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Aggiornato: 7 ore 21 min fa

MSF: Ogni tre minuti un bambino muore di tubercolosi. Servono investimenti per garantire diagnosi, trattamento e prevenzione

Gio, 03/20/2025 - 16:50
L'appello

Ogni tre minuti un bambino muore di tubercolosi e si stima che ogni anno 1,25 milioni di bambini e adolescenti (0-14 anni) se ne ammalino, ma solo la metà viene diagnosticata e riesce a curarsi.

In occasione della Giornata mondiale della tubercolosi del 24 marzo, Medici senza frontiere (MSF) chiede «a tutti i Paesi, all’industria farmaceutica e ai donatori internazionali di dare priorità e garantire investimenti senza interruzioni per diagnosi, trattamento e prevenzione della tubercolosi per tutte le persone colpite, specialmente i bambini».

Il taglio dei finanziamenti Usa, maggiore finanziatore dei programmi contro la tubercolosi, sostiene MSF, «aggraverà ulteriormente le lacune nella diagnosi e cura dei bambini, vanificando anni di progressi nella cura della malattia».

I bambini con un debole sistema immunitario, per esempio a causa di un’infezione da Hiv o per malnutrizione, sono i più vulnerabili e saranno colpiti in misura maggiore dalla discontinuità dei servizi contro tubercolosi, Hiv e per la nutrizione.

Inoltre, i bambini affetti da tubercolosi sono spesso esclusi dagli studi di ricerca e sviluppo in corso sui nuovi trattamenti e sugli strumenti diagnostici per la malattia.

«I bambini sono una categoria già estremamente vulnerabile alla tubercolosi – dice Ei Hnin Hnin Phyu, coordinatrice medica di MSF in Pakistan - e siamo preoccupati che i tagli ai fondi americani, colpendo i servizi comunitari, abbiano un impatto sproporzionato sui di loro, portando a un aumento dei casi di tubercolosi tra i più piccoli e ad altri decessi altrimenti evitabili. Non possiamo permettere che le decisioni sui finanziamenti costino la vita a dei bambini».

«Per anni abbiamo assistito alle carenze letali nella diagnosi e nella terapia della tubercolosi, - osserva Cathy Hewison, responsabile per la tubercolosi di MSF - soprattutto per i bambini nei Paesi in cui operiamo. I bambini a rischio di contrarre la tubercoloso spesso non vengono diagnosticati, o vengono diagnosticati in ritardo. Chiediamo con urgenza a tutti i Paesi e ai donatori internazionali di intervenire e garantire finanziamenti costanti alla cura della tubercolosi per tutti, in particolare per i più piccoli. Nessuno dovrebbe morire o soffrire a causa di una malattia prevenibile e curabile».

Categorie: Medicina integrata

Save the Children: cecità da tracoma e oncocercosi a rischio di ripresa tra i bambini in Uganda e Tanziania

Gio, 03/20/2025 - 15:51
Taglio degli aiuti

Il numero di casi di tracoma, una rara malattia tropicale che è la principale causa infettiva di cecità al mondo, sono stati dimezzati negli ultimi anni in una delle comunità più colpite in Uganda, ma questo numero rischia di tornare a crescere, a causa dell’interruzione di alcuni programmi dovuti ai tagli degli aiuti esteri. Stessa cosa potrebbe avvenire per l'oncocercosi, un'altra malattia oculare tropicale in Tanzania.

L'allerta viene da Save the Children, che da oltre cento anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro.

Il tracoma, un'infezione batterica che può portare a cecità irreversibile, stava rovinando la vita di quasi il 10% della comunità nella regione di Karamoja in Uganda, una delle aree più colpite al mondo. In quattro anni, un programma di Save the Children per ridurre il tracoma, che colpisce in modo sproporzionato i bambini e le loro madri, ha raggiunto circa 58 mila persone e ridotto la popolazione colpita dalla malattia al 5% della comunità.

La malattia infetta innanzitutto la membrana, che ricopre l'esterno del bulbo oculare e riveste la superficie interna della palpebra. Le infezioni ripetute portano alla cicatrizzazione della palpebra superiore, con conseguente curvatura delle ciglia verso l'interno e sfregamento contro la cornea, causando un dolore intenso e portando infine alla cecità irreversibile.

