L'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha concesso la rimborsabilità a tabelecleucel, prima terapia cellulare allogenica a cellule T specifica per il virus di Epstein-Barr (EBV) ottenuta da donatori sani, per il trattamento in monoterapia di pazienti adulti e pediatrici di età pari o superiore a due anni con malattia linfoproliferativa post-trapianto positiva al virus di Epstein-Barr (EBV+ PTLD) recidivata o refrattaria, che hanno ricevuto almeno una terapia precedente.
La malattia linfoproliferativa post-trapianto (PTLD) correlata a EBV è una patologia ematologica rara, acuta che può insorgere in pazienti sottoposti a trapianto di organi solidi (SOT) o di cellule ematopoietiche allogeniche (HCT). La prognosi per questi pazienti è incerta: la sopravvivenza mediana è inferiore a un mese per i pazienti HCT e di circa quattro mesi per i pazienti SOT.
I dati dello studio ALLELE, pubblicato su The Lancet Oncology, mostrano un tasso di risposta obiettiva del farmaco del 51,2% con una durata mediana della risposta di 23 mesi nei pazienti con EBV+ PTLD recidivante o refrattaria.
«I dati dello studio ALLELE sono molto promettenti – assicura Anna Maria Barbui, responsabile del Day Hospital Ematologia, ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo – e offrono una speranza per quei pazienti colpiti da PTLD positiva al virus di Epstein-Barr. È significativo notare che l'84,4% dei pazienti che hanno risposto al trattamento è ancora vivo a un anno dalla diagnosi».
I pazienti che hanno risposto a tabelecleucel hanno avuto una sopravvivenza globale a un anno dell'84,4% rispetto al 34,8% dei non-responder. La sopravvivenza globale mediana stimata è di 18,4 mesi.
Il virus Epstein-Barr è tra i patogeni più diffusi, con il 90-95% della popolazione adulta globale che risulta positiva all'infezione entro i 30 anni di età. Nella maggior parte dei casi, l'infezione è asintomatica e il virus non rappresenta un rischio significativo per le persone con un sistema immunitario efficiente. I pazienti sottoposti a trapianto vengono trattati con una terapia immunosoppressiva e questo può portare a una riattivazione dell’infezione da EBV e a un mancato controllo della stessa, con un conseguente sviluppo di una malattia linfoproliferativa EBV correlata.
Secondo la definizione dell’Unione europea, la PTLD con una prevalenza non superiore allo 0,05% della popolazione è considerata una patologia rara.
Ogni anno in Italia si eseguono circa 4 mila trapianti di organo solido e circa 2 mila trapianti di cellule staminali ematopoietiche allogeniche con conseguente sviluppo di nuovi casi di PTLD.
«La rimborsabilità di tabelecleucel da parte di Aifa è un passo importante per i pazienti italiani affetti da questa rara, acuta e quindi grave condizione» commenta Charles Henri Bodin, CEO di Pierre Fabre Pharma in Italia. «Siamo orgogliosi – aggiunge - di contribuire a offrire una nuova opportunità terapeutica che risponde a un evidente bisogno medico insoddisfatto, migliorando le prospettive di trattamento e la qualità di vita di chi è colpito da questa malattia».
Sono 383 i medici che hanno perso la vita la vita per il Covid, soprattutto nella prima fase della pandemia, quando ancora non erano disponibili i vaccini e mancavano anche i più elementari dispositivi di protezione: «Del loro operato, della loro abnegazione deve rimanere memoria, perché solo attraverso la memoria di ciò che è accaduto può passare la ricostruzione del nostro Servizio sanitario nazionale e delle nostre stesse esistenze». Sono parole di Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo) in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia da Coronavirus, che ricorre il 18 marzo.
Oltre la metà di quei medici, ricorda Anelli, «erano medici di medicina generale: sul territorio, negli ambulatori, nel 118, nelle carceri, nei luoghi in cui la prossimità è parte ed essenza stessa della cura, i medici erano soli, senza dispositivi di protezione e con mille difficoltà. Ed è proprio nel corso della pandemia che i principi del nostro Giuramento, del nostro Codice, del nostro Servizio sanitario nazionale hanno preso vita e si sono incarnati nei medici, negli operatori sanitari».
Per loro, per gli oltre 197 mila morti in quella pandemia, aggiunge il presidente della Fnomceo, ma anche per i 25 milioni e quattrocentomila guariti, «non dobbiamo arrenderci. Dobbiamo mantenere fede alla grande promessa fatta durante il Covid – prosegue - e continuare a sostenere il nostro Servizio sanitario nazionale, con i suoi principi di universalità, prossimità, uguaglianza, solidarietà, equità. Principi che rendono orgoglioso il 92% degli italiani, secondo i Rapporti Fnomceo-Censis: anche per questo, l’83,6% dichiara esplicitamente che, dopo l’esperienza traumatica del Covid, si aspettava molte più risorse e un impegno più intenso per potenziare la sanità. Una riserva di disillusione consistente – conclude Anelli - che è anche una domanda sociale pressante per tornare al dettato di quanto promesso e che gli italiani reputano urgente».
