Medicina integrata

Save the Children premia la ricerca

HealthDesk - Mar, 03/11/2025 - 17:25
L'iniziativa

È «fondamentale sostenere l’attività di ricerca» per cogliere le conseguenze delle trasformazioni sociali nella vita dei bambini, disegnare programmi al passo con i tempi, definire scelte politiche che siano frutto di analisi e non di approcci emergenziali, ascoltare la voce dei minori e delle loro famiglie.

È per questo che Save the Children, attraverso il suo nuovo Polo ricerche, ha deciso di istituire un Premio da destinare alla ricerca.

Negli ultimi dieci anni, ricorda StC, l’Italia ha “perso” più di un milione di bambine, bambini e adolescenti: se dieci anni fa il rapporto tra minori e over 65enni era di 4 a 5, oggi è sceso a 3 su 5. Nelle nostre scuole sono più di 900 mila gli studenti con cittadinanza non italiana (più di 1 su 10) e il 65,4% di questi è nato in Italia.

Nello stesso decennio, è drammaticamente aumentata la povertà minorile che ha raggiunto un picco del 13,8% di minori in povertà assoluta nel 2023, colpendo direttamente quasi 1,3 milioni di bambine, bambini e adolescenti (erano il 9,4% nel 2014).

A cambiare è stata anche la vita quotidiana di bambini e ragazzi, e la loro fruizione dei media, con la televisione che cede terreno ai social media. Se infatti nel 2010 più del 60% dei quindicenni passava almeno due ore al giorno davanti al televisore, nel 2022 erano meno del 30%. Il 45% oggi usa almeno due ore al giorno pc, tablet o cellulari per stare sui social, percentuale che sale al 66,4% tra le ragazze della stessa età. Aumentano anche i rischi legati all’online che colpiscono in particolare i preadolescenti: nel solo 2024 le vittime di adescamento on line tra i 10 e i 13 anni sono state 206.

«Mai come in questo momento, così difficile – spiega Raffaela Milano, direttrice Ricerca di Save the Children - sentiamo la necessità di rafforzare l’alleanza tra la comunità scientifica e chi è sul campo al fianco di bambini, bambine e adolescenti. L’Italia è ricca di eccellenze nella ricerca sull’infanzia, ma il ruolo della ricerca non è adeguatamente riconosciuto e i risultati non hanno il giusto peso nella definizione delle prassi e delle politiche pubbliche. Il nostro Premio – precisa - vuole essere di incoraggiamento e di impulso alla produzione e alla diffusione di conoscenza e una spinta a mettere questa conoscenza e l’ascolto dei territori al centro di tutte le scelte che riguardano l’infanzia».

Il Premio sarà assegnato da una giuria di esponenti autorevoli del mondo della ricerca agli autori/autrici di una ricerca realizzata in Italia che abbia contribuito ad ampliare la conoscenza su una o più dimensioni della vita dell’infanzia e dell’adolescenza con un significativo impatto sui diritti. Le ricerche potranno provenire da tutti i campi disciplinari, a esclusione della ricerca medica e farmaceutica.

Con gli stessi criteri sarà premiata anche una ricerca coordinata e realizzata da un/una ricercatore/trice con meno di 35 anni.

Il Premio avrà natura simbolica e rappresenterà un’attestazione di eccellenza. Per i ricercatori under 35 è prevista anche una “dote formativa” di 10 mila euro che il vincitore potrà investire nell’ambito di percorsi di formazione e studio.

Le candidature possono pervenire entro il 15 maggio

Il bando e il Regolamento del Premio sono scaricabili alla pagina https://datahub.savethechildren.it/premioricerca, attraverso la quale sarà possibile proporre anche le candidature.

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Il valore dell’ascolto e della vicinanza negli Humanizing Health Awards 2025 di Teva

HealthDesk - Mar, 03/11/2025 - 17:22
Il Premio

La cura non è fatta soltanto di terapie e farmaci, ma anche di empatia, ascolto e vicinanza. Con questo spirito, mercoledì 11 marzo è stata ufficialmente presentata, nell'ambito della Tavola rotonda “La cura oltre la terapia: empatia e ascolto per una maggiore vicinanza a pazienti e caregiver”, la sesta edizione del Premio Humanizing Health Awards di Teva.

Il Premio è dedicato al sostegno di progetti rivolti ai pazienti e ai loro caregiver (non retribuiti), impegnati nell’assistenza di persone con malattie croniche gravi. Il bando è aperto a tutti gli enti senza scopo di lucro che operano per migliorare la qualità della vita dei pazienti, offrendo loro un percorso di cura più sereno e dignitoso.

Le candidature sono aperte dall'11 marzo fino al 18 aprile prossimo. Le Associazioni interessate potranno presentare progetti in una delle seguenti cinque categorie: caregiver, patologie oncologiche, patologie pediatriche, malattie croniche, salute mentale e malattie neurodegenerative.

Tra tutti i progetti candidati, i dipendenti di Teva Italia selezioneranno i cinque progetti vincitori che saranno premiati nella cerimonia che si svolgerà a settembre.

«L’impegno di Teva non si esaurisce nella ricerca e nella produzione di farmaci di alta qualità» sostiene Giordana Cortinovis, Marketing e Communication Director di Teva Italia. «Crediamo che prendersi cura significhi anche riconoscere l’importanza del supporto emotivo nel percorso del paziente. Con il premio Humanizing Health Awards – prosegue - vogliamo riconoscere e sostenere le Associazioni che, con dedizione e sensibilità, accompagnano pazienti e caregiver nei momenti più difficili. Il loro operato, basato su compassione e rispetto della dignità di ogni individuo, rappresenta un pilastro essenziale del sistema di assistenza».

Per maggiori informazioni, si può consultare il sito di Teva Italia: https://www.tevaitalia.it/humanizing-health-awards/.

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Veterinari e pediatri: delle aggressioni non diamo la colpa ai cani, piuttosto impariamo a conoscerli

HealthDesk - Lun, 03/10/2025 - 18:06
L'appello

Le cronache, anche recenti, raccontano aggressioni di cani ai danni di minori, spesso in tenerissima età, in contesti domestici privati-familiari, quasi sempre caratterizzati dalla presenza di cani di grossa taglia lasciati incustoditi o sfuggiti al controllo dei proprietari-genitori. Vale la pena ricordare che, pur non trattandosi di “luoghi aperti al pubblico”, anche i contesti domestici sono giuridicamente assoggettati al principio del possesso responsabile.

La Società italiana di pediatria (Sip) e l'Associazione nazionale medici veterinari (Anmvi) richiamano l’attenzione sulla necessità di rafforzare la prevenzione attraverso due leve: da una parte sviluppare negli adulti una maggiore conoscenza del rapporto bambini-cani per una corretta valutazione rischio-beneficio e, dall'altra parte, rafforzare le politiche educative al possesso responsabile di cani, specialmente in presenza di minori.

«La relazione con un animale domestico favorisce la crescita armoniosa dei bambini migliorando la loro empatia, il senso di responsabilità e il benessere emotivo» sottolinea Rino Agostiniani, presidente della Sip. Ma per garantire una convivenza positiva, avverte, «la sorveglianza di un adulto è imprescindibile: un cane e un bambino non dovrebbero mai stare insieme senza supervisione».

