27
Il rapporto UN0731284.jpg Immagine: © UNICEF/UNO731284/Izquierdo Decessi scesi del 40% dall’inizio del millennio, ma preoccupano due elementi: dal 2016 i progressi stanno rallentando e i tagli agli aiuti internazionali rischiano di vanificare i passi avanti

Meno che in passato. Ma di parto e gravidanza si muore ancora. Nel 2023 sono state 260 mila le donne decedute dando alla luce un bambino, nelle settimane immediatamente precedenti o in quelle successive. È vero che sono il 40% in meno rispetto all’inizio del millennio, ma sono ancora troppe. Soprattutto preoccupano due elementi: innanzitutto, dopo rapidi miglioramenti tra il 2000 e il 2015, dal 2016 si è assistito a un brusco rallentamento nei progressi; inoltre, i recenti tagli ai finanziamenti ai programmi di sostegno alla salute globale rischiano di arrestare gli avanzamenti nella lotta alla mortalità materna o addirittura di farci tornare indietro. Sono questi i dati salienti del rapporto ‘Trends in maternal mortality’, realizzato da Unicef, Oms, Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa), Banca Mondiale e NFPA, World Bank Group e dal Dipartimento per gli affari economici e sociali dell’Onu pubblicato oggi in occasione della Giornata Mondiale della Salute dedicata quest’anno proprio alla salute materna e infantile. 

«Sebbene questo rapporto mostri barlumi di speranza, i dati evidenziano anche quanto sia ancora pericolosa la gravidanza in gran parte del mondo, nonostante esistano soluzioni per prevenire e curare le complicazioni che causano la maggior parte delle morti materne», ha dichiarato il direttore generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus. «Oltre a garantire l'accesso a un'assistenza di qualità per la maternità, sarà fondamentale rafforzare i diritti riproduttivi e sanitari delle donne e delle ragazze - fattori che rafforzano le loro prospettive di ottenere risultati sani durante la gravidanza e oltre», ha aggiunto. 

Il rapporto conferma tendenze di lungo periodo: se per una parte del mondo la mortalità materna è ormai un fenomeno limitato a casi quasi isolati, in altre resta una dei principali problemi di sanità pubblica. In Europa, per esempio, nel 2023 sono morte 7 donne ogni 100 mila bambini nati, mentre in alcune aree dell’Africa - come quella Occidentale - si raggiungono i 691 decessi ogni 100 mila bimbi. Non solo, se in Europa, la mortalità per complicanze della gravidanza e del parto rappresenta lo 0,3% della mortalità femminile in età fertile, in Africa centrale, 1 donna su 5 muore per questa ragione.

La situazione è particolarmente grave nei Paesi in cui sono in corso situazioni di emergenza umanitaria, come i conflitti. È qui che si concentrano circa due terzi delle morti materne a livello globale. Per le donne che vivono in questi contesti, i rischi sono impressionanti: 1 ragazza di 15 anni su 51 rischia di morire per cause legate alla maternità nel corso della sua vita, rispetto a  1 su 593 in Paesi più stabili. I rischi maggiori si registrano in Ciad e nella Repubblica Centrafricana (1 su 24), seguiti da Nigeria (1 su 25), Somalia (1 su 30) e Afghanistan (1 su 40). 

«Quando una madre muore durante la gravidanza o il parto, anche la vita del suo bambino è a rischio. Troppo spesso, entrambi muoiono per cause che sappiamo come prevenire», ha dichiarato la direttrice generale dell'Unicef Catherine Russell. A preoccupare, in questo momento sono soprattutto i tagli ai finanziamenti globali per i servizi sanitari: «stanno mettendo a rischio un numero sempre maggiore di donne in gravidanza, soprattutto nei contesti più fragili, limitando il loro accesso alle cure essenziali durante la gravidanza e al sostegno di cui hanno bisogno al momento del parto», ha aggiunto Russell. «Il mondo deve investire con urgenza in ostetriche, infermiere e operatori sanitari di comunità per garantire che ogni madre e ogni bambino abbiano la possibilità di sopravvivere e prosperare», ha concluso.