I pazienti con diabete hanno a disposizione un’arma in più per controllare la malattia. L’Agenzia Italiana del Farmaco ha infatti approvato la rimborsabilità di tirzepatide, il primo e, fino ad oggi, unico farmaco di una nuova classe terapeutica agonista recettoriale di GIP e GLP-1. Il farmaco, contenuto in una penna preriempita facile da usare, è inserito in Nota 100 e può essere prescritto sia dagli specialisti e sia dai medici di medicina generale.
Il diabete colpisce circa 4 milioni di italiani, il 7% della popolazione, con picchi sopra l’8% in Calabria e Campania. Si stima che entro il 2040 la prevalenza aumenterà fino al 9-10%.
«I dati degli Annali di AMD rilevano che solo il 56% delle persone con diabete di tipo 2 raggiunge un valore di emoglobina glicata sotto il 7%, che è il primo grande obiettivo target nel controllo glicemico», spiega Riccardo Candido, presidente dell’Associazione Medici Diabetologi. «I motivi sono molteplici: diagnosi tardiva e inizio del trattamento non tempestivo; inerzia terapeutica da parte dei professionisti che non intervengono in maniera precoce e incisiva nelle modifiche delle terapie qualora il diabete non sia sufficientemente controllato; difficoltà da parte dei pazienti a mantenere adeguati stili di vita in termini alimentazione e attività fisica; utilizzo di terapie fino a qualche tempo fa non del tutto efficaci e gravate dal rischio di ipoglicemia; ridotta aderenza dei pazienti alle terapie; difficoltà a livello regionale di mettere a disposizione rapidamente le innovazioni terapeutiche che oggi sono più efficaci, come tirzepatide; da ultimo, la disequità di accesso alle nuove opportunità terapeutiche e tecnologiche».
Il mancato controllo della malattia non è senza conseguenze. Anzi: quanto più a lungo la glicemia è fuori dai limiti tante più numerose e gravi sono le complicanze a cui vanno incontro le persone con diabete.
«Le principali conseguenze del diabete di tipo 2 sono quelle croniche, dovute al prolungato mantenimento negli anni di elevati valori della glicemia e della tossicità legata agli zuccheri nel sangue», spiega Gianluca Aimaretti, Presidente SIE – Società Italiana di Endocrinologia, Professore Ordinario di Endocrinologia Università del Piemonte Orientale e Direttore Dipartimento di Medicina Traslazionale. «Le principali riguardano il rene, l’occhio, il sistema nervoso centrale e periferico, micro- e macro-circolo, con danni importanti che nel tempo aumentano il rischio di infarto, ictus, e problemi anche a livello epatico, della sfera genitale e del cavo orale. È necessario diagnosticare il più precocemente possibile la malattia diabetica per intervenire con adeguati trattamenti, solo così è possibile rallentare o in qualche caso prevenire le complicanze che talvolta insorgono quando ancora il paziente non sa di essere diabetico e non ha disturbi. Inoltre, gli studi dimostrano che le complicanze possono portare negli anni a gravi disabilità e ridurre l’aspettativa di vita in media di 6-7 anni».
L’approvazione si tirzepatide può aiutare in queste circostanze. Gli studi clinici studi del programma SURPASS hanno dimostrato che il farmaco è in grado di migliorare il controllo glicemico dei pazienti, con una riduzione dell’emoglobina glicata e del peso corporeo; inoltre migliora il controllo della pressione arteriosa e del colesterolo agendo anche sulla prevenzione del danno cardiovascolare e renale. Il farmaco, in più, non è gravato dal rischio ipoglicemia.
«Investire in salute facilitando l’accesso all’innovazione è cruciale per le persone con diabete di tipo 2», commenta dichiara la presidente della Società Italiana di Diabetologia Raffaella Buzzetti,. «L’accesso a terapie innovative può migliorare significativamente gli esiti clinici e la qualità della vita; inoltre, può ridurre il carico clinico e sociale: il diabete di tipo 2 è una malattia cronica con un impatto significativo sulla qualità della vita e sulla società. L’accesso a terapie innovative permette un miglior controllo della glicemia, riducendo il rischio di complicanze come malattie cardiovascolari, insufficienza renale e neuropatie e ciò si traduce in minori ospedalizzazioni e in un miglioramento della qualità di vita. L’innovazione può condurre a migliorare l’aderenza terapeutica: le nuove terapie offrono benefici in termini di tollerabilità ed efficacia, hanno minori effetti collaterali e modalità di somministrazioni più semplici con migliori risultati clinici che motivano a seguire il trattamento con maggiore costanza».