Il rapporto tra bambini e cani deve svilupparsi all’interno di una cornice di sicurezza che implica un rafforzamento del principio del “possesso responsabile” e una corretta impostazione del rapporto tra cani e bambini in età pediatrica e più in generale tra cani e minori. «È essenziale che i proprietari genitori o che stanno per diventare genitori adottino tutte le precauzioni necessarie per una convivenza sicura, a partire dalla scelta del cane più indicato per il contesto familiare» sottolinea il presidente dell’Anmvi, Marco Melosi: «Maggiore sarà la compatibilità tra le condizioni socio-ambientali con le esigenze di benessere del cane e maggiore sarà l’equilibrio complessivo della convivenza».

Tra i principi chiave suggeriti da Sip e Anmvi, una adozione consapevole del cane; supervisione costante; educazione alla relazione; prevenzione fin dalla gestazione

Sip e Anmvi chiedono poi una profonda revisione dell’attuale percorso formativo (il cosiddetto “patentino”) ideato due decenni or sono, quando la presenza di cani nelle famiglie non aveva ancora raggiunto il rapporto demografico di oggi, pari a un cane ogni tre famiglie e un cane ogni sette persone (8,8 milioni di cani; 26,4 milioni di famiglie: 58,9 milioni di italiani).

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Anoressia: In Italia circa 540 mila pazienti, nove su dieci sono donne

HealthDesk - Lun, 03/10/2025 - 18:04
Lo studio

Peso, indice di massa corporea, massa grassa, massa magra, massa cellulare corporea, angolo di fase e marcatori di idratazione: sono alcuni parametri chiave che andrebbero considerati nel percorso di riabilitazione delle persone che soffrono di anoressia nervosa. A indicarli è uno studio condotto dal Centro per la cura dei disturbi alimentari di Villa Miralago (Varese) e dall’Università di Milano pubblicati sulla rivista Nutriens proprio in occasione della Settimana nazionale del Fiocchetto lilla (fino al 15 marzo) dedicata ai disturbi dell'alimentazione.

L’anoressia nervosa colpisce in Italia circa l’1% della popolazione, nove volte su dieci donne, per un totale di oltre 540 mila pazienti. È solo uno dei disturbi del comportamento alimentare più diffusi, come bulimia e binge eating, che interessano oltre 3 milioni di persone.

«La riabilitazione nutrizionale è fondamentale non solo per il ripristino del peso – spiega Eugenia Dozio, responsabile nutrizione di Villa Miralago - ma anche per migliorare la composizione corporea e le funzioni metaboliche. Tuttavia, le strategie ottimali per integrare l'assunzione calorica e proteica al fine di ottenere un recupero equilibrato rimangono poco esplorate. Il nostro studio si è concentrato sull’analisi dell’interazione tra apporto calorico e proteico nel tempo, valutando i loro effetti sui parametri quantitativi e qualitativi, con l’obiettivo di identificare marcatori predittivi di un recupero ottimale e guidare interventi nutrizionali su misura».

Lo studio ha coinvolto un totale di 79 pazienti con diagnosi di anoressia nervosa, ricoverati per un periodo di almeno sei mesi.

«È fondamentale un approccio dinamico – precisa Ileana Terruzzi, professoressa in Scienza dell’alimentazione dell’Università di Milano - che si basi su marcatori avanzati di composizione corporea e idratazione per la riabilitazione nutrizionale. Una valutazione accurata e continua di questi parametri – aggiunge - consente interventi personalizzati e un recupero più equilibrato dalla malnutrizione conseguente all’anoressia nervosa».

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Liste d'attesa: sono spesso le prestazioni più urgenti a superare i tempi di legge

HealthDesk - Lun, 03/10/2025 - 18:02
Altroconsumo

Solo il 40% circa degli italiani alle prese con le liste d’attesa lo sa, ma la normativa prevede tempi massimi di attesa per ottenere l'appuntamento per una visita o un esame. Purtroppo, però, più della metà delle visite (52%) e più di un terzo degli esami (36%) vanno oltre questi tempi massimi, con attese medie di circa 105 giorni.

La cosa diventa ancora più grave se si pensa che tra le prestazioni con le attese maggiori ce ne sono alcune particolarmente delicate per individuare problemi come i tumori; per esempio la mammografia o la colonscopia, per cui c'è un'attesa media di cinque mesi.

Altroconsumo ha svolto un’indagine sulle liste d'attesa in sanità, intervistando nel novembre scorso 1.086 persone dai 18 anni in su che negli ultimi due anni hanno provato a prenotare una visita medica con il Servizio sanitario nazionale.

Nell'indagine è stato chiesto tra l'altro quale classe di priorità fosse indicata sulle ricette delle prestazioni che hanno cercato di prenotare, con il risultato che sarebbero proprio le visite e gli esami più urgenti ad andare più spesso fuori tempo massimo: il 76% delle visite con priorità “U - urgente” (cioè da fare entro 72 ore) e il 76% delle visite e degli esami con priorità “B - breve” (da fare entro dieci giorni). In tre casi su quattro, insomma, chi aveva bisogno di una visita o un esame in tempi brevi per un problema serio, non si è visto garantire questo diritto.

Dall’indagine Altroconsumo emerge che troppo spesso per esami e visite bisogna aspettare anche più di un anno. Per esempio, ad andare oltre i dodici mesi di attesa sono il 18% delle mammografie, seguite da visite dermatologiche, gastroenterologiche e oftalmologiche (12%).

Inoltre, il 40% degli intervistati ha dichiarato che il proprio problema è peggiorato mentre era in attesa della visita di cui aveva bisogno. Rispetto all’indagine precedente svolta da Altroconsumo nel 2018, la percentuale di intervistati insoddisfatti dei tempi di attesa è passata dal 50% al 64%.

Il 73% degli italiani che hanno provato a prenotare una vista o un esame con il Servizio sanitario nazionale ha riscontrato problemi. Il principale è risultato quello della lunga attesa in qualsiasi struttura del proprio territorio (30%), ma non è stato l'unico: nel 26% dei casi non è stato possibile prenotare alcun appuntamento a causa dell'indisponibilità dell'agenda e della mancanza di date disponibili, nonostante la legge lo vieti.

Un altro disagio riguarda la lontananza delle strutture (13%), dal momento che gli “ambiti territoriali di garanzia”, possono essere vasti. Può essere difficile anche contattare il Cup o la struttura (11%), con attese lunghe, numeri sempre occupati o linee che si interrompono dopo inutili attese.

A causa dei lunghi tempi di attesa, nel 30% dei casi le persone sono ricorse ai privati, spendendo in media 138 euro. Questa cifra rappresenta solo una media, poiché sono state registrate spese massime che arrivano fino a 725 euro. Per far fronte a queste spese un aiuto proviene dalle assicurazioni sanitarie: il 25% degli intervistati ne possiede una, nella maggior parte dei casi legata al proprio lavoro.