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Sclerosi multipla, si lavora per prevenirla con un vaccino su misura

HealthDesk - Lun, 04/07/2025 - 13:27
Lo studio Epstein-barr_virus_(ebv).jpg Immagine: Unknown photographer, Public domain, via Wikimedia Commons Soltanto alcune varianti del virus sono in grado di aumentare il rischio di sviluppare la malattia. Immunizzare contro di loro potrebbe impedire di ammalarsi

Prevenire la sclerosi multipla, vaccinando contro il virus di Epstein Barr. Non, tuttavia, in maniera indifferenziata, ma mirando solo alle forme de virus che favoriscono la comparsa della malattia autoimmune. È la strategia messa a punto da ricercatori del Centro Sclerosi Multipla dell’Università Sapienza – Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea di Roma, illustrata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). 

Nel 2022 uno studio pubblicato sulla rivista Science ha scoperto che l’infezione con il virus di Epstein Barr, responsabile della mononucleosi, potrebbe rappresentare l’innesco che, nel corso della vita, dà poi il via alla comparsa della sclerosi multipla. Da quel momento, l’idea di prevenire la comparsa della malattia agendo, grazie a un vaccino,  alla radice del problema ha preso piede. C’è però un problema: circa il 90% delle persone entra in contatto con il virus di Epstein Barr, il più delle volte senza particolari conseguenze. Pensare di vaccinare tutta la popolazione contro il virus potrebbe non essere semplice. 

Una soluzione potrebbe essere fornita dal nuovo studio che mostra come soltanto alcuni sottotipi di virus, interagendo con specifiche peculiarità genetiche possedute dalla persona, aumentano il rischio di provocare la sclerosi multipla. 

«Questo risultato apre la strada alla possibilità di una vaccinazione selettiva, limitata a coloro che presentano le varianti del virus più ‘a rischio’, riducendo al minimo le resistenze alla vaccinazione e garantendo, al contempo, una protezione a chi ne ha più bisogno», commenta Marco Salvetti del Centro Sclerosi Multipla del Sant’Andrea-Sapienza.  

«La ricerca mostra anche come il virus sia associato alla sclerosi multipla in modo specifico, non riscontrabile in molte delle altre malattie autoimmunitarie esaminate», dice Rosella Mechelli, dell’Università Telematica San Raffaele di Roma. 

«Si tratta di risultati molto importanti e innovativi, che ci forniscono una chiave per spiegare perché un'infezione diffusa nel 90-95% della popolazione mondiale possa favorire l'esordio della sclerosi multipla solo in una piccola porzione di individui», dichiara Paola Zaratin direttore della Ricerca Scientifica di Aism-Fism.

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La settimana su HealthDesk

HealthDesk - Lun, 04/07/2025 - 11:22

 

Morire di parto nel 2025. Ancora 260 mila donne perdono la vita ogni anno nel mondo Decessi scesi del 40% dall’inizio del millennio, ma preoccupano due elementi: dal 2016 i progressi stanno rallentando e i tagli agli aiuti internazionali rischiano di vanificare i passi avanti Leggi tutto Sclerosi multipla, si lavora per prevenirla con un vaccino su misura Soltanto alcune varianti del virus sono in grado di aumentare il rischio di sviluppare la malattia. Immunizzare contro di loro potrebbe impedire di ammalarsi Leggi tutto Le mille Italie dell’assistenza domiciliare integrata Leggi tutto Aumentano le persone assistite, ma restano molte criticità Istat. Italia: Calano popolazione, nuovi nati e decessi. Cresce la speranza di vita Leggi tutto Nel 2024 le nascite sono state 370 mila, diminuite sul 2023 del 2,6%. Con 1,18 figli per donna viene superato il minimo di 1,19 del 1995, anno nel quale nacquero 526 mila bambini. 651 mila i decessi Altre notizie Egualia: se non verrà confermata l'esenzione dei farmaci dai dazi, sarà «un boccone amaro» per i pazienti USA» Tumore al seno, un italiano su due non è consapevole dell’importanza dell’aderenza terapeutica. “The Life Button” un bottone per non “perdere il filo” delle cure Il cambiamento climatico causa epidemia di malattie respiratorie. Manifesto degli allergologi pediatri Alcol. Consumo moderato o astinenza completa: uno studio per valutare gli effetti Pubblicità Progresso e Servier Italia insieme per promuovere la salute del cuore Virus respiratorio sinciziale, via libera Ue a vaccino anche tra i 18 e i 59 anni Farmindustria, «Europa crei un ecosistema davvero pro-innovation» Sindrome del bambino scosso: in un caso su quattro è letale Save the Children, per affrontare la denatalità servono politiche strutturali Terapie combinate: dal labirinto normativo a un percorso chiaro per i pazienti


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