« Tirzepatide non solo migliora il controllo glicemico e riduce i fattori di rischio cardiovascolare ma supporta anche la perdita di peso, un fattore chiave nella gestione della malattia, rispondendo a un bisogno clinico ancora insoddisfatto», commenta Federico Villa, Associate Vice President Corporate Affairs & Patient Access Lilly Italy Hub. «Oggi, questo impegno si rinnova con tirzepatide, una terapia innovativa per il diabete di tipo 2, frutto di decenni di ricerca metabolica. Come azienda ci siamo impegnati molto per far sì che tirzepatide potesse essere disponibile per tutti i pazienti che ne avessero bisogno in ogni regione, andando anche a rispondere al problema delle carenze che ha caratterizzato questa classe di farmaci negli ultimi anni».
In uno studio internazionale coordinato dall’Istituto europeo di oncologia (Ieo), Irccs e sostenuto dalla Fondazione Airc, un gruppo di ricercatori ha messo a punto un test di altissima sensibilità e specificità per la diagnosi dei carcinomi dell’orofaringe correlati all’infezione con Hpv. I risultati, appena pubblicati sul Journal of Medical Virology, hanno dimostrato che con l’esame della saliva ottenuta con un semplice gargarismo è possibile rilevare la presenza nel cavo orale del virus del Papilloma umano (Hpv). Quest’ultimo è la causa della maggioranza dei tumori orofaringei, in forte aumento nel mondo occidentale. Il test salivare potrebbe dunque segnalare la presenza di eventuali lesioni tumorali prima che siano rilevabili dagli esami di imaging o dall’esame clinico, permettendo cure più tempestive e mirate.
«Siamo orgogliosi dei risultati di questa ricerca traslazionale, realizzata fra ricerca in laboratorio e pratica clinica in ambulatorio che aspettavamo da dieci anni – ricorda Mohssen Ansarin, direttore del Programma Cervico-facciale Ieo - e che potrebbe segnare una pietra miliare nella diagnosi dei tumori orofaringei da Hpv». Adesso bisogna che il test salivare sia validato in studi più ampi: «Se supererà queste prove ulteriori – spiega Ansarin - potrà essere utilizzato sia per la diagnosi di sospetto carcinoma orofaringeo, sia durante il follow-up dei pazienti con malattia già trattata, per cogliere in anticipo un’eventuale ripresa di malattia. In entrambi i casi – sottolinea - il vantaggio clinico per i pazienti può essere significativo: se la diagnosi è precoce, i tassi di guarigione sono infatti elevati e i trattamenti possono essere più efficaci, meno invasivi e meno tossici».
I tumori orofaringei causati dall’Hpv sono più che raddoppiati negli ultimi trent’anni soprattutto nei maschi, e nei prossimi trenta potrebbero uguagliare e superare per incidenza il tumore della prostata. Con la vaccinazione contro l’Hpv, offerta gratuitamente a tutti gli adolescenti di entrambi i sessi attorno agli 11-12 anni, si può fermare questa tendenza, legata alla sempre più ampia diffusione dell’Hpv, che è l’infezione sessualmente trasmessa più frequente al mondo.
Grazie allo studio, «abbiamo scoperto che i campioni salivari ottenuti con gargarismo da pazienti con tumori orofaringei permettono un tasso di rilevamento altissimo per l’Hpv 16 – precisa Susanna Chiocca, direttrice dell’Unità Viruses and Cancer dell'Ieo - e autrice di riferimento dello studio. il ceppo virale più diffuso e pericoloso del virus, indipendentemente dallo stadio del tumore, quindi anche negli stadi più precoci».
Lo studio è nato nell’ambito di Allenza contro il cancro (Acc), l’organizzazione di ricerca oncologica italiana che riunisce gli Irccs oncologici, in collaborazione con l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) di Lione.
Tre persone su quattro che assistono un paziente con malattia di Parkinson sono donne tra i 55 e i 70 anni, l’80% delle quali vive con il paziente. L’avanzare della malattia impone un’assistenza quotidiana che incide su lavoro e salute di chi assiste: il 15% ha lasciato il proprio impiego, il 75% soffre di stanchezza cronica e il 65% di disturbi del sonno. Nonostante ciò, il 70% non riceve alcun tipo di supporto. Solo il 9% dei caregiver beneficia di una formazione adeguata, gli altri si affidano a risorse personali o all’improvvisazione.
