Medicina integrata

Clinical Trials Day all’Università Cattolica; in Italia 522 sperimentazioni nel 2024

HealthDesk - Mer, 05/21/2025 - 14:30
L'appuntamento

Una due giorni dedicata agli sviluppi nel campo della ricerca sui farmaci innovativi e i dispositivi medici che hanno rivoluzionato la vita dei pazienti e innovato gli approcci terapeutici e alle nuove professioni della ricerca, indispensabili per la corretta conduzione delle sperimentazioni cliniche. È il “Clinical Trials Day”, promosso dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dall’Ospedale Isola Tiberina-Gemelli Isola, tenutosi ieri e oggi nella Sede di Roma dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

«I Clinical Trials Dayx rappresentano un momento prezioso di confronto e di condivisione e ci ricordano quanto i trial clinici siano fondamentali per costruire un sistema sanitario moderno, equo e fondato sulle evidenze», ha affermato il ministro della Salute, Orazio Schillaci, in un messaggio. «Siamo tutti consapevoli di quanto sia importante sostenere e rafforzare il sistema della ricerca clinica nella nostra Nazione. E per questo lavoriamo per rendere l’Italia sempre più attrattiva, semplificando i processi, valorizzando le competenze e, soprattutto, mettendo sempre al centro l’etica e il valore per il paziente».

Nel nostro Paese i trial clinici crescono. Nel 2024 «si conferma il trend in crescita per gli studi sponsorizzati con un aumento da 505 (82,7%) a 522 (87%) di trials autorizzati. Tuttavia si registra un calo notevole nel campo degli studi no profit con una diminuzione da 106 a 78 sperimentazioni cliniche, rispettivamente dal 17,03% al 13%, probabilmente imputabile all’onere crescente per il reclutamento di risorse necessarie per ottemperare ai requisiti stringenti della normativa in vigore», ha illustrato il presidente della Agenzia Italiana del Farmaco Robert Giovanni Nisticò. «Rispetto a quanto emerso nei rapporti del 2022-2023, si conferma il dato per la fase I di 112 sperimentazione cliniche presentate; le sottomissioni per la fase II sono diminuite dal 35.8% al 31% e la fase III ha registrato un lieve aumento dal 42.2 % al 46%».

«Occasioni come questa ribadiscono chiaramente la nostra vocazione di istituzione al servizio del bene comune. Far incontrare, dialogare e confrontare medici, ricercatori, stakeholder e professionisti significa rendere palese la nostra missione, cioè quella di essere un’istituzione pronta a investire energie e competenze per migliorare la vita degli altri», ha affermato Elena Beccalli, rettrice dell’Università Cattolica. «Lavorare allo sviluppo di nuovi farmaci e di nuove tecnologie significa aiutare la vita, significa offrire speranza a chi è malato e ci chiede aiuto.

«Oggi celebriamo il Clinical Trials Day, una giornata mondiale dedicata alla ricerca clinica che ha visto riunita l'intera filiera: dalle aziende farmaceutiche e di dispositivi medici ai ricercatori, dagli stakeholder del sistema Paese alle istituzioni», ha proseguito Antonio Gasbarrini, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore scientifico f.f. della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. «Abbiamo voluto onorare i farmaci straordinari che hanno profondamente cambiato il destino dei pazienti con patologie un tempo senza risposta immediata, come le malattie neurologiche, il diabete, l’obesità o le malattie autoimmuni e le rare. Celebriamo anche i dispositivi medici innovativi che offrono nuove speranze e soluzioni, come le protesi che consentono degli interventi meno invasivi. Senza la ricerca e senza tutti i trial clinici che ci hanno permesso di portare avanti queste innovazioni nel nostro Paese, la medicina sarebbe diversa», ha evidenziato Gasbarrini.

«Il valore della ricerca clinica non risiede solo nelle potenziali ricadute dirette sui pazienti», ha concluso il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Rocco Bellantone. «Alla ricerca clinica, infatti, si associano enormi benefici in termini di conoscenza e di sviluppo per l’intero Paese. La ricerca industriale comporta anche dei benefici di natura economica, in quanto i costi sanitari dei pazienti arruolati negli studi clinici sono coperti dalle aziende farmaceutiche. È quindi importante sostenere la sperimentazione clinica, mettendo in atto tutte le misure che possano rendere attrattivo il nostro Paese da questo punto di vista. A tal fine, accanto alla riconosciuta eccellenza di molti centri clinici italiani e all’elevato livello di valutazione tecnico-scientifica, sarebbe necessario lavorare ad esempio su procedure locali, tempistiche e iter di autorizzazione», ha concluso Bellantone.

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Nel 2025 in Italia 3,7 milioni di cittadini vivono dopo la diagnosi di tumore

HealthDesk - Sab, 05/17/2025 - 12:06
Rapporto Favo People_walking_on_the_street_in_Nairobi,_Kenya.jpg Immagine: AEira-WMF, CC BY 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/4.0>, via Wikimedia Commons Il 63% delle donne e il 54% degli uomini sono vivi a cinque anni dalla diagnosi e almeno un paziente su quattro è tornato ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale

Oggi in Italia più del 6 per cento della popolazione, cioè 3,7 milioni di persone (un italiano su sei), vive con una diagnosi di tumore. Il 63% delle donne e il 54% degli uomini sono vivi a cinque anni dalla diagnosi e almeno un paziente su quattro è tornato ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale. La legge di bilancio per il 2025 (n.207 del 30 dicembre 2024) sancisce in modo esplicito il principio della partecipazione delle organizzazioni dei pazienti alle funzioni strategiche del Servizio sanitario nazionale, aprendo la strada al coinvolgimento strutturale e istituzionalizzato delle Associazioni all’interno delle Reti oncologiche regionali (Ror). Perché le Reti raggiungano in tutto il Paese una piena operatività e gli obiettivi previsti anche dal Piano oncologico nazionale (Pon), sono però indispensabili la nomina e l’inizio dell’attività del Coordinamento generale delle Reti oncologiche (Cro), come previsto dall’Intesa Stato-Regioni del 26 gennaio 2023; la definizione e la disponibilità di adeguate risorse necessarie per lo sviluppo e l’attività delle Reti oncologiche; la condivisione di “una cultura e di una politica di Rete”, che si esplichi negli atti amministrativi e nella programmazione regionale; la messa in pratica effettiva della partecipazione delle associazioni dei pazienti.

Queste richieste sono contenute nel Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato il 15 maggio a Roma, nell’ambito della Giornata nazionale del malato oncologico promossa dalla Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo) e dalle Associazioni federate.