«Le lunghe attese per visite ed esami – sostiene Federico Cavallo, responsabile Relazioni esterne di Altroconsumo - dipendono da tre fattori: anni di tagli che hanno ridotto fondi e personale, una pianificazione inadeguata che ha aggravato la carenza di medici e infermieri e un’elevata inappropriatezza prescrittiva, che incide sul 20-30% delle richieste. I cittadini – prosegue - si trovano così di fronte a un paradosso inaccettabile: mentre con il Servizio sanitario nazionale si può aspettare oltre un anno, pagando nella stessa struttura si ottiene un appuntamento in tempi molto più brevi. L’intramoenia, così come altri servizi privati o le assicurazioni sanitarie, devono essere un servizio complementare, non un’alternativa alla sanità pubblica». Per Cavallo, infine, «affrontare la crisi del Servizio sanitario nazionale con interventi strutturali, aumentando i fondi, migliorando la pianificazione e garantendo l'equità sul territorio è quindi sempre più urgente. Altrimenti – conclude - si rischia di rinunciare definitivamente a un diritto costituzionale fondamentale: la tutela della salute per tutti».

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Salute delle donne: un investimento sociale ed economico

HealthDesk - Lun, 03/10/2025 - 18:00
L'incontro

Promuovere il confronto tra esperti di varie discipline sulle differenze di genere nelle patologie cardiovascolari, sul ruolo della prevenzione mirata e dell’innovazione digitale affinché la salute delle donne sia riconosciuta come fondamentale investimento sociale ed economico, e la medicina di genere diventi realmente obiettivo strategico della sanità pubblica italiana.

Con questi obiettivi, Daiichi Sankyo Italia ha organizzato il 7 marzo a Milano, alla vigilia della Festa della donna, l'incontro “Le donne verso un cuore consapevole”, che si è svolto nella sede dell’Unione femminile nazionale.

Le malattie cardiovascolari sono le principali cause di mortalità a livello globale. Tuttavia, esistono differenze significative tra uomini e donne in termini di prevalenza, manifestazione clinica, risposta ai trattamenti e vissuto emotivo e cognitivo. Ciò influenza la consapevolezza delle pazienti, le strategie di prevenzione e gli approcci terapeutici.

La consapevolezza di queste differenze, tuttavia, rimane bassa: diversi studi mostrano che le donne sono meno informate degli uomini sui propri rischi cardiovascolari e dunque partecipano meno anche ai programmi di screening, con conseguenze negative sulla prevenzione e sulla gestione delle malattie cardiovascolari. La scarsa consapevolezza è stata confermata anche da CARIN WOMEN survey, studio multicentrico osservazionale condotto daii'Associazioni regionali cardiologi ambulatoriali (Arca), che ha coinvolto 49 ambulatori cardiologici su tutto il territorio nazionale. Su 5.600 pazienti intervistate, poco più del 10% si è ritenuta ad alto rischio cardiovascolare. «La valutazione di tale rischio nella donna dovrebbe essere eseguita lungo tutto il suo arco di vita – sostiene Adele Lillo, cardiologa e referente nazionale del Gruppo studio malattie cardiovascolari di genere Arca - ed esso deve essere considerato come dinamico, in quanto può modificarsi in qualunque momento. Infatti, il riconoscimento precoce e il trattamento dei fattori di rischio possono alterare la traiettoria degli eventi cardiovascolari avversi».

Il quadro tracciato da Irene Gianotto, consulente di The European House-Ambrosetti, mostra che le donne vivono più a lungo, ma in condizioni di salute peggiori. Il 51% del carico sanitario femminile è causato da malattie comuni a entrambi i sessi, ma con maggiore prevalenza o un impatto differente sulle donne. Circa il 60% di tutto il carico di cattiva salute, inoltre, si manifesta in età lavorativa, con conseguenze su reddito e benessere familiare, una criticità che si aggiunge ad altre differenze già presenti a livello sistemico. Le patologie malattie cardiovascolari, insieme a quelle oncologiche, sono le principali cause di mortalità e disabilità in Italia per la popolazione femminile e per questo considerate ad alto impatto economico. Hanno un costo annuale di circa 41 miliardi di euro, di cui tre quarti legati a costi diretti e il resto a quelli indiretti e comportano in media 59 giorni di lavoro persi. Solo ictus e infarto pesano sul carico di cattiva salute femminile per il 10%, a dimostrazione dell’importanza di attuare politiche di prevenzione mirate al target femminile. Ancora oggi, però, la ricerca pre-clinica e clinica non tiene conto delle differenze di genere e le donne sono ancora sottorappresentate nelle diverse fasi degli studi clinici, non permettendo l’individuazione di percorsi di prevenzione, diagnosi e cura appropriati e specifici per entrambi i sessi. Esempio paradigmatico delle differenze sono proprio le malattie cardiovascolari che sono classicamente considerate un problema maschile ma, di fatto, sono la principale causa di morte delle donne. «L’adozione della medicina di genere come strategia sanitaria – sostiene Elena Ortona, direttrice del Centro di Medicina di genere dell’Istituto superiore di sanità - è cruciale per garantire diagnosi più tempestive e percorsi terapeutici adeguati, per migliorare l’appropriatezza delle cure e ridurre il gender gap in termini di salute e aspettativa di vita in buona salute- Considerare il sesso e il genere nelle azioni di prevenzione e di cura è necessario per promuovere l’equità e l’appropriatezza degli interventi – aggiunge - contribuendo a rafforzare la “centralità della persona” e ad applicare una medicina personalizzata».

«Siamo consapevoli che cambiare l’attuale paradigma rappresenta un percorso lungo e non privo di ostacoli – interviene Joanne Jervis, Managing Director & Head of Specialty Business Division di Daiichi Sankyo Italia - ma continueremo a fare tutto il possibile per sostenere i decisori politici, le Istituzioni sanitarie, le campagne di sensibilizzazione delle Associazioni dei pazienti e la ricerca, perché l'impegno di Daiichi Sankyo nel proteggere le persone dalle malattie va oltre lo sviluppo di nuovi trattamenti efficaci. I bisogni dei pazienti sono una nostra priorità – conclude - e prendere in considerazione le differenze di genere è fondamentale per applicare una medicina e una cura personalizzate, al fine di migliorare la qualità della vita e la prosperità delle future generazioni, in qualunque parte del mondo».

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Campagna Anaao contro la violenza sugli operatori sanitari

HealthDesk - Lun, 03/10/2025 - 17:56
Giornata nazionale

“Anche tu puoi prenderti cura di me. #Bastaggressioni”: per la Giornata nazionale contro la violenza sugli operatori sanitari (mercoledì 12 marzo) l’Anaao Assomed ha scelto un messaggio diretto ai cittadini e ai pazienti.

«Con il volantino che sarà affisso negli ospedali e distribuito ai pazienti – spiega Pierino Di Silverio, segretario nazionale del sindacato - vogliamo rivolgerci a chi insieme a noi vive disagio e preoccupazione dovuti non solo alla malattia ma anche alle difficili condizioni in cui lavoriamo che troppo spesso generano reazioni violente».