Sono alcuni dati rilevati dall'indagine sul caregiving nella malattia di Parkinson realizzata su un campione di 478 caregiver dalla Fondazione LIMPE per il Parkinson in collaborazione con Confederazione Parkinson Italia.
Si stima che in Italia siano oltre 300 mila le persone che convivono con il Parkinson, malattia neurodegenerativa che causa sintomi motori, come tremori, rigidità e difficoltà nei movimenti, ma anche disturbi non motori, tra cui problemi del sonno, depressione e alterazioni cognitive. L’incidenza aumenta con l’età, ma la malattia colpisce anche fasce più giovani. L’età di esordio si sta abbassando e attualmente un paziente su quattro ha meno di 50 anni, mentre il 10% ne ha meno di 40. Con il progredire della patologia, il bisogno di assistenza diventa sempre più intenso. A garantire un supporto essenziale nella vita quotidiana sono i caregiver, spesso familiari, che si trovano ad affrontare da soli le conseguenze fisiche ed emotive di un impegno crescente.
I risultati dell'indagine, insieme alle nuove prospettive terapeutiche e alle opportunità di supporto, saranno al centro di Parkinson Corpo e Anima, il primo forum italiano organizzato da Fondazione LIMPE che, il 21 e 22 marzo a Napoli, riunirà persone con Parkinson, familiari, caregiver, neurologi e personale sanitario.
«Il Parkinson - sottolinea Alessandro Tessitore, coordinatore della Convention - è una sfida complessa che richiede un approccio su più livelli: medico, psicologico e relazionale. Con questo forum vogliamo offrire risposte concrete a chi vive la malattia ogni giorno e creare una rete efficace per migliorare la qualità di vita di chi affronta questa sfida, spesso in solitudine».
Unione italiana food, in collaborazione con la Società italiana di scienze dell'alimentazione (Sisa) ha istituito il "Premio Andrea Ghiselli", dedicato alla memoria del nutrizionista scomparso un anno fa. Il premio, del valore di 3 mila euro, è destinato a giovani ricercatori under 40 che si sono distinti nel campo della nutrizione e dell'alimentazione.
«Andrea Ghiselli ha rappresentato un ponte fondamentale tra il mondo della ricerca e quello dell’alimentazione quotidiana» ricorda Mario Piccialuti, direttore generale di Unione italiana food. «Questo premio – aggiunge - vuole essere un piccolo tributo al suo straordinario impegno e un investimento sui giovani che intendono lavorare per la ricerca nutrizionale in Italia».
Ghiselli è stato presidente della Sisa che, sottolinea Silvia Migliaccio, attuale presidente della Società scientifica, «ha tra i suoi obiettivi anche quello di promuovere una corretta informazione ed educazione alimentare. E in questo ambito si è impegnato, informando e divulgando in maniera seria e puntuale, ma sempre con un pizzico di ironia che lo ha fatto apprezzare anche dal grande pubblico, i corretti principi di un’alimentazione sana e sostenibile».
Il Premio avrà cadenza biennale ed è rivolto a laureati magistrali in diverse discipline scientifiche tra cui Biologia, Nutrizione umana, Tecnologie alimentari, Biotecnologia, Management in Scienze enogastronomiche, Farmacia e Ctf, Chimica, Medicina e chirurgia. Le aree di ricerca includono Nutrizione e alimentazione umana, Nutrizione sostenibile e ambiente, Alimenti funzionali e prevenzione, Nutrigenomica e Nutrigenetica.
Il Premio verrà assegnato durante il congresso nazionale della Società italiana di scienze dell'alimentazione. Oltre al riconoscimento economico, il vincitore riceverà l'iscrizione gratuita alla Sisa per il primo anno e al Convegno nazionale.
Le candidature dovranno essere inviate per via telematica all’indirizzo info@sisalimentazione.it. La commissione di valutazione, composta dal Consiglio direttivo Sisa, comunicherà i risultati entro il 30 dicembre 2025.
Ulteriori informazioni si possono trovare sul sito di UnionFood e sul sito della Sisa.
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Gli Stati Uniti sono al vertice della ricerca mondiale contro il cancro e il nostro Paese si colloca nella “top five” della classifica degli studi oncologici. È la dimostrazione della qualità del lavoro dei nostri ricercatori, ma l’Italia deve definire nuovi modelli, velocizzando i tempi di avvio dei trial ed eliminando gli ostacoli burocratici, per non restare indietro e tenere il passo degli altri Paesi. L’appello viene dalla terza edizione del “Clinical Research Course”, il corso, che si è aperto venerdì 14 marzo a Roma, organizzato dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) in collaborazione con l’American Society of Clinical Oncology (Asco).