«Con la legge di bilancio per il 2025, le organizzazioni dei pazienti e le loro federazioni diventano parte attiva del sistema sanitario» conferma Francesco De Lorenzo, presidente Favo, e «non sarà più possibile progettare la sanità solo dalla prospettiva dell’offerta e dei professionisti».

Nel 2010, in Italia, i cittadini che vivevano dopo una diagnosi di tumore erano 2,6 milioni. Il numero è aumentato fino a 3,5 milioni nel 2020, a 3,7 milioni nel 2025 e si stima che arriverà a 4 milioni nel 2030 (quasi il 7% della popolazione).

«I bisogni dei pazienti oncologici, negli anni, sono in continuo cambiamento dal punto di vista quantitativo e qualitativo» osserva Francesco Perrone, presidente dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom). «Siamo passati da una fase quasi esclusivamente ospedaliera – precisa - ad attività che interessano e si integrano con l’assistenza territoriale».

La legge di bilancio per il 2025, aggiunge infine Elisabetta Iannelli, segretario Favo, «rilanciando il principio della partecipazione, individua uno spazio di intervento non in favore della generalità degli enti del non profit, ma circoscritto a categorie ben definite: le Associazioni di pazienti, i gruppi da esse costituiti e le relative federazioni. La prossimità quotidiana con i malati, con le loro famiglie e con i caregiver consente a queste realtà di monitorare e valutare, direttamente nei contesti di cura, l’efficacia complessiva degli interventi sanitari e assistenziali, anche attraverso parametri non clinici» come la qualità della vita, le dimensioni sociali della malattia e le condizioni materiali ed emotive che accompagnano il percorso di guarigione.

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Gaza. Sipps: «Disumano uccidere bambini»

HealthDesk - Sab, 05/17/2025 - 12:05
Medio Oriente

I bambini di Gaza «sono tutti nostri figli. La situazione di vita, o purtroppo di morte, a Gaza e in Cisgiordania, è arrivata a livelli disumani»: è il grido di dolore che arriva dalla Società italiana di pediatria preventiva e sociale su quanto sta avvenendo nella Striscia.

«L'uccisione di oltre 15 mils bambini non può avere alcuna giustificazione» sostiene il presidente Giuseppe Di Mauro. La Sipps «condanna tutti gli atti terroristici compiuti da Hamas – aggiunge - ma non può tacere sul fatto che, dall'ottobre del 2023, la reazione del Governo di Israele ha provocato la morte di migliaia di bambini innocenti. La Convenzione di Ginevra prevede che in nessun caso possano essere obiettivi da distruggere, da parte delle forze armate, ospedali, scuole e luoghi di culto. Questo perché la salute e la vita dei civili è interesse prioritario rispetto alla cattura o morte di qualunque nemico. A Gaza e in Cisgiordania questo invece avviene regolarmente e, nonostante le denunce dell'Onu e di altre organizzazioni internazionali, la popolazione civile è arrivata ad essere trattata come se non fosse composta da esseri umani».

«Sono stati distrutti ospedali- sottolinea Margherita Caroli, consigliera del Direttivo nazionale della Sipps- non ci sono più scuole e gli aiuti alimentari sono bloccati cosicché anche la fame possa essere uno strumento di morte sottile che non fa rumore. La Società italiana di pediatria preventiva e sociale non può tacere. La visione di bambini uccisi e fatti a pezzi da bombe, uccisi con proiettili alla testa, amputati di braccia e gambe, privati delle cure necessarie e del cibo per sopravvivere fanno levare un grido irrefrenabile di dolore umano. Nessun bambino può essere considerato un terrorista e ogni bambino ucciso è un nostro figlio ucciso».

A questo «si aggiunge il dolore per l'uccisione e la sparizione di medici rimasti a curare a rischio della propria vita – interviene ancora Di Mauro - uno per tutti il dottor Hussam Abu Safiya, pediatra e direttore di uno degli ospedali di Gaza che, nonostante potesse lasciare Gaza e fosse stato ucciso un suo figlio in un bombardamento, è rimasto per onorare la nostra professione e curare bambini in ospedale. Il dottor Safya è stato catturato con uno stratagemma da parte dell'esercito israeliano, accusato di terrorismo e sparito in una non identificata prigione israeliana. La Sipps rifiuta di considerare la cura dei bambini come atto terroristico e chiede la liberazione immediata di tutti i medici e paramedici palestinesi detenuti in Israele».

La Sipps chiede pertanto che «venga rispettato il diritto di tutti i bambini del mondo a vivere, ad essere curati, se necessario, e a studiare - conclude Caroli - perché non è giusto che le guerre dei grandi ricadano sui bambini».

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L'Anaao denuncia 50 Aziende sanitarie «che violano leggi e contratti»

HealthDesk - Sab, 05/17/2025 - 10:03
Sindacati

Condotta antisindacale. Violazione delle norme sulla sicurezza, sull’orario di lavoro, sulle ferie, sui limiti dei turni di pronta disponibilità, sull'attività libero professionale e sulle prestazioni aggiuntive. Disapplicazione delle tutele contro le aggressioni. Mancata erogazione dei fondi contrattuali.

È partita il 15 maggio la campagna di denuncia delle Aziende sanitarie promossa dall’Anaao Assomed «dopo aver accertato molteplici violazioni su tutto il territorio nazionale». Dalla rilevazione dell’Associazione risulta infatti che numerose Aziende (50 in questa prima fase) sono inadempienti nell’applicare gli strumenti legislativi e contrattuali in loro possesso per garantire le migliori condizioni di lavoro possibili ai dirigenti medici sanitari.

«Ci troviamo di fronte a una realtà inaccettabile – sostiene il segretario nazionale Anaao Assomed, Pierino Di Silverio - dove le difficoltà quotidiane superano di gran lunga la gratificazione di curare e assistere i cittadini e ci saremmo aspettati che le Aziende sanitarie fossero al nostro fianco, dalla parte di chi ogni giorno si impegna per garantire la salute della collettività».

Invece, prosegue Di Silverio, «troppo spesso ci sentiamo soli, abbandonati di fronte a problemi che minacciano la nostra capacità di lavorare serenamente e, di conseguenza, la qualità dell'assistenza offerta ai pazienti. Oggi diamo il via alla prima fase di azioni concrete, a partire dalla denuncia alle Autorità giudiziarie competenti di cinquanta Aziende sanitarie. E non ci fermeremo qui – avverte il segretario nazionale del sindacato - andremo avanti coinvolgendole tutte, perché questa situazione non è più sostenibile in nessuna realtà del nostro Paese».