Nonostante l’inasprimento delle misure adottate dal Governo, il fenomeno, osserva Di Silverio, non accenna a diminuire «per ragioni che probabilmente nessuna misura repressiva sarà capace di fermare. Da un lato c’è la difficoltà ad accedere alle cure, soprattutto quelle in urgenza per i ben noti problemi di carenza di personale e di una organizzazione lacunosa. Dall’altro si è spezzato il rapporto di fiducia medico-paziente sostituito dal dottor Google e da diagnosi e terapie “fai-da-te” somministrate dai social o dalla rete, un rapporto quindi che va rifondato dalle basi».

Il sindacato chiede allora al Governo «interventi normativi per riformare il percorso di cura del paziente a partire ad esempio da una diversa organizzazione dell’accesso in ospedale, che deve prevedere la creazione di filtri, accogliendo non solo i pazienti ma anche i loro familiari, i più frequenti responsabili delle aggressioni che subiamo»: il 61% delle aggressioni avviene infatti a carico del familiare secondo l’ultimo studio Anaao. «Anche le Aziende però devono fare la loro parte - avverte Di Silverio - denunciando le violenze e costituendosi parte civile nei processi, nonché rispettando le norme previste dal decreto 81/2008 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Solo in questo modo – conclude - potremo sentirci meno soli e meno isolati nel nostro lavoro quotidiano».

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Diabete: un sistema “intelligente” per la terapia insulinica multi-iniettiva

HealthDesk - Lun, 03/10/2025 - 17:55
Innovazioni

Garantire un controllo costante della glicemia e dei livelli di insulina attiva e consentire un corretto dosaggio di insulina. A questa esigenza intende rispondere i sistema Smart MDI presentato lunedì 10 marzo a Milano da Medtronic.

In Italia, tra diabete di tipo 1 e tipo 2, circa 500 mila persone seguono una terapia insulinica e, in particolare, circa l’80 per cento delle persone con diabete di tipo 1 utilizza ancora la terapia multi-iniettiva. Il 44 per cento delle persone con diabete di tipo 2 e il 64 per cento di quelle con il tipo 1 che utilizzano il monitoraggio continuo del glucosio (CGM) non raggiungono un adeguato controllo glicemico.

Il sistema di Medtronic rappresenta un'opzione innovativa per le persone che, per scelta o per mancanza di accesso alla tecnologia, non utilizzano un microinfusore, facilitando così un primo passo per un approccio personalizzato della gestione della terapia con un miglioramento dei risultati clinici.

«Ottenere un buon controllo della glicemia – spiega Dario Pitocco, professore di Endocrinologia dell’Università Cattolica e direttore dell'Unità di Diabetologia del Policlinico Gemelli - è fondamentale per prevenire la comparsa delle complicanze legate al diabete e per migliorare la qualità di vita delle persone che presentano questa condizione». Tuttavia, prosegue l'esperto, la terapia insulinica che prevede più somministrazioni al giorno «richiede molta attenzione nella sua gestione».

Il sistema smart integra e connette i dati ricavabili dal monitoraggio in continuo della glicemia con sensore con la penna di insulina che si utilizza per la somministrazione, mediante un’applicazione sullo smartphone che raccoglie i dati relativi alla terapia fornendo suggerimenti utili per il dosaggio di insulina.

Nello specifico, il sistema di Medtronic è composto da un sensore all-in-one con trasmettitore integrato che fornisce letture dei livelli del glucosio in tempo reale e comunica direttamente con l’applicazione per cellulare della penna “intelligente” per la somministrazione di insulina ad azione rapida riutilizzabile che monitora anche la temperatura dell'insulina.

L’app invia notifiche in caso di dosi dimenticate, segnala valori di glucosio elevati e calcola le necessarie correzioni. L’obiettivo è contrastare il rischio di incorrere in ipo - o iperglicemie.

«Siamo impegnati a semplificare la vita delle persone con diabete – assicura Luigi Morgese, Senior Business Director di Medtronic Diabete Italia, Grecia e Israele - attraverso una completa piattaforma di gestione». Le penne “intelligenti” «rappresentano un’alternativa efficace per ottimizzare i risultati clinici – conclude - e ridurre il peso quotidiano per le persone con diabete di tipo 1, in modo che possano vivere la loro vita al meglio».

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Nasce la Fondazione ATLAS

HealthDesk - Lun, 03/10/2025 - 17:53
Il progetto

Più di 70 Centri di ricerca su tutto il territorio che a oggi hanno raccolto le informazioni sulle mutazioni genetiche di oltre 8 mila italiani con tumore al polmone. Sono dati del progetto ATLAS, prima piattaforma italiana che sistematizza le informazioni relative alle mutazioni a carico di alterazioni molecolari che rappresentano biomarcatori predittivi positivi di risposta al trattamento in questi pazienti.

Con lo scopo di consolidare questo patrimonio di conoscenze, è nata la Fondazione ATLAS che, oltre a facilitare la sinergia tra le istituzioni italiane che lavorano nella ricerca biologica, biomedica, medica e farmacologica, ha come obiettivo anche l’attività di promozione della cultura nell’ambito della patologia molecolare e della medicina di precisione.

«La nascita della Fondazione – sostiene Domenico Galetta, presidente della Fondazione - è un’opportunità importante per rafforzare il nostro impegno nei confronti della ricerca e dei pazienti. Il nostro è un network democratico dove ogni Centro che partecipa può promuovere un’idea di ricerca che viene poi tradotta nella fotografia di un sottogruppo di pazienti con tumore polmonare. È una banca dove ognuno mette della ricchezza, in termini di dati molecolari e clinici, da cui trarre beneficio sul fronte della ricerca e della pratica».

Sebbene i numeri di questa malattia oncologica siano grandi (44 mila nuove diagnosi stimate nel 2023), molte delle mutazioni che vengono individuate interessano pochi pazienti. Ecco perché è fondamentale avere a disposizione una piattaforma dove si possono trovare informazioni su come è stato trattato un tumore che presenta una specifica mutazione o per sapere in quale Centro sono attive sperimentazioni adatte proprio a quel tipo di tumore.

«In questi anni – sottolinea Silvia Novello, vicepresidente della Fondazione - la collaborazione tra i gruppi di ricerca che aderiscono ad ATLAS ha portato alla realizzazione di venti presentazioni nazionali e internazionali e dieci pubblicazioni su riviste con un impact factor rilevante. Abbiamo vinto uno dei grant che Aifa ha stanziato per la ricerca indipendente e il database è usato anche da altri enti o fondazioni attivi nella ricerca oncologica, come Airc»

Tuttavia, aggiunge Umberto Malapelle, anch'egli vicepresidente della Fondazione, «la nostra ambizione è quella di fare la differenza per i medici e per i pazienti quando si tratta di tumore al polmone che presenta una mutazione. Ma non vogliamo fermarci a questo tipo di malattia oncologica e la nascita della Fondazione ci permetterà di espandere l’orizzonte di cura per i pazienti, così che un numero sempre maggiore di pazienti possa beneficiare di un trattamento mirato».