In dieci anni (2011-2021), nel nostro Paese, i decessi per cancro sono diminuiti del 15%, percentuale migliore rispetto all’Unione europea, in cui il calo si è fermato al 12%. Negli Stati Uniti la mortalità complessiva per tumori è diminuita del 34% dal 1991 al 2022, con circa 4,5 milioni di decessi evitati (oltre 268 mila in Italia fra il 2007 e il 2019).
«I lavori scientifici italiani in ambito oncologico pubblicati su riviste mediche internazionali sono oggetto di migliaia di citazioni da parte di altri autori – ricorda Francesco Perrone, presidente nazionale Aiom - e pongono il nostro Paese tra i primi cinque al mondo in questa speciale classifica. L’Oncologia italiana, se adeguatamente supportata dalle Istituzioni, può affermarsi come un motore di sviluppo in ambito non solo scientifico, ma anche economico e sociale. L’obiettivo del corso ASCO-AIOM è fornire a giovani ricercatori provenienti da tutto il mondo gli strumenti per comprendere la metodologia delle sperimentazioni cliniche, implementare idee di ricerca e imparare a valutare la letteratura scientifica».
Nel 2023, l’Agenzia italiana del farmaco ha autorizzato 212 trial sulle neoplasie. In Italia l’oncologia resta l’area in cui si concentra il maggior numero di sperimentazioni, che hanno raggiunto nel 2023 il 34,7% del totale, in calo del 5,2% rispetto al 2022. Nel nostro Paese, «nonostante il Regolamento europeo, l’iter di approvazione delle sperimentazioni cliniche risulta più lungo e difficoltoso rispetto alla media continentale – osserva Perrone - soprattutto a causa delle procedure amministrative, che in troppi casi comportano mesi di attesa prima di attivare i centri italiani. Queste criticità mettono a rischio l’attrattività del nostro Paese per i promotori profit e ritardano l’opportunità della partecipazione agli studi per i pazienti. È fondamentale puntare alla semplificazione».
Le cause della riduzione del numero di studi clinici condotti in Italia «vanno trovate, ad esempio, nella carenza di figure professionali dedicate, nei ritardi nell’approvazione da parte dei Comitati etici e nella firma del contratto a livello delle Direzioni aziendali e nella lentezza nell’arruolamento dei pazienti» dice Massimo Di Maio, presidente eletto Aiom. «Negli ultimi anni le sperimentazioni cliniche hanno effettuato una vera e propria migrazione verso Paesi a più alta attrattività – prosegue - che sono riusciti a investire sempre di più in ricerca e sviluppo».
Un’altra svolta riguarda il superamento del modello istologico che, per molti anni, ha governato la ricerca in oncologia, le decisioni regolatorie e la pratica clinica. «In questo approccio – spiega Giuseppe Curigliano, membro del Direttivo nazionale Aiom - il punto di partenza è rappresentato dall’organo da cui la malattia ha origine. Negli ultimi anni, le prospettive sono cambiate, anche in seguito all’approvazione di molecole con indicazione cosiddetta “agnostica2, cioè indipendente dal tessuto di origine della neoplasia. Nella ricerca e nella pratica clinica, si sta pertanto affermando un nuovo modello, definito “mutazionale”. Si tratta di una vera e propria rivoluzione scientifica e culturale, destinata a condurci lontano. Questa strategia terapeutica – precisa Curigliano - si basa su un importante nuovo paradigma, nel quale la firma genomica supera il valore della sola caratterizzazione istologica. Diventa quindi essenziale la profilazione genomica, cioè l’individuazione delle mutazioni o delle alterazioni molecolari che giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo delle neoplasie, indipendentemente dalla sede del tumore».
Nel 2025, negli Stati Uniti sono stimati oltre due milioni di nuovi casi di cancro (390.100 in Italia nel 2024) e circa 618 mila decessi. La mortalità oncologica «sta progressivamente diminuendo sia negli USA sia in Italia» sottolinea Saverio Cinieri, presidente di Fondazione Aiom. Uno dei dati «più sorprendenti» della realtà americana è l’aumento delle diagnosi di cancro tra le donne e i giovani adulti. Per la prima volta, i tassi di incidenza dei tumori tra le donne di età compresa tra i 50 e i 64 anni hanno superato quelli degli uomini. E, nelle donne under 50, sono ora più alti dell’82% rispetto ai coetanei maschi. Il fenomeno è particolarmente evidente nel caso del tumore del polmone, che è diventato più comune nel sesso femminile sotto i 65 anni. Anche in Italia «questa neoplasia è sempre più “rosa” – rileva Cinieri - per la diffusione dell’abitudine del fumo di sigaretta in questa parte della popolazione. Nel nostro Paese, nella pratica clinica, osserviamo sempre più casi di cancro nei giovani. I dati devono essere ancora definiti – conclude - ma la tendenza è chiara anche in Italia».