«Non chiediamo favori – tiene a precisare - chiediamo collaborazione. Una collaborazione che deve partire dal rispetto delle regole, dei contratti, della dignità professionale di chi ogni giorno si spende per la salute pubblica. Sentiamo forte l'obbligo etico, morale e sociale di difendere il Servizio sanitario nazionale. Un sistema universalistico che rischia di sgretolarsi sotto il peso di inadempienze e disattenzioni. Non possiamo rimanere inerti di fronte a questo scenario. Chiediamo di prestare ascolto alla voce dei medici e dirigenti sanitari – conclude Di Silverio - di comprendere le nostre difficoltà, di collaborare con noi per costruire una sanità pubblica più sicura, più efficiente e più umana».

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Car-T: al Sant’Orsola di Bologna trattati 240 pazienti; in arrivo la prima cell factory

HealthDesk - Mer, 05/14/2025 - 21:20
Nuovi farmaci

L’Istituto di Ematologia “L. e A. Seràgnoli” dell’Irccs Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna è capofila nell’utilizzo delle terapie CAR-T in Italia con 240 pazienti trattati (190 linfomi, 46 mielomi e 4 leucemie acute linfoblastiche), e con più di 240 trial clinici, di cui un terzo sui linfomi, con farmaci sperimentali di fase 1, fase 2 e fase 3. Ora il centro si avvia alla realizzazione di una ‘cell factory’ per la produzione di Car-T a scopo no profit e all’interno di studi clinici.

È quanto emerso dall’evento “CAR-T Cells, risultati e prospettive nei tumori del sangue” promosso da Air (Associazione Italiana contro Leucemie, Linfomi e Mieloma) e che ha preceduto l’apertura dell’Hematology Summit (13-15 maggio), prestigioso meeting internazionale in Ematologia con il patrocinio della Società Italiana di Ematologia (Sie) e con la presenza di oltre sessanta tra i maggiori esperti delle diverse patologie oncoematologiche provenienti da tutto il mondo.

«Quando siamo partiti, più di cinque anni fa i Centri Cart-T autorizzati alla somministrazione di queste terapie cellulari erano non più di 5-6, ad oggi sono oltre 40 i centri etichettati come centri Cart-T», ha dichiarato Pier Luigi Zinzani, professore di Ematologia Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, Direttore Istituto di Ematologia “L. e A. Seràgnoli”, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna e Presidente Sie. «Noi siamo stati capofila nell’utilizzo delle Car-T. Oltre il 40% dei pazienti che vediamo proviene da fuori regione e questo perché da molti anni siamo il Centro in Italia con il maggior numero di trial clinici di farmaci sperimentali di fase 1, 2 e 3, per cui diamo la possibilità, soprattutto a quei pazienti che non rispondono alle terapie convenzionali, di poter essere trattati con farmaci innovativi sperimentali».

In questi ultimi cinque anni si è allungato l’elenco delle Cart-T che hanno l’indicazione all’utilizzo in alcuni tumori del sangue: ad oggi, sono più di 11 e stanno partendo studi di fase 1 per la seconda generazione di Car-T autologhe, quelle che vengono prodotte con i linfociti T del paziente stesso, ma sono in corso anche diversi studi per la produzione di Car-T allogeniche, prodotte da donatori sani o da cellule staminali pluripotenti. Ancora molto resta da fare: allargare le indicazioni, anticipare l’utilizzo nelle prime linee, diminuire la tossicità, accorciare i tempi di produzione e di ricovero, aumentare la potenza e la durata a dosi più basse, ridurre i costi di produzione e di manifacturing.

È in questo scenario che si inserisce il progetto del Policlinico IRCCS Sant’Orsola di realizzare una ‘cell factory’, la prima in Emilia Romagna, per la produzione di Car-T accademiche, ovvero prodotte in ambito ospedaliero/universitario a scopo no profit e all’interno di studi clinici.

«La cell factory è nella fase finale della sua realizzazione ed è sostenuta dalla ricerca traslazionale clinica e preclinica di nuovi costrutti», ha raccontato Francesca Bonifazi, direttore dell’Unità Complessa di Trapianto e Terapie Cellulari, dell’Irccs Sant’Orsola. «Il nostro obiettivo è quello di produrre Car-T accademiche nuove e di trovare nuove indicazioni, possibilmente più efficaci e che possano essere utilizzate anche per malattie del sangue che non sono attrattive per le company farmaceutiche».

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Non solo perdita di peso; i farmaci anti-obesità nei ragazzi migliorano rapporto col cibo

HealthDesk - Mer, 05/14/2025 - 16:41
Lo studio Young_and_Fat_(5350627034).jpg Immagine: Tony Alter from Newport News, USA, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons Studio presentato al congresso della della European Association for the Study of Obesity: «più facile attenersi ai pasti, limitare gli spuntini, ridimensionare le porzioni»

Perdere peso per i ragazzi con sovrappeso e obesità è importante. Ma altrettanto importante è intraprendere questo percorso con serenità, acquisendo un rapporto migliore con il cibo. I farmaci antiobesità - i cosiddetti analoghi del Glp-1 - aiutano anche in questo secondo uno studio coordinato dal Karolinska University Hospital di Stoccolma e presentato nel corso dell’annuale congresso della European Association for the Study of Obesity che si è chiuso oggi a Malaga.

«I farmaci analoghi del Glp-1 sono sempre più utilizzati per trattare l'obesità negli adulti», afferma la coordinatrice dello studio Annika Janson del Centro Nazionale per l'Obesità Infantile del Karolinska University Hospital di Stoccolma. Alcuni di questi farmaci «possono essere utilizzati anche nei bambini a partire dai 12 anni e studi clinici hanno dimostrato che i bambini perdono il 5-16% del loro peso corporeo dopo un anno di trattamento. Tuttavia, trattare i bambini in situazioni di vita reale presenta difficoltà che non emergono negli studi di ricerca», aggiunge.

Lo studio ha cercato di rispondere ai dubbi su questo fronte.

La ricerca ha coinvolto 1.126 bambini e ragazzi fino a 16 anni che hanno partecipato a un programma intensivo per perdere peso, soprattutto grazie a un cambiamento negli stili di vita. Circa un quarto di loro a partire dal 2023 ha ricevuto anche i farmaci Glp-1 (inizialmente, liraglutide e, successivamente, semaglutide).