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La settimana su HealthDesk

HealthDesk - Lun, 03/10/2025 - 14:09

 

Pressione alta: il cervello attiva una risposta per proteggere il cuore Il cuore, sotto pressione per l'ipertensione, invia un segnale al cervello, che a sua volta attiva il sistema immunitario nella milza. Quest'ultima rilascia un fattore di crescita che favorisce un rimodellamento del cuore che nel tempo compromette la funzionalità del cuore Leggi tutto Negli ultimi tre mesi in Siria due bambini al giorno uccisi o feriti da residuati bellici esplosivi «Dopo 13 anni di conflitto, gran parte del Paese è disseminato di mine e residuati bellici esplosivi. Anche se il conflitto attivo si è placato, l'ombra della guerra incombe ancora sulla Siria» Leggi tutto Antibiotici, i consumi riprendono ad aumentare; cresce l’antimicrobico-resistenza Leggi tutto Ne consumiamo più del dovuto, con una forte variabilità regionale, e spesso non prendiamo quelli giusti, preferendo molecole ad ampio spettro rispetto a quelle a spettro più ristretto, nonostante siano a più alto rischio di generare resistenze microbiche Obesità. Appello alle istituzioni: riconoscerla subito come malattia cronica Leggi tutto Una proposta punta a riconoscerla come malattia cronica di interesse sociale e di inserire l'assistenza per le persone obese nei livelli essenziali di assistenza. Oggi Giornata Mondiale dedicata alla malattia Altre notizie Veterinari e pediatri: delle aggressioni non diamo la colpa ai cani, piuttosto impariamo a conoscerli Liste d'attesa: sono spesso le prestazioni più urgenti a superare i tempi di legge Salute delle donne: un investimento sociale ed economico Campagna Anaao contro la violenza sugli operatori sanitari Diabete: un sistema “intelligente” per la terapia insulinica multi-iniettiva Nasce la Fondazione ATLAS Anoressia: In Italia circa 540 mila pazienti, nove su dieci sono donne Nuova convenzione tra farmacie e Servizio sanitario nazionale L'Anaao: no alla refertazione delle analisi in farmacia Rimborsato dal Ssn il primo radioligando per il carcinoma prostatico metastatico resistente alla castrazione positivo al Psma Quasi sei persone con malattie reumatiche su dieci hanno avuto problemi con il partner Atrofia muscolare spinale: risdiplam anche dai primi giorni di vita Se stai imparando lo dicono gli occhi Medici: tra i 40 e i 49 anni le donne doppiano gli uomini Il Servizio sanitario nazionale perde colpi e gli italiani chiedono più investimenti Ozgur Yaziyurt nuovo Country President di Pfizer in Italia


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Anoressia: In Italia circa 540 mila pazienti, nove su dieci sono donne

HealthDesk - Lun, 03/10/2025 - 10:12
Lo studio

Peso, indice di massa corporea, massa grassa, massa magra, massa cellulare corporea, angolo di fase e marcatori di idratazione: sono alcuni parametri chiave che andrebbero considerati nel percorso di riabilitazione delle persone che soffrono di anoressia nervosa. A indicarli è uno studio condotto dal Centro per la cura dei disturbi alimentari di Villa Miralago (Varese) e dall’Università di Milano pubblicati sulla rivista Nutriens proprio in occasione della Settimana nazionale del Fiocchetto lilla (fino al 15 marzo) dedicata ai disturbi dell'alimentazione.

L’anoressia nervosa colpisce in Italia circa l’1% della popolazione, nove volte su dieci donne, per un totale di oltre 540 mila pazienti. È solo uno dei disturbi del comportamento alimentare più diffusi, come bulimia e binge eating, che interessano oltre 3 milioni di persone.

«La riabilitazione nutrizionale è fondamentale non solo per il ripristino del peso – spiega Eugenia Dozio, responsabile nutrizione di Villa Miralago - ma anche per migliorare la composizione corporea e le funzioni metaboliche. Tuttavia, le strategie ottimali per integrare l'assunzione calorica e proteica al fine di ottenere un recupero equilibrato rimangono poco esplorate. Il nostro studio si è concentrato sull’analisi dell’interazione tra apporto calorico e proteico nel tempo, valutando i loro effetti sui parametri quantitativi e qualitativi, con l’obiettivo di identificare marcatori predittivi di un recupero ottimale e guidare interventi nutrizionali su misura».

Lo studio ha coinvolto un totale di 79 pazienti con diagnosi di anoressia nervosa, ricoverati per un periodo di almeno sei mesi.

«È fondamentale un approccio dinamico – precisa Ileana Terruzzi, professoressa in Scienza dell’alimentazione dell’Università di Milano - che si basi su marcatori avanzati di composizione corporea e idratazione per la riabilitazione nutrizionale. Una valutazione accurata e continua di questi parametri – aggiunge - consente interventi personalizzati e un recupero più equilibrato dalla malnutrizione conseguente all’anoressia nervosa».

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Nuova convenzione tra farmacie e Servizio sanitario nazionale

HealthDesk - Ven, 03/07/2025 - 18:22
L'Accordo

La Conferenza Stato-Regioni ha firmato l’Accordo che disciplina i rapporti delle farmacie pubbliche e private con il Servizio sanitario nazionale.

La nuova Convenzione «riconosce il valore dell’apporto professionale dei farmacisti al Servizio sanitario nazionale per rispondere alle esigenze dei cittadini che richiedono un’assistenza sempre più tempestiva e accessibile -commenta Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli ordini dei farmacisti italiani (Fofi) - in special modo sul fronte della prevenzione. L’accordo va nella direzione del potenziamento dell'assistenza territoriale, affermando il fondamentale ruolo dei farmacisti nell'erogazione dei servizi di primo e secondo livello ai cittadini, e favorendo un approccio multidisciplinare nella gestione dei pazienti».

L’accordo è «di estrema rilevanza – aggiunge Mandelli - non soltanto perché colma un vuoto che dura da quasi trent’anni, ma perché fissa degli standard, uniformi su tutto il territorio nazionale, volti ad assicurare la massima qualità delle prestazioni sanitarie rese ai cittadini. Per la prima volta, infatti, entrano nella disciplina convenzionale i servizi di cui alla L. 69/2009 istitutiva della “Farmacia dei servizi”, che saranno erogati secondo modalità omogenee e criteri logistico-organizzativi minimi non derogabili, anche attraverso l'utilizzo di locali esterni».

Anche Federfarma, l'Associazione delle farmacie private, «accoglie con soddisfazione la firma della Convenzione farmaceutica», dichiara il presidente Marco Cossolo.

L'Accordo «regola non solo le modalità di erogazione dei farmaci, la disponibilità dei farmaci essenziali, gli orari di apertura delle farmacie – precisa Cossolo - ma anche tutti i servizi, dai test con prelievo di sangue capillare alle prestazioni di telemedicina, alla somministrazione dei vaccini».

I servizi in farmacia, prosegue il presidente di Federfarma, «saranno erogati e disciplinati in maniera strutturata e uniforme per consentire ai cittadini un accesso equo sull’intero territorio nazionale. Tutte le farmacie opereranno secondo gli standard previsti, in qualità di presidi sanitari di prossimità, anello di congiunzione tra cittadino e Servizio sanitario nazionale. L’applicazione della nuova Convenzione rafforzerà l’assistenza sanitaria di prossimità, con una particolare attenzione ai bisogni di salute degli anziani, dei malati cronici e delle persone fragili. In questo modo – conclude Cossolo - viene data piena attuazione, con regole chiare e uniformi, alla farmacia dei servizi».