Ancora un segnale della progressiva crisi del Servizio sanitario nazionale, sempre più in difficoltà nel rispondere ai bisogni di salute degli italiani e, perciò, di obbedire alla propria mission.
Il segnale, indiretto, viene stavolta dal Termometro Altroconsumo 2024 che, dopo tre anni di peggioramento continuo, registra un lieve miglioramento della capacità di spesa delle famiglie italiane, anche se permangono alcune difficoltà, in particolare per quanto riguarda i costi da sostenere per abitazione e, appunto, la salute. Non solo: le aspettative per il 2025, osserva Altroconsumo, non sono positive e si segnalano i timori per un peggioramento all’orizzonte.
È questo il quadro generale emerso dall’indagine annuale che Altroconsumo, insieme alle Organizzazioni omologhe di Spagna, Belgio e Portogallo che fanno parte di Euroconsumers ha svolto anche lo scorso anno su un campione di 2.699 cittadini, distribuiti come la popolazione italiana.
In generale, dall'indagine risulta che nel 2024 la capacità delle famiglie italiane di affrontare le spese quotidiane sembra finalmente allinearsi a un contesto nazionale che, nonostante il rallentamento della crescita economica, registra un miglioramento dell’occupazione e un rallentamento dell’inflazione. Resta tuttavia motivo di preoccupazione la scarsa capacità di risparmio di una ampia parte della popolazione, a cui si contrappone una percentuale ristretta di famiglie che possono accumulare riserve economiche con facilità, un dato che sembra riflettere il continuo aumento della diseguaglianza economica nella società contemporanea.
In questo quadro, le spese per abitazione e salute si confermano quelle che generano più problemi: rispettivamente il 48% e il 45% delle famiglie hanno incontrato difficoltà nel sostenerle. Più in dettaglio, le voci di spesa che nel 2024 hanno generato i maggiori problemi alle famiglie sono state i costi legati all’automobile (il 57% è in difficoltà); le cure dentistiche (55%), le visite mediche (52%), viaggi e vacanze (51%) e bollette (46%).
In particolare, sono proprio le spese legate alla salute che risultano sempre più difficili da gestire, con un incremento delle famiglie in difficoltà sulle voci cure dentistiche (+4 punti percentuali), occhiali e apparecchi acustici (+3%), assistenza psicologica (+2%).
In uno scenario positivo di miglioramento complessivo della condizione delle famiglie italiane emerge però la nota dolente delle spese sanitarie che anche quest’anno sono l’ambito in cui l’Italia si discosta maggiormente, in negativo, dagli altri Paesi: la percentuale di famiglie italiane in difficoltà, infatti, è del 45% rispetto al 37% della Spagna, il 34% del Portogallo e il 24% del Belgio.
Il Termometro di Altroconsumo 2024 «ci restituisce l’immagine di un’Italia ancora in difficoltà. Se da un lato si intravede un miglioramento dell’indice rispetto all’anno scorso, dall’altro resta evidente il peso che le spese essenziali continuano ad avere sui bilanci familiari» commenta Federico Cavallo, responsabile delle Relazioni esterne di Altroconsumo. «A preoccupare – prosegue - è anche la crescente difficoltà nell’accesso alle cure sanitarie: il 45% delle famiglie italiane fatica a sostenere spese per cure dentistiche, occhiali, apparecchi acustici e assistenza psicologica. Un dato ben più alto rispetto agli altri Paesi europei analizzati, che dimostra quanto le inefficienze del nostro sistema sanitario nazionale stiano pesando sulle tasche dei cittadini, costringendoli sempre più spesso a ricorrere alla sanità privata». Per Cavallo, dunque, «servono risposte concrete da parte delle istituzioni nazionali ed europee per ridare stabilità economica alle famiglie e garantire un accesso equo ai servizi essenziali. È il momento di intervenire – conclude - con misure strutturali per il rilancio, innanzitutto, del potere d’acquisto e una riforma seria della sanità pubblica.
L’Italia fa bene, ma può fare ancora meglio contro il cancro al seno: investendo sulla prevenzione, contrastando le diseguaglianze di assistenza e di accesso ai farmaci tra Regioni, rafforzando le reti oncologiche. Sono le conclusioni che si traggono dal report europeo “Advancing Breast Cancer Care in Europe: A Roadmap to a Women-Centric Approach”, realizzato dall’Economist Impact con il supporto non condizionante di Daiichi Sankyo.