Il trattamento ha dimostrato anche in questo contesto di essere efficace. L’aggiunta dei farmaci al programma intensivo ha aumentato la quota di ragazzi che hanno perso peso. Circa il 30% dei ragazzi in trattamento ha perso una quantità di peso tale da essere sufficiente a ottenere benefici sulla salute rispetto al 27% di quelli che non assumeva i farmaci. La differenza non è di grande entità, ma per i ricercatori è un’indicazione importante, considerando il breve periodo di osservazione, in passaggio da un farmaco all’altro. Altrettanto importanti gli altri cambiamenti osservati nei ragazzi.

«Le famiglie hanno riferito una riduzione dei conflitti intorno al cibo e un miglioramento di altri adattamenti dello stile di vita: era più facile attenersi ai pasti, limitare gli spuntini, ridimensionare le porzioni», aggiunge Janson. «Per alcuni bambini, non avere sempre fame è una sensazione nuova. Più bambini dovrebbero avere accesso a questi importanti farmaci», conclude.

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Ok di Aifa a rimborsabilità per 11 farmaci

HealthDesk - Mer, 05/14/2025 - 15:58
Farmaci Pharma - 25 di 73.jpg Immagine: © HealthDesk Ci sono un medicinale orfano, 4 nuove molecole chimiche, 2 generici, un farmaco di importazione parallela e 3 estensioni di indicazioni terapeutiche

Il Consiglio di Amministrazione dell’Agenzia Italiana del Farmaco ha approvato la rimborsabilità da parte del servizio sanitario nazionale di 11 farmaci: un medicinale orfano, 4 nuove molecole chimiche, 2 generici, un farmaco di importazione parallela e 3 estensioni di indicazioni terapeutiche.

Nel dettaglio, il farmaco orfano che sarà rimborsato dal Ssn è iptacopan (nome commerciale Fabhalta), indicato in monoterapia nel trattamento di pazienti adulti con emoglobinuria parossistica notturna che presentano anemia emolitica. L’emoglobinuria parossistica notturna è una patologia cronica rara contraddistinta da anemia emolitica, frequenti eventi trombotici e insufficienza del midollo osseo.

Le nuove entità chimica che saranno ammesse alla rimborsabilità sono fruquintinib (Fruzaqla), un antitumorale per il trattamento di adulti con cancro del colon-retto metastatico; angiotensina II (Giapreza), un vasocostrittore indicato in un contesto di emergenza per innalzare la pressione sanguigna a livelli normali in pazienti adulti con pressione sanguigna gravemente bassa; tenecteplase (Metalyse), un antitrombotico indicato negli adulti per il trattamento dell’ictus ischemico acuto; rimegepant (Vydura), un farmaco per l’emicrania.

Per quel che riguarda i generici, si tratta di nuove versioni di alfacalcidolo (Alfacalcidolo Doc), un analogo della vitamina D, e della combinazione Beclometasone e Formoterolo (Beclometasone e Formoterolo Doc Generici), indicata per trattare l’asma. Il medicinale d’importazione parallela è ramucirumab (Cyramza), antitumorale utilizzato in associazione o in monoterapia per il carcinoma avanzato dello stomaco (o per il carcinoma della giunzione tra esofago e stomaco). 

Le estensioni di indicazione terapeutica riguardano il medicinale secukinumab (Cosentyx), che sarà rimborsato anche per il trattamento dell’idrosadenite suppurativa (acne inversa) attiva da moderata a severa in adulti con una risposta inadeguata alla terapia sistemica convenzionale; pirfenidone (Pirfenidone Teva), per il trattamento della fibrosi polmonare idiopatica; enzalutamide (Xtandi), indicato in associazione o in monoterapia in adulti con cancro della prostata.

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Infermieri, in Italia 400 mila ma ne mancano almeno 65 mila

HealthDesk - Mar, 05/13/2025 - 15:38
Il dato

In Italia ci sono circa 400 infermieri attivi. Tanti, ma non abbastanza. Secondo la Ragioneria dello Stato, ne mancano 65 mila, di cui circa 30 previsti dal Pnrr per l'assistenza territoriale. Sono alcuni dei dati presentati in occasione della presentazione del primo rapporto sulla condizione della professione dalla presidente della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) Barbara Mangiacavalli.

«La questione infermieristica non è solo una questione di una singola professione, ma riguarda l’intera Italia, e va affrontata da una cabina di regia interministeriale, perché sempre più persone vivranno con patologie croniche già diagnosticate, per le quali la sfida non sarà solo clinica, ma soprattutto assistenziale», ha affermato Mangiacavalli. «È un cambiamento epocale che chiama in causa il territorio come fulcro del sistema sanitario».

Secondo il rapporto, non bastano gli incentivi economici per risolvere il problema della carenza infermieristica. «Preoccupano i tantissimi infermieri che lavorano all’estero dopo essersi formati qui, così come preoccupano coloro che abbandonano gli studi perché non trovano soddisfacente il sistema lavorativo. I giovani cercano lavori con competenze specialistiche», prosegue Mangiacavalli. È dunque necessario «rendere attrattiva la professione, offrendo reali possibilità di carriera, percorsi di crescita e riconoscimento».

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La mortalità per cancro è più alta nei Paesi con bassa spesa sanitaria

HealthDesk - Mar, 05/13/2025 - 15:31
lo studio Model_positioned_in_computed_tomography_scanner.jpg Immagine: Daniel Sone (Photographer), Public domain, via Wikimedia Commons Nelle neoplasie ematologiche differenze abissali. Italia meglio della media europea ma non a livello dei migliori

Non è una sorpresa, ma ora lo certificano anche i numeri. Nei Paesi europei che destinano elevate risorse economiche alla sanità la sopravvivenza per i pazienti affetti da tumori ematologici è molto superiore rispetto ai Paesi con minore spesa sanitaria nazionale. È quanto emerge da una ricerca europea, condotta nell’ambito del progetto 'Eurocare-6' (European cancer registry based study on survival and care of cancer patients) che ha visto la partecipazione della Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e dell’Istituto Superiore di Sanità.

Lo studio ha passato in rassegna oltre 1 milioni di pazienti affetti da patologie onco-ematologiche in 27 paesi europei, rilevando come, soprattutto nei Paesi dell’Est Europa, che investono meno in sanità, si osserva una sopravvivenza a 10 anni inferiore. Enormi le differenze: per il linfoma non-Hodgkin, per esempio, nei Paesi in cui la sanità ha meno risorse la sopravvivenza è dimezzata rispetto ai Paesi che investono di più (Danimarca, Norvegia e Svizzera): il 33% contro il 62%. Lo stesso si osserva per il linfoma diffuso a grandi cellule B (34% contro 58%), il linfoma mantellare (21% contro 61%), il linfoma follicolare (40% contro 81%), la leucemia mieloide acuta (6% contro 21%) e la leucemia mieloide cronica (31% contro 65%).