Susan, 29 anni, ha raccontato agli operatori di Save the Children che il suo villaggio era «in condizioni disastrose» e che grazie all’arrivo di interventi sanitari e idrici «si sono verificati cambiamenti significativi, ora abbiamo 50 latrine e le famiglie che non ne sono state dotate, stanno attivamente costruendo le proprie».

Gli operatori ora temono che l'impossibilità di accedere alle sessioni di prevenzione igienica, ai farmaci per il tracoma e la cessazione della costruzione di latrine potrebbero portare a una recrudescenza della malattia, che si propaga attraverso le mosche ed è diffusa in aree con scarsa igiene. Chiudere il programma di aiuti «rischia di far tornare le persone a una vita di malattie e miseria» avverte Famari Barro, direttore di Save the Children in Uganda.

Un'altra malattia tropicale che colpisce gli occhi, l'oncocercosi, nota anche come “cecità fluviale”, rischia di diffondersi in Tanzania, a causa dell'interruzione improvvisa di un programma di Save the Children che affronta le malattie tropicali trascurate. Ancora una volta, sono i bambini a essere particolarmente vulnerabili a questa malattia. È causata da punture di mosche che si riproducono nei fiumi a flusso rapido e provoca prurito intenso, condizioni cutanee deturpanti e problemi alla vista, inclusa la cecità permanente.

«Tagliare gli aiuti non è solo un fallimento di leadership morale – sostiene Gabriella Waaijman, direttrice operativa di Save the Children - è un errore di calcolo strategico. Non riuscire ad affrontare questo tipo di crisi sanitarie avrà ricadute sulla vita dei bambini e tornerà a colpire tutti. Per anni, anzi decenni, abbiamo raccolto le evidenze di come tali interventi possano essere salvavita per i bambini e le loro comunità in alcuni dei luoghi più poveri del mondo. Dobbiamo ai bambini un futuro migliore. Dobbiamo loro un mondo in cui la vita di ognuno di loro conti davvero».

Categorie: Medicina integrata

HOPE: Prevenire le patologie croniche per ridare speranza agli “invisibili” fragili o senza fissa dimora

Gio, 03/20/2025 - 14:49
Il Progetto

Prende il via nell’antico ospedale San Gallicano di Roma, HOPE (Health as an Opportunity to Promote Equity), un progetto di Boehringer Ingelheim e Comunità di Sant’Egidio per l’accesso alla salute nell’ambito delle patologie croniche delle persone con fragilità sociale ed economica.

Screening cardio-nefro-metabolico con misurazione di glicemia, pressione arteriosa, peso corporeo e altezza per la diagnosi precoce delle principali malattie croniche, insieme a informazione e prevenzione dei fattori di rischio, sono le prestazioni a cui, grazie a HOPE, potranno accedere gli “invisibili” senza fissa dimora privi di assistenza.

Nel 2022, l’Istat ha censito in Italia oltre 96 mila persone senza tetto e senza fissa dimora; di queste poco meno di un quarto, 23.420, risiede nell’Area metropolitana di Roma, la maggior parte nella Capitale. Secondo uno studio condotto nello stesso anno dall’Osservatorio fio.PSD, nella Capitale solo il 63,2% delle persone senza dimora, in particolare cittadini comunitari ed extracomunitari, ha un medico di medicina generale di riferimento e, quindi, la possibilità di accedere alle cure mediche.

«La partnership tra Boehringer Ingelheim e Comunità di Sant’Egidio – spiega Stefano Carmenati, amministratore delegato della Comunità di Sant’Egidio - nasce soprattutto dalla necessità, che la Comunità avverte molto profonda, di mettere in rete esperienze e capacità di ognuno. Molte situazioni con le quali noi veniamo in contatto – racconta - sono veramente complesse, parliamo di “invisibili”, persone che non hanno alcuna possibilità di accedere agli strumenti che lo Stato offre. È necessario creare sinergie forti con il welfare pubblico, ma oggi anche con il privato, e le aziende che si occupano di salute rappresentano un sistema molto avanzato e propositivo su diversi settori».