Il tumore al seno è la neoplasia più diffusa tra le donne in Europa e in Italia, con oltre 55 mila nuove diagnosi ogni anno solo nel nostro Paese. Grazie ai progressi nella diagnosi e nelle terapie, la sopravvivenza a cinque anni ha raggiunto l’88%, superando il 90% nei casi individuati precocemente. Tuttavia, sono ancora numerose le sfide che le persone con tumore al seno affrontano ogni giorno e che incidono in maniera significativa sulla loro qualità di vita, sia durante il percorso di cura che negli anni successivi.
Il report, realizzato con il contributo di oltre 75 esperti di diverse discipline e nazionalità raccolto attraverso workshop e interviste condotte in Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, ha approfondito l'attuale panorama della gestione del cancro al seno in Europa in ogni fase del percorso di cura, dalla prevenzione alla diagnosi, al trattamento e follow-up, fino al post-cura, identificando le principali sfide ancora aperte e le opportunità di miglioramento.
I dati confermano che il nostro Paese possiede ancora un sistema sanitario forte, capace di garantire l’accesso ai migliori trattamenti. Infatti, l'Italia si distingue infatti, tra i Paesi analizzati, per il numero di trattamenti oncologici disponibili (40 sui 48 approvati da Ema tra il 2019 e il 2022), al secondo posto dopo la Germania. Siamo inoltre tra i Paesi che garantiscono la piena rimborsabilità al maggior numero di trattamenti (il 78%, al secondo posto dopo la Germania e la Scozia).
Anche sui tempi di approvazione dei farmaci, l’Italia si situa bene: mediamente intercorrono 417 giorni tra l’approvazione europea e la disponibilità effettiva delle terapie oncologiche per i pazienti italiani, a fronte di 559 giorni. Tuttavia, proprio su questo fronte si comincia a notare una delle principali criticità italiane: la frammentazione su base locale. Infatti, la peculiarità del sistema italiano decentralizzato e il passaggio attraverso i prontuari terapeutici regionali tendono ad allungare i tempi di accesso alle nuove terapie, creando disuguaglianze territoriali significative.
Le differenze territoriali si osservano su tutti gli indicatori analizzati dal rapporto. L’adesione ai programmi di screening mammografico, per esempio. In media, nel Paese è al di sotto della soglia minima raccomandata dall’Ue del 70-75%, ma sussistono forti disparità regionali tra il Nord e il Sud e le isole, dove si registra la partecipazione più bassa. Inoltre, non tutte le Regioni hanno esteso il programma alla fascia 45-74 anni, come suggerito dalle raccomandazioni europee.
La stessa dinamica si osserva per le Reti oncologiche. «Rivestono un ruolo fondamentale nella gestione delle pazienti con tumore della mammella, garantendo percorsi e interazioni organizzate tra le diverse strutture sanitarie presenti sul territorio, dalle case della salute alle strutture più complesse come gli ospedali, i policlinici plurispecialistici e gli Irccs», spiega Carmine Pinto, direttore della Struttura Complessa di Oncologia Medica, Comprehensive Cancer Centre dell’AUSL – IRCCS Istituto di Tecnologie Avanzate e Modelli Assistenziali in Oncologia di Reggio Emilia.
«Le Reti Oncologiche - continua - possono e devono garantire qualità, sicurezza e appropriatezza dei percorsi di cura, ma esistono purtroppo ancora oggi importanti disparità tra le diverse Regioni italiane nella loro implementazione».
Da questo punto di vista, «è indubbia la necessità di potenziare modelli organizzativi che favoriscono la collaborazione professionale e organizzativa come le Reti oncologiche regionali, per garantire un continuum of care efficace e uniforme sul territorio. Un elemento cruciale è supportare l’integrazione tra i diversi momenti del percorso di cura e accompagnare le donne nel percorso stesso, ad esempio identificando punti unici d’accesso oppure assicurando una più stretta integrazione tra lo screening e l’accesso alle Breast Unit, che attualmente risulta ancora frammentato», afferma Francesca Ferrè, ricercatrice di Management Sanitario, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università di Milano.
Differenze sostanziali si osservano anche per i test diagnostici di precisione. «Questi strumenti, fondamentali sia nella fase precoce sia nella malattia metastatica, non sono uniformemente disponibili su tutto il territorio nazionale», spiega Carmen Criscitiello, professore associato al Dipartimento Oncologia ed Emato-Oncologia, Università di Milano, Istituto Europeo di Oncologia (IEO). «Un passo avanti significativo è stato compiuto con l'inclusione del sequenziamento di nuova generazione (NGS) nel nuovo tariffario nazionale, particolarmente rilevante per i pazienti con malattia metastatica. Tuttavia, persistono disparità regionali nell'implementazione: alcune regioni hanno attivato percorsi operativi efficaci, mentre altre sono ancora in ritardo. Nel contesto metastatico, dove l'NGS può cambiare radicalmente il percorso terapeutico e queste disparità risultano particolarmente critiche», prosegue. «Spesso, infatti, l'approvazione di farmaci innovativi non è accompagnata dall'immediata disponibilità e rimborsabilità dei test molecolari necessari per la loro prescrizione, creando un paradosso in cui esistono terapie che non possono essere utilizzate per mancanza della diagnostica appropriata».