«Il nostro studio dimostra inequivocabilmente che gli investimenti in sanità, soprattutto in ricerca ed innovazione terapeutica, hanno un impatto diretto sulla sopravvivenza dei pazienti affetti da tumore ematologico”, dice la coordinatrice dello studio Claudia Vener, medico e ricercatrice alla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. « Per alcune patologie, come la leucemia mieloide acuta, la sopravvivenza a 10 anni è ancora troppo bassa, evidenziando l’urgenza di un maggiore impegno nell’incrementare i fondi per la ricerca e per le cure innovative».

«Le grandi differenze di sopravvivenza riscontrate tra i paesi europei sono molto probabilmente legate ad un diverso grado di accesso alle cure e ad una diversa disponibilità ed utilizzo di trattamenti efficaci», aggiunge Silvia Rossi, ricercatrice presso l’Istituto Superiore di Sanità e co-autrice dello studio. «L’Italia, anche se allineata alla media europea, non raggiunge i livelli di sopravvivenza ottenuti dai paesi con maggiori investimenti. È quindi necessario aumentare i finanziamenti in sanità affinché migliorino ulteriormente le possibilità di cura per i pazienti onco-ematologici».

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Nisticò (Aifa): «Alti prezzi dei farmaci in Usa frutto di un sistema sanitario tutto privatizzato»

HealthDesk - Mar, 05/13/2025 - 13:59
Farmaci Nisticò.jpg Immagine: @HealthDesk

«I più alti prezzi dei medicinali negli Stati Uniti, denunciati dal presidente Trump, sono il risultato di un sistema interamente privatizzato che contribuisce ad aumentare tutte le voci di spesa sanitaria». È quanto ha affermato il presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) Robert Nisticò.

«Al contrario, il nostro servizio sanitario nazionale, anche grazie al lavoro dell’Aifa, riesce a ottenere per i farmaci prezzi tra i più favorevoli tra i Paesi Ocse», ha aggiunto Nisticò, che ha aggiunto: «Non possiamo ignorare, però che anche in Italia la spesa farmaceutica è in costante crescita. È dunque necessario intervenire sulla governance, individuando strumenti che consentano di premiare esclusivamente l’innovazione autentica, quella capace di dimostrare con dati reali un beneficio terapeutico concreto per i cittadini», ha concluso.

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Sempre più infermieri nel mondo, ma ancora non bastano

HealthDesk - Lun, 05/12/2025 - 12:09
Il rapporto Indonesian_nurse_examines_patient.jpg Immagine: Shawn M. Spitler, U.S. Marine Corps, Public domain, via Wikimedia Commons L’85% è donna e il 33% ha meno di 35 anni, ma nei Paesi ad alto reddito i pensionamenti stanno per superare i nuovi ingressi. 1 infermiere su 7 non lavora nel proprio Paese di origine

Nell’ultimo quinquennio gli infermieri nel mondo sono cresciuti di circa 2 milioni di unità passando da 27,9 milioni nel 2018 a 29,8 milioni nel 2023. Il loro numero non è però ancora sufficiente: si stima che manchino ancora all’appello 5,8 milioni di professionisti. Inoltre restano ampie disparità nella disponibilità di infermieri tra le diverse regioni del mondo. Sono alcuni dei dati del rapporto State of the World's Nursing 2025, pubblicato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Consiglio Internazionale degli Infermieri in occasione della Giornata Internazionale degli Infermieri che si celebra il 12 maggio. 

«Questo rapporto contiene notizie incoraggianti, per le quali ci congratuliamo con i Paesi che stanno facendo progressi», ha dichiarato il direttore generale dell'Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus. «Tuttavia, non possiamo ignorare le disuguaglianze che segnano il panorama infermieristico globale. In occasione della Giornata internazionale degli infermieri, esorto i Paesi e i partner a utilizzare questo rapporto come segnale, mostrandoci da dove veniamo, dove siamo ora e dove dobbiamo andare, il più rapidamente possibile». 

Il rapporto è basato sui dati rilevati in 194 Paesi e mostra come, sullo sfondo di una carenza globale di infermieri, le sfide siano differenti per le diverse aree del mondo: i Paesi a basso e medio reddito stanno affrontando sfide nel formare, assumere e trattenere infermieri all’interno dei loro sistemi sanitari. Al contrario, i Paesi ad alto reddito devono essere preparati a gestire alti livelli di infermieri in pensione e rivedere la loro dipendenza da infermieri formati all’estero.

Il tema della mobilità è cruciale. Il rapporto mostra che nel mondo 1 infermiere su 7 è nato in un paese diverso rispetto a quello in cui lavora. Si va dal 23% nei Paesi ad alto reddito all’8% dei Paesi a reddito medio-alto, all’1-3% dei Paesi a basso reddito. Da questo tema potrebbe dipendere la sostenibilità di molti sistemi sanitari nel prossimo futuro. Se nei Paesi a basso reddito, infatti, il numero di laureati in infermieristica sta aumentando a un ritmo più veloce rispetto ai Paesi ad alto reddito, allo stesso tempo, però, i guadagni in termini di personale formato non si traduce in una maggiore disponibilità di professionisti, sia per le dinamiche demografiche che stanno portando a un rapido aumento delle popolazione sia per l’impossibilità di concedere sufficienti opportunità di lavoro ai nuovi professionisti. 

«Per affrontare questo problema, i Paesi dovrebbero creare posti di lavoro per garantire che i laureati siano assunti e integrati nel sistema sanitario e migliorare le condizioni di lavoro», scrivo l’Oms in una nota. La maggiore attrattività degli scenari locali, però, rischia di incidere sulla disponibilità di infermieri nei Paesi a più alto reddito. Per questo la formazione di un maggior numero di infermieri resta un tema cruciale a tutte le latitudini. 

L’attrattività della professione, però, in molti Paesi è in picchiata. L'interesse degli studenti quindicenni a intraprendere una carriera infermieristica è diminuita drasticamente in almeno la metà dei paesi Ocse tra il 2018 e il 2022, con le maggiori riduzioni in Canada, Danimarca, Irlanda, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti. Riduzioni nell'interesse a intraprendere la professione infermieristica sono state riscontrate anche nei paesi non Ocse. L’iItalia, anche non ha visto un calo drastico nell’attrattività della professione negli studenti, è comunque in coda alle classifiche: meno dell’1% dei ragazzi pensa di dedicarsi alla professione infermieristica. 