L’Hub della Comunità di Sant’Egidio nasce nel 2021 e fino a oggi sono state iscritte ai registri 27.852 persone tra comunitari, extracomunitari e italiani; sono stati somministrati 37.236 vaccini anti-Covid ed effettuate oltre 10.486 visite mediche, queste ultime in crescita in questi primi mesi del 2025. Nel tempo i bisogni sono aumentati e diversificati e l’Hub si è evoluto in un centro di prevenzione e promozione della salute che fornisce gratuitamente screening e orientamento sanitario alle persone provenienti da diversi contesti e in condizioni di estrema fragilità. La maggior parte dell’utenza è straniera, in particolare sudamericana, ma una parte importante è costituita da italiani senza fissa dimora o in difficoltà economica.

HOPE «rappresenta un’ulteriore opportunità per contribuire a generare un impatto positivo sulla salute delle persone – sostiene Morena Sangiovanni, presidente e amministratore delegato di Boehringer Ingelheim Italia - e, in particolar modo, sulle comunità più vulnerabili. Le patologie croniche, infatti, sono la sfida sanitaria più ardua sia a livello globale che italiano, visto l’impatto che generano sulla salute, sull’economia e sulla società». Con questo progetto, conclude Sangiovanni, «vogliamo dare un aiuto concreto a tutti quei pazienti che vivono ai margini della società, senza una rete e accesso alla salute». 

Categorie: Medicina integrata

Si allunga la stagione delle allergie, colpa del clima

Gio, 03/20/2025 - 14:19
Nuovi scenari Plum_Tree_(150763089).jpeg Immagine: Jan, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons 45 giorni in più all'anno: iniziano 25 giorni prima in primavera e si prolungando di circa venti giorni in autunno.

In un mondo che si riscalda sempre di più, la stagione delle allergie si allunga e si intensifica, iniziando fino a 25 giorni prima in primavera e prolungandosi di circa venti giorni in autunno. Un aumento complessivo di oltre un mese e mezzo, dovuto a un maggior numero di giornate senza gelo, registrato nel 2023. Una cattiva notizia che peggiora e rende più duraturi i sintomi per chi soffre di allergie, in particolare i bambini affetti da asma (uno su cinque in Italia) e gli anziani con problemi respiratori, (il 17% degli over 65), tra i quali si registra un rischio più alto di decessi dovuti all’esposizione ai pollini.

A segnalarlo sono gli esperti della Società italiana di allergologia e immunologia clinica (Siaaic), al congresso “Libero Respiro” in corso a Cetara (SA), in occasione della 18ª edizione della Giornata nazionale del polline (21 maggio) promossa dalla Società italiana di aerobiologia, medicina e ambiente (Siama). 

A evidenziare il numero sempre maggiore di giorni senza gelo è l’indicatore specifico monitorato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) attraverso la Banca dati degli Indicatori ambientali. Un aumento che dà alle piante più tempo per crescere e rilasciare il polline, con un aumento fino al 116% del rischio di decessi tra gli anziani con malattie respiratorie croniche. A dimostrarlo è uno studio pubblicato a metà gennaio sulla rivista BMC Public Health, che ha scoperto che l’esposizione ad alti livelli di vari tipi di polline, a una settimana, influisce sui tassi di mortalità degli anziani con problemi respiratori. 

«Meno giorni con temperature sottozero – osserva Vincenzo Patella, presidente della Siaaic -  danno più tempo alle piante di crescere e rilasciare i pollini che provocano allergie. Non solo anticipando la pollinazione primaverile di 25 giorni, ma anche prolungando quella autunnale di quasi tre settimane, con un aumento complessivo della durata della stagione dei pollini di oltre un mese e mezzo e un rilascio di carico pollinico sempre più abbondante. A causa del riscaldamento globale – precisa - la stagione critica per le allergie è dunque destinata a diventare sempre più lunga e massiccia, con il risultato che i sintomi sono peggiori e più duraturi per gli oltre 10 milioni di italiani che soffrono di allergie, costretti a protrarre le terapie nel tempo».