Categorie: Medicina integrata

L'Anaao: no alla refertazione delle analisi in farmacia

HealthDesk - Ven, 03/07/2025 - 18:19
Nuova Convenzione

L'Anaao Assomed, il principale sindacato dei medici e dirigenti sanitari del Ssn, «esprime forte preoccupazione» per il rinnovo della Convenzione con le farmacie pubbliche e private nella quale sono previsti nuovi servizi come le somministrazioni di vaccini, test diagnostici, telemedicina e prestazioni cliniche di vario tipo.

«Riteniamo – dichiara Pierino Di Silverio, segretario nazionale del sindacato – che l’accordo comprometta la tutela della qualità e l’attendibilità dei servizi resi agli utenti, cui si aggiungono la grave e palese invasione di competenze di medici e altri professionisti sanitari e le inaccettabili ricadute anche in termini di incremento della spesa sanitaria in una fase di grave e perdurante carenza di risorse che sta pregiudicando l’erogazione dei servizi essenziali. Non possiamo accettare – prosegue Di Silverio - che la refertazione degli esami di laboratorio venga delegata al farmacista per gli esami eseguiti in farmacia su sangue capillare senza prevedere il rispetto di tutti i requisiti strutturali, organizzativi, tecnologici e professionali previsti per i servizi di medicina di laboratorio accreditati».

Secondo il segretario Anaaao Assomed, per di più, l’intesa Stato-Regioni sulla Convenzione è «in netta contraddizione con la normativa in vigore che non prevede queste competenze per il farmacista». E un altro aspetto «non secondario» aggiunge Di Silverio, sono le ricadute medico legali così come «inaccettabile è anche il presupposto che gli esami eseguiti con apparecchiature semplificate, non controllate direttamente dal laboratorio clinico, siano in grado di garantire il minimo obbligatorio livello di qualità che è invece ovviamente garantito dalle strutture di laboratorio».

Si tratta di misure che, sostiene infine il leader dell'Anaao Assomed, «non rappresentano in alcun modo un antidoto alle liste d’attesa, fenomeno che non riguarda la diagnostica di laboratorio dove l’offerta è assolutamente adeguata ai bisogni, distribuita sul territorio, ed erogata ai massimi livelli di qualità dai professionisti abilitati della medicina di laboratorio».

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Rimborsato dal Ssn il primo radioligando per il carcinoma prostatico metastatico resistente alla castrazione positivo al Psma

HealthDesk - Ven, 03/07/2025 - 18:18
Farmaci

Novartis annuncia che, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, la terapia con radioligandi Lutetium (177Lu) vipivotide tetraxetan è ora disponibile e rimborsata per i pazienti italiani affetti da carcinoma prostatico metastatico resistente alla castrazione (mCRPC) progressivo, positivo all’antigene di membrana specifico della prostata (PSMA), che sono stati trattati con inibitore della via del recettore degli androgeni (AR) e chemioterapia a base di docetaxel e cabazitaxel o che non sono candidabili a cabazitaxel.

L'approvazione segna, per i pazienti con carcinoma prostatico, un’evoluzione nell’accesso alla terapia con radioligandi, un’innovazione della medicina di precisione basata sulla teragnostica che unisce fase diagnostica e fase terapeutica in un approccio che consente di colpire in modo mirato le cellule tumorali, migliorando conseguentemente l’efficacia del trattamento e la tollerabilità per i pazienti.

Questa molecola è progettata per agire selettivamente sulle cellule tumorali che esprimono il recettore PSMA, presente in oltre l’80% dei pazienti con carcinoma prostatico metastatico. A supporto della decisione Aifa sulla rimborsabilità della terapia con radioligandi, ci sono i risultati dello studio clinico di fase III VISION, che hanno evidenziato una riduzione del 38% del rischio di morte e del 60% del rischio di progressione radiografica della malattia o di morte (rPFS), rispetto al miglior standard di cura attuale.

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Pressione alta: il cervello attiva una risposta per proteggere il cuore

HealthDesk - Ven, 03/07/2025 - 16:13
Lo studio Blood_pressure_monitoring.jpg Immagine: rawpixel.com, CC0, via Wikimedia Commons Il cuore, sotto pressione per l'ipertensione, invia un segnale al cervello, che a sua volta attiva il sistema immunitario nella milza. Quest'ultima rilascia un fattore di crescita che favorisce un rimodellamento del cuore che nel tempo compromette la funzionalità del cuore

Uno studio guidato dall'Istituto Neuromed di Pozzilli e pubblicato sulla rivista scientifica Immunity, svela un meccanismo biologico che coinvolge il cuore, il cervello e la milza nella risposta cardiaca al sovraccarico emodinamico provocato dall'ipertensione arteriosa. Lo studio ha coinvolto ricercatori provenienti da diversi Istituti internazionali tra cui le Università di Manchester, di Toronto e di Edimburgo.

La ricerca, condotta sia su modelli animali sia nell’uomo, descrive un vero e proprio circuito biologico che collega i tre organi.

«Abbiamo scoperto - spiega Sara Perrotta, ricercatrice del Neuromed, prima autrice della ricerca - che il cuore, sotto pressione a causa dell'ipertensione, invia un segnale al cervello, che a sua volta attiva il sistema immunitario nella milza. Quest'ultima rilascia un fattore di crescita, chiamato Placental Growth Factor, capace di stimolare specifiche cellule immunitarie presenti nel muscolo cardiaco, favorendo un rimodellamento inizialmente adattativo. Tuttavia, con il tempo, questo processo tende a peggiorare, compromettendo la funzionalità del cuore».

Gli scienziati hanno osservato che, anche in pazienti ipertesi, i livelli di Placental Growth Factor nel sangue aumentano parallelamente ai segni di un rimodellamento del cuore. Inoltre, è stata individuata l'espressione di una particolare proteina, Neuropilina-1, nei macrofagi del tessuto cardiaco umano, confermando l'esistenza di un meccanismo simile anche nella nostra specie.

«Questa scoperta - commenta Daniela Carnevale, professoressa dell’Università Sapienza di Roma e del Neuromed, autrice di riferimento dello studio - apre nuove prospettive nella comprensione di come il sistema nervoso e quello immunitario lavorino insieme per governare la risposta del cuore nei processi patologici che portano allo scompenso cardiaco. In futuro, potremmo immaginare strategie terapeutiche capaci di modulare questa risposta naturale per prevenire l'evoluzione dell'insufficienza cardiaca».

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Quasi sei persone con malattie reumatiche su dieci hanno avuto problemi con il partner

HealthDesk - Ven, 03/07/2025 - 15:25
L'indagine

Quasi sei persone affette da una patologia reumatologica su dieci (56,6%) dichiarano di aver avuto problemi con il partner e sono più di uno su dieci (11,7%) coloro che, in seguito alla diagnosi, non hanno più avuto una relazione. Quasi otto su dieci (79,4%) hanno avuto problemi nelle relazioni sessuali con il partner. Fortunatamente queste problematiche solo in poco meno di un caso su cinque (17,1%) hanno portato a un allontanamento o addirittura a una separazione.