Nel complesso, l’infermiere continua a essere una professione al femminile. Le donne costituiscono l'85% della forza lavoro infermieristica globale.

Dal punto di vista anagrafico, la forza lavoro infermieristica globale è relativamente giovane: il 33% degli infermieri ha meno di 35 anni, rispetto al 19% che dovrebbe andare in pensione nei prossimi 10 anni. Tuttavia, in 20 paesi - per lo più ad alto reddito - si prevede che i pensionamenti supereranno i nuovi ingressi nel mondo del lavoro. 

Si osservano evoluzioni dal punto di vista professionale: cresce infatti il numero di Paesi in cui sono presenti competenze infermieristiche avanzate e in cui gli infermieri possono assumere ruoli apicali nell’organizzazione sanitaria.

«Il rapporto espone chiaramente le disuguaglianze che stanno trattenendo la professione infermieristica e agiscono come barriera al raggiungimento della copertura sanitaria universale. La capacità di fornire la copertura sanitaria universale dipende dal vero riconoscere del valore degli infermieri e dalla capacità di mettere a frutto le potenzialità e l'influenza degli infermieri per agire come catalizzatori del cambiamento positivo nei nostri sistemi sanitari», ha affermato Pam Cipriano, presidente del Consiglio internazionale degli infermieri.

Categorie: Medicina integrata

Inverno 2025, in aumento le malattie prevenibili

HealthDesk - Ven, 05/09/2025 - 16:43
L'incontro

Nell’ultima stagione influenzale appena conclusa l’Italia ha registrato oltre 16 milioni di casi di sindromi simil-influenzali, il dato più alto mai rilevato dalle reti di sorveglianza nazionale. Un numero che evidenzia quanto i virus respiratori rappresentino una minaccia concreta per la salute pubblica, ma che va letto insieme ad altri segnali preoccupanti. Sono infatti diversi i numeri relativi a infezioni prevenibili che hanno caratterizzato l’ultimo inverno, con conseguenze sulla salute pubblica e sul Servizio sanitario nazionale.

L’importanza di rimettere al centro la prevenzione attraverso una rinnovata cultura vaccinale è stato il tema affrontato al ministero della Salute giovedì 8 maggio in occasione dell’incontro “Strategie vaccinali in vista dell’autunno: la costruzione di una nuova cultura della prevenzione”, promosso dalla Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) in collaborazione con altre Società scientifiche.

Nel 2024 in Italia si sono registrati oltre mille casi di morbillo e in Europa il virus ha causato 23 morti, di cui 14 tra bambini sotto i cinque anni. Nello stesso anno, il Covid-19 ha provocato 3.561 decessi nel nostro Paese e tre bambini hanno perso la vita per la pertosse. Anche il virus respiratorio sinciziale (Rsv), particolarmente pericoloso per i più piccoli e per gli anziani, è responsabile in Italia di circa 1.800 decessi ogni anno.

«Questi dati, presi nel loro insieme, rappresentano un forte richiamo all’importanza della vaccinazione come strumento di prevenzione, protezione e responsabilità collettiva» commenta Massimo Andreoni, direttore scientifico Simit. «Gran parte delle ospedalizzazioni, delle complicanze gravi e dei decessi associati a queste infezioni – prosegue - si sarebbe potuta evitare con una copertura vaccinale più ampia. Le vaccinazioni non sono solo un atto individuale di protezione, ma un pilastro della sanità pubblica, in grado di ridurre il carico di malattia, alleggerire i sistemi sanitari e salvare vite umane. Rafforzare l’adesione ai programmi vaccinali già disponibili per influenza, morbillo, Covid-19, pertosse, Rsv, pneumococco e herpes zoster è una necessità».

Claudio Mastroianni, Past President Simit, ricorda che «le persone fragili, come gli anziani, i pazienti immunocompromessi o con patologie croniche, pagano il prezzo più alto quando le coperture vaccinali sono insufficienti. Per loro, un’infezione che per altri potrebbe essere lieve può trasformarsi in una complicanza grave – avverte - se non addirittura letale. Le vaccinazioni rappresentano uno scudo indispensabile: proteggere i fragili significa rafforzare la salute dell’intera comunità. I dati per tutte le vaccinazioni disponibili sono ancora lontani dalle coperture ottimali del 95%. Per questo – conclude Matroianni - è importante impostare sin da adesso la campagna vaccinale del prossimo autunno e sensibilizzare la cittadinanza su questo gesto».

 

Categorie: Medicina integrata

Migliora la qualità dell’assistenza al diabete

HealthDesk - Ven, 05/09/2025 - 16:19
Annali Amd

L’assistenza al diabete in Italia continua a migliorare così come la qualità di vita di chi convive con la malattia. Rimane stabile la quota di coloro che raggiungono i corretti valori di emoglobina glicata, cresce quella di chi ha il colesterolo in regola e, nel diabete di tipo 2, continua a diminuire la percentuale di pazienti obesi, risultato a cui contribuisce l’impiego crescente di farmaci sempre più appropriati. Non mancano, tuttavia, aree di stallo in cui le diabetologie faticano a migliorare le proprie performance: il monitoraggio del piede diabetico e della retinopatia diabetica, l’utilizzo ancora limitato dei microinfusori per il trattamento del diabete tipo 1 o la pressione alta nei pazienti con diabete tipo 2.

È questo, in sintesi, quanto emerge dagli Annali Amd 2024, fotografia aggiornata di come viene curato e gestito il diabete nelle strutture specialistiche del Paese, scattata dell’Associazione medici diabetologi, che oggi arriva a “censire” una popolazione di oltre 750 mila italiani con diabete, uno dei più importanti database clinici a livello internazionale, presentata giovedì 8 maggio al Senato.

«Con oltre 300 Centri di diabetologia che aderiscono all’indagine, compilando una cartella clinica informatizzata, il nostro file dati è ormai di fatto un registro clinico del diabete in Italia» osserva Giuseppina Russo, coordinatrice nazionale degli Annali Amd. «Oggi – precisa - raccogliamo i dati dell’assistenza erogata a 48.041 persone con diabete tipo 1, a 680.122 con diabete tipo 2, oltre 100 mila in più rispetto all’anno scorso, e a 13.785 donne con diabete in gravidanza. L’ampiezza e la rappresentatività sul territorio nazionale del progetto hanno destato l’interesse della WHO che ha recentemente dedicato agli Annali un case study1».