Il cambiamento climatico rende la stagione dei pollini non solo più lunga, ma anche più intensa a causa dell’inquinamento che intrappola il calore. «Livelli più elevati di CO2 nell’aria – spiega Patella - possono aumentare la produzione di pollini nelle piante, in particolare nelle graminacee e nell’ambrosia. A causa dei persistenti elevati tassi di inquinamento da CO2, secondo una ricerca americana del 2022, alla fine del secolo l’aumento della produzione di pollini potrebbe arrivare fino al 200%».

Per ridurre al minimo gli effetti dannosi delle allergie stagionali in un clima sempre più soggetto a cambiamenti estremi, gli esperti Siaaic hanno messo a punto un decalogo «con semplici soluzioni per avere un impatto minimo senza rinunciare al verde pubblico. Tra i punti chiave – sottolinea il presidente della Società scientifica - preferire piante che affidano agli insetti l'impollinazione e producono minori quantità di polline, ed evitare alberi come betulla, cipresso e ulivo; predisporre la falciatura e gestione del verde nelle ore notturne e nelle giornate poco ventilate; effettuare la potatura delle siepi prima della fioritura e prima del rilascio del polline».

 

Categorie: Medicina integrata

Tumori del seno: con l’Intelligenza artificiale più diagnosi precoci e precise in meno tempo

Mer, 03/19/2025 - 21:04
Il Convegno

Oggi tre donne su quattro (73%) si sottopongono all'esame di screening attraverso la mammografia per la diagnosi precoce dei tumori del seno. Ad aiutare l'occhio umano nel valutare l'esito dell'esame, adessosempre di più arriva l'Intelligenza artificiale, che riesce a individuare anche le lesioni neoplastiche più piccole. I nuovi software vengono utilizzati con maggiore frequenza anche nella biopsia liquida, procedura diagnostica che riesce a scoprire tracce di Dna tumorale per evidenziare precocemente i rischi di recidiva di neoplasia.

A questi temi è dedicato il convegno nazionale Evoluzione tecnologica e Intelligenza artificiale in Diagnostica senologica. Stato dell’arte e prospettive future che si è svolto mercoledì 19 marzo a Roma all’ospedale del Gemelli sull'Isola Tiberina.

«I nuovi software – osserva Ettore Squillaci, direttore dell’Unità di Diagnostica per immagini dell’ospedale Gemelli Isola - sono già una realtà in Italia nei programmi di prevenzione secondaria del tumore mammario. L’Intelligenza artificiale può aiutarci a gestire la grande mole di dati che siamo in grado di ottenere con gli strumenti diagnostici di ultima generazione. Si tratta di tecnologie che al momento sono attive solo in pochissime strutture sanitarie della Penisola – rileva - ma che entro tre anni dovranno essere rese disponibili in tutti i Centri di riferimento oncologici».

È il cancro più diffuso tra la popolazione e in Italia ogni anno si registrano più di 53 mila nuovi casi.

Grazie soprattutto ai miglioramenti terapeutici e dei programmi di prevenzione secondaria, i tassi di sopravvivenza in questo carcinoma sono in costante crescita.

A questi si accompagna un continuo miglioramento delle apparecchiature diagnostiche sia di mammografia sia di risonanza magnetica che, sottolinea Squillaci, «grazie anche all'Intelligenza artificiale e ai nuovi mezzi di contrasto, consentono diagnosi più precise, in minor tempo e in un maggior numero di pazienti. Scoprire un tumore al seno, anche di piccolissime dimensioni è ora dunque possibile e per questo assume un ruolo sempre più importante la prevenzione secondaria per rendere il tumore al seno una malattia curabile che non deve fare più paura».

I vantaggi resi possibili dalla tecnologia «corrono però il rischio di essere resi vani – avverte l'esperto - se non aumentiamo il numero di donne che si sottopongono regolarmente a mammografia. In Italia una donna su quattro fra i 50 e i 69 anni non ha svolto questo esame né spontaneamente né all’interno di programmi di screening organizzati a livello regionale. La guarigione dal cancro al seno è una possibilità concreta che interessa oltre il 70% delle donne colpite dalla malattia. Con la diagnosi precoce della neoplasia aumentano esponenzialmente le possibilità di sconfiggerla definitivamente». Perciò «come specialisti medici – conclude Squillaci - rinnoviamo il nostro invito a tutte le donne residenti nel nostro Paese a fare prevenzione senologica».