È quanto emerge dall’indagine “Vivere con una patologia reumatologica”, promossa dall'Associazione persone con malattie reumatologiche e rare ( Apmarr) in collaborazione con l’istituto di ricerca WeResearch, svolta su un campione nazionale di 1.627 persone tra persone con patologie reumatologiche (274), caregiver di persone con malattie reumatologiche (100) e popolazione generale non colpita da queste patologie (1.253).

In Italia sono più di 5,5 milioni, quasi il 10% della popolazione nazionale, le persone affette da una delle oltre 150 patologie reumatologiche che rappresentano la seconda principale causa di invalidità in Europa dopo le malattie cardiovascolari.

Dal sondaggio risulta che la sfera delle relazioni affettive con il partner, con il 32,8%, è al terzo posto tra i principali ambiti di cambiamento del progetto di vita in seguito alla diagnosi di una patologia reumatologica, subito dopo lavoro (71,7%) e sport (38,9%). Tra le fasce d’età quella che ha avuto più problemi nella relazione con il proprio partner in seguito alla diagnosi della patologia reumatologica è quella degli over 65 (40%).

«Nelle donne giovani affette da una patologia reumatologica – sottolinea Andreina Manfredi, professoressa di Reumatologia dell’Ausl-Irccs di Reggio Emilia – è di fondamentale importanza affrontare con il proprio reumatologo l’argomento della gravidanza. Sarà infatti importante concordare il momento migliore per approcciarsi a questa esperienza tenendo contro sia della fase di attività della malattia sia delle terapie in corso che andranno modificate o sospese. Oggi possiamo affermare che nessuna patologia reumatologica rappresenta una controindicazione assoluta alla gravidanza, ma nel periodo preconcezionale è fondamentale un “counseling” con il proprio reumatologo per valutare il singolo caso e ricevere le giuste informazioni. Inoltre, a volte, i pazienti riferiscono una certa difficoltà nel riportare correttamente in famiglia il contenuto dei colloqui avvenuti in ambulatorio e questo può generare inutili frustrazioni. Quindi – dice Manfredi – sia per il tema della gravidanza che per altri temi legati alla sfera affettiva, a volte si può chiedere espressamente al paziente se ha piacere di farsi accompagnare in occasione del controllo, almeno una volta, per condividere alcune informazioni anche con il partner».

La persona con una patologia reumatologica «dev’essere conscia dei propri problemi – interviene Antonella Celano, presidente Apmarr - individuando da dove essi derivino e cosa si possa fare per riuscire a superarli. Ma anche familiari, genitori, partner, caregiver e figli devono sapere e conoscere questa condizione di vita. Solo in questo modo si potranno allargare le conoscenze – sostiene Celano - e far sì che tutta la società comprenda e rispetti appieno le patologie reumatologiche, anche relativamente alle istanze della sessualità, potendo così vedere queste persone solo come uomini e donne con i loro desideri e le necessità tipici di ogni essere umano».

Cinque consigli degli esperti di Apmarr per aiutare donne e uomini con una patologia reumatologica a vivere al meglio la sfera affettiva e sessuale:

1. Comunicazione aperta e onesta tra i partner su sentimenti e desideri 2. Educazione e formazione sessuale 3. Affidarsi a specialisti con percorsi di cura ad hoc 4. Partecipazione a iniziative che consentano di acquisire consapevolezza della patologia diagnosticata (per evitare sia di sottovalutarla che di sovrastimare le difficoltà possibili) 5. Chiedere al partner di partecipare ogni tanto agli incontri con i medici

Categorie: Medicina integrata

Atrofia muscolare spinale: risdiplam anche dai primi giorni di vita

HealthDesk - Ven, 03/07/2025 - 14:23
Farmaci

L'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha esteso le indicazioni di risdiplam approvando in Italia il trattamento di bambini con atrofia muscolare spinale (Sma) fin dalla nascita.

Si tratta dell’unica terapia orale per la Sma, che ora ha ottenuto l'estensione dell'indicazione sulla base dei dati positivi dello studio RAINBOWFISH, da cui è emerso che la maggior parte dei bambini trattati con risdiplam ha acquisito le tappe fondamentali dello sviluppo motorio in modo simile ai bambini non affetti da Sma.

La Sma è causata dall’assenza o alterazione del gene SMN1, che comporta una quantità insufficiente di proteina funzionale del motoneurone di sopravvivenza (SMN). La proteina SMN è fondamentale per la sopravvivenza e il funzionamento dei neuroni coinvolti nella contrazione muscolare. La degenerazione dei motoneuroni induce atrofia muscolare e infine paralisi.

L'estensione dell'estensione approvata dall'Aifa «è una notizia che ci rende molto felici – assicura Anita Pallara, presidente Famiglie Sma –  poiché poter usufruire delle opportunità terapeutiche disponibili fin dai primi giorni di vita dei bambini permette un ulteriore miglioramento della qualità di vita delle persone con Sma. Questa approvazione pone, inoltre, le basi per lavorare maggiormente sulla richiesta dell'estensione dei programmi di screening neonatale in tutte le Regioni d'Italia, per garantire in egual misura su tutto il territorio nazionale un dritto alla salute imprescindibile».

Risdiplam è una piccola molecola che permette di ripristinare la produzione della proteina SMN funzionale, riducendo così i sintomi della malattia e rallentandone la progressione. Viene somministrato quotidianamente a domicilio sotto forma di sciroppo, per via orale o tramite sondino nasogastrico.

«Sono molto orgogliosa del fatto che, negli ultimi anni, grazie al nostro costante impegno in ricerca e innovazione siamo riusciti a dare il nostro contributo alla evoluzione della gestione terapeutica della Sma» commenta Anna Maria Porrini, direttrice medica di Roche Italia. «La possibilità di anticipare il trattamento fin dai primi mesi di vita – sottolinea - apre nuove prospettive di trattamento incrementando la possibilità di raggiungere le tappe motorie attese. Questo rappresenta un esempio concreto del nostro costante impegno per rispondere ai bisogni di salute di oggi e del futuro».

Categorie: Medicina integrata

Negli ultimi tre mesi in Siria due bambini al giorno uccisi o feriti da residuati bellici esplosivi

HealthDesk - Ven, 03/07/2025 - 08:50
Save the Children UNI724316_Med-Res.jpg Studenti in una scuola ristrutturata dall'Unicef ad Aleppo, © UNICEF/UNI724316/Nader «Dopo 13 anni di conflitto, gran parte del Paese è disseminato di mine e residuati bellici esplosivi. Anche se il conflitto attivo si è placato, l'ombra della guerra incombe ancora sulla Siria»

In Siria almeno 188 bambine e bambini sono stati uccisi o feriti da mine e residuati bellici esplosivi negli ultimi tre mesi. La cifra è state indicata da Save the Children.

Dall'8 dicembre scorso, comunica l'Organizzazione, le mine e i residuati bellici esplosivi hanno causato almeno 628 vittime, due terzi in più del numero totale di vittime del 2023. Una vittima su tre è un bambino e sono oltre 60 quelli uccisi finora. Si stima che questo numero crescerà con l’aumento dei bambini che torneranno alle loro case, aiuteranno a curare i terreni agricoli, andranno in giro a procurarsi il cibo o giocheranno all'aperto, soprattutto se le condizioni meteorologiche continueranno a migliorare.