Diabete tipo 1: pazienti sempre più anziani e con obesità

La popolazione con DM1 sta invecchiando: i pazienti hanno in media quasi 49 anni e aumentano gli over 65 (18,3%). Cresce anche l’obesità, passata dal 13,9% della scorsa rilevazione al 14,3% di quella attuale. «Invecchiamento ed eccesso ponderale ci pongono di fronte a una sfida importante nella gestione di questi pazienti nei quali crescerà inevitabilmente il rischio di complicanze micro e macro-vascolari» sottolinea Russo. Oggi, circa il 40% del campione raggiunge l’obiettivo di cura per la pressione arteriosa, il 36,2% quello della glicata e oltre il 46% tiene sotto controllo il colesterolo, rispetto al 42,7% dell’anno precedente. Per quanto riguarda le terapie, prevale l’impiego di insulina basale di seconda generazione (89,6%); solo il 19,1% dei pazienti utilizza un microinfusore, il 48% è in terapia ipolipemizzante e il 30% è trattato con antipertensivi. Tra le complicanze croniche prevalenti nel diabete tipo 1, la prima resta la retinopatia diabetica riscontrata nel 21,8% del campione.

Diabete tipo 2: lieve calo dell’obesità e maggiore appropriatezza prescrittiva

Anche le persone con DM2 sono sempre più anziane, con una quota di over 75enni passata dal 34,8% a quasi il 36%. Si riduce l’obesità, scesa dal 36 al 35%, confermando un trend di miglioramento. Stabile al 56% il gruppo di chi mantiene l’emoglobina glicata sotto controllo, oltre il 44% chi ha il colesterolo in regola (rispetto al 40,2% della rilevazione precedente), ma solo il 26,5% raggiunge adeguati valori pressori. La graduale riduzione dell’obesità potrebbe spiegarsi con il sempre maggior utilizzo dei nuovi farmaci per il diabete, glifozine e agonisti recettoriali del GLP-1, che insieme sono cresciuti in modo sostanziale passando da un impiego precedente nei pazienti del 67,5% all’attuale del 77,4%. La malattia renale e quella cardiovascolare si confermano le complicanze croniche prevalenti nel DM2, riscontrate rispettivamente nel 50% e nel 15% dei pazienti, seguite dalla retinopatia diabetica (12%).

Diabete gestazionale: età oltre i 35 anni e obesità i primi fattori di rischio

Il 52,2% delle donne con GDM ha eseguito la curva glicemica fra la 24^ e la 28^ settimana di gravidanza. Scende di poco il numero di quelle che hanno ricevuto una diagnosi tardiva, dal 14,4% al 13,6%. I fattori di rischio del diabete gestazionale risultati più rappresentati tra quelli registrati sono l’età superiore ai 35 anni (41,1%), seguita dall’obesità pregravidica (25,6%) e dalla familiarità per diabete pari al 13%.

I dati degli Annali sono un «contributo “evidence based” di estrema utilità per pianificare le politiche sanitarie in risposta a questa patologia – sostiene Riccardo Candido, presidente Amd - una fra quelle croniche più diffuse e invalidanti a livello globale. Un esempio concreto di come “sfruttare” al meglio questi dati ci arriva dai casi del piede diabetico e della retinopatia. Gli Annali ci dicono che su queste complicanze non riusciamo a raccogliere i dati in modo puntuale. Sarebbe, quindi, utile fornire dei retinografi a tutti i centri di diabetologia per rendere più semplice e accessibile il controllo del fondo oculare nei soggetti con diabete, e realizzare un tavolo di lavoro nazionale per la gestione del piede diabetico. Si tratta di azioni concrete, da sviluppare con il contributo dei decisori politici, che possono migliorare l’assistenza ai nostri pazienti».

Categorie: Medicina integrata

Una molecola naturale contrasta alcuni problemi legati alla sindrome di Down

HealthDesk - Gio, 05/08/2025 - 19:37
Lo studio

Un polifenolo di origine vegetale, la polidatina, sembra in grado di riattivare l'attività bioenergetica dei mitocondri riducendo la produzione eccessiva di radicali dell'ossigeno e può inoltre prevenire i danni al Dna e l’invecchiamento cellulare causati da stress ossidativo indotto con stimoli esterni: questa attività di prevenzione dal danno ossidativo avviene sia nelle cellule con sindrome di Down sia in quelle sane.

A questo risultato è giunto uno studio dell’Istituto di biomembrane, bioenergetica e biotecnologie molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche di Bari (Cnr-Ibiom), pubblicato su Free Radical Biology and Medicine.

La sindrome di Down è patologia provocata da una particolare alterazione cromosomica, ovvero la presenza di una triplice copia (trisomia) del cromosoma 21, che ogni anno colpisce circa 3.000-5.000 bambini nel mondo (uno su mille neonati, secondo dati della World Health Organization).

La polidatina è un estratto dalla pianta Polygonum cuspidatum, usato da secoli nella medicina tradizionale asiatica, di cui sono già note le proprietà antinfiammatorie e antiossidanti.

«L’idea è quella di utilizzarla come integratore alimentare per gestire alcuni dei sintomi della sindrome di Down – spiega Rosa Anna Vacca, del Cnr-Ibiom - da somministrare già nella primissima infanzia. Benchè siano diversi i composti naturali di origine vegetale che oggi vengono proposti nel trattamento della patologia, siamo convinti che la polidatina possa diventare un candidato ideale per applicazioni cliniche future legate alla prevenzione dei disturbi associati alla sindrome: ha, infatti, dimostrato di non avere effetti tossici collaterali e in più è stabile, idrosolubile, e si distribuisce meglio nel nostro corpo. Inoltre – aggiunge - è un precursore del resveratrolo, un altro composto naturale noto per i suoi effetti benefici in particolare come coadiuvante nel trattamento di malattie neurologiche».

Grazie a questa ricerca, effettuata su cellule provenienti da aborti spontanei di feti in parte caratterizzati da trisomia 21 e in parte sani, è stato possibile comprendere anche un altro meccanismo d'azione della polidatina: «È in grado di “abbassare” i livelli di miR-155 – precisa Apollonia Tullo del Cnr-Ibiom - una piccola molecola di RNA che “bersaglia” geni coinvolti in aspetti fondamentali delle funzioni mitocondriali, come la bioenergetica mitocondriale, il controllo della qualità dei mitocondri e la loro formazione. In pratica, avviamo rivelato che quando il livello di miR-155 è troppo alto, come nel caso della sindrome di Down, perché espresso dal cromosoma 21 che è in triplice copia, la polidatina riesce ad “abbassarlo”, riportandolo a valori normali, e contribuendo a riattivare questi geni importanti, che preservano le funzioni mitocondriali e cellulari».