Categorie: Medicina integrata

L'Unione europea approva brexpiprazolo per il trattamento della schizofrenia negli adolescenti di età pari o superiore a 13 anni

Mer, 03/19/2025 - 21:03
Farmaci

Otsuka e Lundbeck hanno annunciato che la Commissione europea ha approvato brexpiprazolo per il trattamento della schizofrenia negli adolescenti a partire dai 13 anni di età. Il farmaco era stato già approvato nell'Unione europea nel 2018 per il trattamento della schizofrenia negli adulti.

La Commissione ha basato l'approvazione su uno studio condotto su 316 pazienti adolescenti che ha valutato l'efficacia e il profilo di sicurezza del farmaco rispettivamente come esiti primari e secondari. Brexpiprazolo è stato associato a una maggiore riduzione della gravità dei sintomi rispetto al placebo nei pazienti di età pari o superiore a 13 anni ed è stato generalmente ben tollerato con un profilo di sicurezza coerente con quello osservato nei pazienti adulti.

La schizofrenia è una malattia mentale cronica, invalidante e progressiva, caratterizzata da deliri, allucinazioni e disturbi cognitivi che possono manifestarsi a intervalli variabili tra periodi di relativa stabilità sintomatica. A livello mondiale colpisce circa 24 milioni di persone, ovvero una persona su trecento. L’esordio è più frequente nella tarda adolescenza e intorno ai vent’anni e tende a essere più precoce negli uomini che nelle donne. È spesso associata a un disagio significativo e a una compromissione delle condizioni personali, familiari, sociali, educative e lavorative e di altri importanti aspetti della vita. È una delle 15 principali cause di disabilità in tutto il mondo.

«La prognosi della schizofrenia che insorge in età adolescenziale è sfavorevole rispetto a quella della schizofrenia che insorge in età adulta – rileva Andy Hodge, CEO di Otsuka Pharmaceutical Europe - e può essere associata a sintomi più cronici e gravi. Accogliamo quindi con favore la decisione della Commissione Europea di estendere l'indicazione di brexpiprazolo agli adolescenti di età pari o superiore ai 13 anni, offrendo così ai giovani in Europa un'ulteriore opzione terapeutica di cui hanno bisogno».

Per Johan Luthman, EVP e Head of Research & Development di Lundbeck, «la giornata di oggi segna un importante caposaldo per i giovani pazienti, i caregiver e le famiglie che affrontano le complessità della schizofrenia. Questa approvazione testimonia il nostro impegno e il nostro costante sostegno per ridurre il carico della malattia per i pazienti e i caregiver nell'Unione Europea».

Brexpiprazolo è stato ideato da Otsuka e viene co-sviluppato e co-commercializzato nell'ambito di un accordo di collaborazione e licenza tra Otsuka Pharmaceutical Europe Ltd e H. Lundbeck A/S.

Categorie: Medicina integrata

Malattie rare: rimborsata la prima terapia cellulare allogenica per la malattia linfoproliferativa post-trapianto positiva al virus Epstein-Barr

Mer, 03/19/2025 - 21:02
Farmaci

L'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha concesso la rimborsabilità a tabelecleucel, prima terapia cellulare allogenica a cellule T specifica per il virus di Epstein-Barr (EBV) ottenuta da donatori sani, per il trattamento in monoterapia di pazienti adulti e pediatrici di età pari o superiore a due anni con malattia linfoproliferativa post-trapianto positiva al virus di Epstein-Barr (EBV+ PTLD) recidivata o refrattaria, che hanno ricevuto almeno una terapia precedente.

La malattia linfoproliferativa post-trapianto (PTLD) correlata a EBV è una patologia ematologica rara, acuta che può insorgere in pazienti sottoposti a trapianto di organi solidi (SOT) o di cellule ematopoietiche allogeniche (HCT). La prognosi per questi pazienti è incerta: la sopravvivenza mediana è inferiore a un mese per i pazienti HCT e di circa quattro mesi per i pazienti SOT.