Secondo le Nazioni Unite, negli ultimi tre mesi in Siria, quasi 1,2 milioni di persone sono tornate nelle loro case, tra cui più di 885 mila sfollati interni.

«Dopo 13 anni di conflitto, gran parte della Siria è disseminata di mine e residuati bellici esplosivi» sottolinea Bujar Hoxha, direttore di Save the Children in Siria. «Anche se il conflitto attivo può essersi placato – prosegue - le conseguenze della guerra ricordano drammaticamente il suo impatto. L'ombra del conflitto incombe ancora sulla Siria: i bambini si trovano in una condizione di vulnerabilità mentre cercano di recuperare la loro infanzia. La comunità internazionale deve dare priorità alla protezione dei bambini e garantire che non siano più esposti ai rischi delle mine e di altri ordigni esplosivi».

I bambini sono i più esposti agli ordigni inesplosi e alle mine terrestri a causa della scarsa consapevolezza del rischio e della loro elevata curiosità. Inoltre, il senso di relativa sicurezza ha portato a una maggiore mobilità tra i civili, in particolare tra gli sfollati, che ora si sentono sicuri di tornare nelle aree in cui le ostilità si sono attenuate.

Save the Children chiede pertanto al Governo di transizione di accelerare gli sforzi e impegnarsi per la rimozione delle mine esistenti e degli ordigni inesplosi, nonché di adottare misure pratiche e immediate per ridurre il crescente impatto di questi esplosivi. L’Organizzazione chiede inoltre ai donatori internazionali di sostenere la fornitura e l'aumento delle attrezzature tecniche necessarie per la segnalazione e la bonifica degli ordigni inesplosi e delle mine, in modo che i bambini e le loro comunità siano consapevoli del rischio e in grado di mitigarlo in modo sicuro.

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Se stai imparando lo dicono gli occhi

HealthDesk - Gio, 03/06/2025 - 18:26
Lo studio

L’apprendimento statistico, cioè quello in cui acquisiamo informazioni in modo automatico e inconsapevole, si può rintracciare persino in una delle nostre reazioni più semplici e inconsapevoli: la costrizione o dilatazione della pupilla dei nostri occhi, evocata dalla vista di un’immagine.

A dimostrarlo è uno studio di ricercatori delle Università di Pisa, Sydney, Firenze e Salento, appena pubblicato sulla rivista Current Biology.

Lo studio, come spiega Paola Binda, professoressa dell’Università di Pisa e prima autrice del lavoro, dimostra che il nostro sistema visivo è sensibile alle regolarità statistiche del nostro ambiente anche quando non siamo in grado di percepirle in modo consapevole. «Il diametro pupillare – aggiunge - si conferma una ricca fonte di informazioni sul funzionamento dei nostri sistemi sensoriali e cognitivi: una vera e propria finestra sulla mente e sulle sue capacità di apprendimento».

La rucerca parte dalla considerazione che tantissime informazioni su cui si basa il nostro comportamento sono apprese in modo spontaneo e inconsapevole, come l’acquisizione del linguaggio: «Per imparare non ci servono istruzioni o indicazioni – osserva Binda – siamo capaci di farlo sin dalle prime settimane di vita, semplicemente ascoltando i suoni della nostra lingua. Probabilmente, questa forma di “apprendimento statistico” è importante per estrarre un senso da tutti i segnali sensoriali, non solo uditivi».

i ricercatori hanno mostrato ai pazienti immagini che riportavano insiemi di barrette apparentemente casuali. La loro successione temporale era molto rapida e regolata da una semplice struttura statistica. Data la velocità con cui le immagini si susseguivano e la disposizione variabile degli elementi, questa struttura temporale non era percepibile. Nonostante ciò, il diametro pupillare oscillava sistematicamente.

«Grazie a questa metodologia innovativa - conclude Binda è possibile seguire in modo indiretto e non invasivo l’evolversi di processi cerebrali complessi. Nel lungo termine, questo tipo di ricerca potrebbe consegnarci nuovi strumenti per caratterizzare le differenze interindividuali dell’apprendimento e le sue disfunzioni».

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Medici: tra i 40 e i 49 anni le donne doppiano gli uomini

HealthDesk - Gio, 03/06/2025 - 15:27
8 marzo

Tra i medici italiani con meno di 50 anni, sei su dieci sono donne. Tra quelli con età compresa tra i 40 e i 49 anni la proporzione sale al 64%, quasi due su tre.

Sono alcuni dei dati tra quelli elaborati come ogni anno, in occasione dell’8 marzo, dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo).

C’è da dire, tuttavia, che i medici under 50 sono solo il 42% dei 422.511 iscritti all'Albo. Percentuale, questa, che fa il paio con i dati Eurostat, che indicano l’Italia come il Paese europeo con i medici ancora attivi più anziani per età.

In ogni caso, se si considera la platea dei medici con meno di 70 anni, tutti potenzialmente ancora in attività anche all’interno del Servizio sanitario nazionale, il quadro cambia, ma di poco: sono ancora le donne a essere in vantaggio, anche se con una percentuale più ridotta, il 53%.

Situazione opposta, invece, se si considera il totale dei medici: più numerosi sono gli uomini, con la stessa percentuale del 53%. Questo perché tra gli over 75 che restano iscritti all’Albo (circa 35 mila), oltre 29 mila (l'83%) sono uomini. Dato che scende al 76% se si considerano tutti i medici con più di 70 anni.

Appena cento anni fa le donne medico in Italia erano circa duecento, per diventare 367 nel 1938.

Gli uomini, comunque, sono in maggioranza in tutte le fasce d'età oltre i 60 anni. Si ha una sostanziale parità, con lieve preponderanza femminile, nella fascia tra i 55 e i 59 anni e poi, scendendo ancora, la tendenza si inverte.

«Nel nostro Servizio sanitario nazionale le colleghe sono ormai, da almeno cinque anni, la maggioranza – commenta il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli – soprattutto nelle fasce di età dove va costruita la carriera e in cui aumentano le responsabilità professionali e quelle familiari. I modelli organizzativi, gli orari di lavoro devono sempre più tener conto di questa realtà, valorizzando le professioniste e i professionisti, prevedendo modelli organizzativi che permettano a donne e uomini di conciliare i tempi di lavoro con quelli della vita privata e della famiglia e che tengano in debito conto, non facendole pesare sugli organici già ridotti, le possibili assenze per maternità».

Diversa la situazione per gli Odontoiatri: gli uomini sono il 70% dei 64.690 iscritti all’Albo. Anche qui, tuttavia, nelle fasce d’età più giovani la situazione diventa di sostanziale parità: tra gli under 24, sono 41 gli uomini e 41 le donne, tra i 25 e i 29 anni sono in lieve maggioranza le professioniste, 1.959 contro 1.902.

«La professione dell’odontoiatra è sempre più scelta dalle giovani donne - dice Andrea Senna, presidente della Commissione Albo odontoiatri nazionale - probabilmente anche perché permette di conciliare gli orari di lavoro, rendendoli flessibili, con la vita familiare».

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