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Tumore del polmone: la Commissione europea approva tislelizumab

HealthDesk - Gio, 05/08/2025 - 19:36
Farmaci

BeOne Medicines ha annunciato che la Commissione europea ha approvato tislelizumab in combinazione con chemioterapia a base di etoposide e platino come trattamento di prima linea dei pazienti adulti con tumore del polmone a piccole cellule di stadio esteso (ES-SCLC).

«Il tumore del polmone a piccole cellule in stadio esteso è notoriamente difficile da trattare per la sua natura aggressiva – sottolinea Silvia Novello, presidente di Women Against Lung Cancer in Europe (WALCE), direttrice dell'Oncologia medica all’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano e professoressa di Oncologia medica all’Università di Torino - e necessita di nuove opzioni terapeutiche. I risultati dello studio RATIONALE-312 mostrano che tislelizumab più chemioterapia ha migliorato la sopravvivenza rispetto al trattamento con placebo più chemioterapia, evidenziando la capacità di offrire migliori risultati per i pazienti eleggibili».

Lo studio (su 457 pazienti) ha raggiunto l’endpoint primario, mostrando un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza globale (OS) con tislelizumab in combinazione con chemioterapia, rispetto a placebo più chemioterapia nella popolazione intent-to-treat (ITT). Come riportato nel Journal of Thoracic Oncology, all’analisi finale prevista dal protocollo, la OS mediana è risultata di 15,5 mesi per tislelizumab con chemioterapia rispetto a 13,5 mesi per placebo più chemioterapia, con una riduzione del 25% del rischio di morte. Tislelizumab più chemioterapia è stato generalmente ben tollerato e non sono stati identificati nuovi segnali di sicurezza.

«In meno di due anni, tislelizumab è stato approvato in quattro patologie distinte nell’Unione Europea – ricorda Mark Lanasa, Chief Medical Officer, Solid Tumors in BeOne Medicines - sottolineando la sua capacità di produrre miglioramenti della sopravvivenza clinicamente significativi e un profilo di sicurezza ben caratterizzato in vari tipi di tumori. La nostra comprovata esperienza con le registrazioni di tislelizumab in 45 Paesi rafforza il nostro impegno a offrire trattamenti innovativi al maggior numero possibile di persone affette da cancro».

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Egualia: «Trovare baricentro tra riforma legislazione Ue e governance nazionale»

HealthDesk - Gio, 05/08/2025 - 12:32
Farmaci

«Per dare risposta alle difficoltà che travagliano il comparto italiano dei farmaci fuori brevetto (equivalenti e biosimilari per primi) e mettono a rischio la sostenibilità di moltissimi medicinali, anche essenziali, non va arrestata la riforma della legislazione europea del settore - soprattutto la nuova clausola Bolar - e vanno adottati almeno tre interventi urgenti sul fronte interno. bisogna eliminare il payback dell’1,83% sulla spesa farmaceutica convenzionata; introdurre un fattore di correzione sul payback per gli acquisti diretti che tenga conto del risparmio generato dal ruolo pro-concorrenziale dei farmaci equivalenti e biosimilari acquistati tramite gara e adottare il modello dell’accordo quadro multi-aggiudicatario per le gare d’acquisto dei farmaci fuori brevetto di sintesi chimica, con una definizione preventiva delle quote per ciascuno dei tre aggiudicatari». È quanto ha affermato Stefano Collatina, presidente di Egualia, l’associazione delle aziende produttrici di farmaci equivalenti e biosimilari, intervenuto oggi al convegno su “La nuova legislazione farmaceutica UE e la governance italiana: impatti e prospettive”. 

«Il dibattito sulla riforma farmaceutica Ue è vicino ad un punto di svolta con il prossimo voto da parte del Consiglio di norme che puntano a coniugare innovazione, equità e sostenibilità dei sistemi sanitari europei di cui i farmaci fuori brevetto rappresentano un pilastro insostituibile, mentre la governance farmaceutica nazionale è ancora in attesa di trovare un nuovo assetto capace di garantire appropriatezza delle cure a tutti i cittadini», ha aggiunto Collatina. «Per questo è indispensabile trovare al più presto un baricentro accettabile tra regole Ue e governance nazionale».

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L’Ai incontra la chimica per progettare nuovi farmaci per malattie rare

HealthDesk - Gio, 05/08/2025 - 12:24
Innovazione Tuccinardi_Piazza copia.jpeg La prima firmataria dello studio Lisa Piazza e Tiziano Tuccinardi, professore di docente di Chimica farmaceutica all'Università di Pisa

Creare nuovi farmaci in modo più veloce e mirato, anche per malattie rare o complesse è l’obiettivo di un progetto di ricerca internazionale coordinato dalle Università di Pisa e di Bonn ce usa a questo scopo i cosiddetti “chemical language models”, modelli linguistici ispirati a quelli usati nei chatbot come ChatGPT, capaci di leggere e scrivere il linguaggio molecolare.

«L’obiettivo è quello di superare i limiti delle tecniche tradizionali nella progettazione di nuovi farmaci, generando in modo automatico molecole chimicamente corrette, strutturalmente originali e potenzialmente bioattive, a partire da frammenti», racconta il coordinatore dello studio Tiziano Tuccinardi.

Nello studio illustrato sull’European Journal of Medicinal Chemistry, i ricercatori hanno addestrato tre modelli di Ia per “tradurre” frammenti chimici (strutture centrali, gruppi sostituenti o combinazioni di entrambi) in nuove molecole a partire da enormi dataset di molecole bioattive.

«La ricerca rappresenta un salto qualitativo nell'uso dell'Ia per la chimica e la farmacologia aprendo la strada a una generazione automatica e intelligente di molecole, con impatti potenziali su sanità, industria e ricerca. Non si tratta solo di accelerare i processi, ma di immaginare strutture molecolari che la mente umana difficilmente può concepire”, continua Tuccinardi.

 «In linea con i principi di scienza aperta il codice sorgente e i dataset utilizzati nello studio sono stati resi pubblicamente disponibili, a beneficio della comunità scientifica», conclude Tuccinardi. «Ma soprattutto, il progetto segna un traguardo importante: da oggi, anche all’Università di Pisa, è possibile generare automaticamente nuove molecole bioattive, un passo concreto verso una progettazione molecolare più rapida, innovativa e accessibile», conduce. 

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