Il rapporto, mostra inoltre, che l’impatto economico del cancro al seno è enorme: più di 1 miliardo di euro. Costi che ricadono sul servizio sanitario, sulla società, come conseguenza di invalidità civile e perdita di produttività lavorativa, ma soprattutto sulle malate e le famiglie.
«La tossicità finanziaria è un “effetto collaterale” spesso sottovalutato del tumore al seno, con un forte impatto sulla vita delle donne che affrontano questa diagnosi, molte delle quali in piena età lavorativa», dice Flori Degrassi, presidente ANDOS Onlus Nazionale. «La malattia comporta lunghi periodi di assenza dal lavoro per seguire le terapie e gestire gli effetti collaterali, a cui si aggiungono in molti casi i costi per gli spostamenti e l’accompagnamento ai centri di cura. Difficoltà che gravano sulla situazione economica delle pazienti, soprattutto di coloro che affrontano la malattia da sole o con figli a carico, e che possono incidere sulla loro qualità di vita già compromessa dalla malattia. In alcuni casi - aggiunge - il rischio di perdere il lavoro e il peso finanziario sono talmente rilevanti che, sommati agli effetti collaterali dei farmaci, possono persino portare all’abbandono delle cure», conclude.
Da questo punto di vista, il report evidenzia quindi l’urgenza di garantire un’assistenza onnicomprensiva che vada oltre la cura oncologica, integrando nel percorso di cura aspetti come la sessualità, la preservazione della fertilità, il supporto psico-oncologico e finanziario, il sostegno al reinserimento lavorativo. Non solo durante le cure, ma anche negli anni che seguono la fine del trattamento. In questo senso, un traguardo significativo è stata l’introduzione nel 2023 della Legge sull’oblio oncologico.
«La legge sull’oblio oncologico, entrata in vigore in Italia nel gennaio dello scorso anno, segna un cambiamento culturale prima ancora che normativo. Per la prima volta, viene sancito nero su bianco che dal cancro si può guarire, offrendo una prospettiva di speranza anche a chi sta ancora affrontando la malattia e contrastando le discriminazioni ingiustificate legate a una patologia pregressa», afferma Elisabetta Iannelli, vicepresidente di AIMaC e segretario generale di FAVO. «Grazie anche all’impegno delle associazioni, sono stati introdotti importanti decreti attuativi, come il certificato di guarigione e la riduzione dei tempi per il riconoscimento della guarigione in alcune patologie. Per il tumore al seno negli stadi iniziali, ad esempio, si potrà essere considerati guariti già un anno dopo la fine dei trattamenti, se non ci sono evidenze di malattia», continua. «Ulteriori misure riguardano la tutela nell’accesso alle adozioni dei minori, mentre sono in via di finalizzazione provvedimenti specifici sul riconoscimento di politiche attive per l’inclusione lavorativa e la regolamentazione in ambito assicurativo. Sebbene l’Italia sia arrivata dopo altri Paesi europei alla legge sull’oblio oncologico, ha introdotto importanti elementi innovativi, ampliando ad esempio la tutela lavorativa, la possibilità di adottare un figlio o una maggiore agilità normativa nella definizione dei termini ridotti per attestare la guarigione».
La legge, dunque, «segna una vera e propria rivoluzione dalla diagnosi di tumore come “sentenza definitiva” del passato alla consapevolezza che il cancro è oggi una malattia curabile e che chi è guarito ha diritto a una vita senza discriminazioni», conclude Iannelli.
«Partendo dall’ascolto di clinici, ricercatori e associazioni pazienti, questo rapporto europeo ci ha restituito una fotografia accurata e aggiornata dello stato dell’arte della gestione del tumore al seno in Europa e nel nostro Paese offrendoci importanti spunti di riflessione e suggerendo possibili percorsi di miglioramento da intraprendere», dichiara Mauro Vitali, head of Oncology di Daiichi Sankyo Italia. «Crediamo fermamente che per affrontare il cancro sia indispensabile adottare un approccio olistico che consideri le specificità di ogni persona nel suo percorso di cura. Per questo collaboriamo costantemente con società scientifiche, associazioni, professionisti sanitari, stakeholder e tutti coloro che possono contribuire alla ricerca di soluzioni efficaci, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita dei pazienti oncologici e l’esperienza di chi affronta il tumore al seno», conclude Vitali.
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