I dati dello studio ALLELE, pubblicato su The Lancet Oncology, mostrano un tasso di risposta obiettiva del farmaco del 51,2% con una durata mediana della risposta di 23 mesi nei pazienti con EBV+ PTLD recidivante o refrattaria.

«I dati dello studio ALLELE sono molto promettenti – assicura Anna Maria Barbui, responsabile del Day Hospital Ematologia, ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo – e offrono una speranza per quei pazienti colpiti da PTLD positiva al virus di Epstein-Barr. È significativo notare che l'84,4% dei pazienti che hanno risposto al trattamento è ancora vivo a un anno dalla diagnosi».

I pazienti che hanno risposto a tabelecleucel hanno avuto una sopravvivenza globale a un anno dell'84,4% rispetto al 34,8% dei non-responder. La sopravvivenza globale mediana stimata è di 18,4 mesi.

Il virus Epstein-Barr è tra i patogeni più diffusi, con il 90-95% della popolazione adulta globale che risulta positiva all'infezione entro i 30 anni di età. Nella maggior parte dei casi, l'infezione è asintomatica e il virus non rappresenta un rischio significativo per le persone con un sistema immunitario efficiente. I pazienti sottoposti a trapianto vengono trattati con una terapia immunosoppressiva e questo può portare a una riattivazione dell’infezione da EBV e a un mancato controllo della stessa, con un conseguente sviluppo di una malattia linfoproliferativa EBV correlata.

Secondo la definizione dell’Unione europea, la PTLD con una prevalenza non superiore allo 0,05% della popolazione è considerata una patologia rara.

Ogni anno in Italia si eseguono circa 4 mila trapianti di organo solido e circa 2 mila trapianti di cellule staminali ematopoietiche allogeniche con conseguente sviluppo di nuovi casi di PTLD.

«La rimborsabilità di tabelecleucel da parte di Aifa è un passo importante per i pazienti italiani affetti da questa rara, acuta e quindi grave condizione» commenta Charles Henri Bodin, CEO di Pierre Fabre Pharma in Italia. «Siamo orgogliosi – aggiunge - di contribuire a offrire una nuova opportunità terapeutica che risponde a un evidente bisogno medico insoddisfatto, migliorando le prospettive di trattamento e la qualità di vita di chi è colpito da questa malattia».

Categorie: Medicina integrata

Giornata delle vittime del Covid. Anelli (Fnomceo): «Mantenere la grande promessa e sostenere il Servizio sanitario nazionale»

Mar, 03/18/2025 - 19:37
L'appello

Sono 383 i medici che hanno perso la vita la vita per il Covid, soprattutto nella prima fase della pandemia, quando ancora non erano disponibili i vaccini e mancavano anche i più elementari dispositivi di protezione: «Del loro operato, della loro abnegazione deve rimanere memoria, perché solo attraverso la memoria di ciò che è accaduto può passare la ricostruzione del nostro Servizio sanitario nazionale e delle nostre stesse esistenze». Sono parole di Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo) in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia da Coronavirus, che ricorre il 18 marzo.

Oltre la metà di quei medici, ricorda Anelli, «erano medici di medicina generale: sul territorio, negli ambulatori, nel 118, nelle carceri, nei luoghi in cui la prossimità è parte ed essenza stessa della cura, i medici erano soli, senza dispositivi di protezione e con mille difficoltà. Ed è proprio nel corso della pandemia che i principi del nostro Giuramento, del nostro Codice, del nostro Servizio sanitario nazionale hanno preso vita e si sono incarnati nei medici, negli operatori sanitari».

Per loro, per gli oltre 197 mila morti in quella pandemia, aggiunge il presidente della Fnomceo, ma anche per i 25 milioni e quattrocentomila guariti, «non dobbiamo arrenderci. Dobbiamo mantenere fede alla grande promessa fatta durante il Covid – prosegue - e continuare a sostenere il nostro Servizio sanitario nazionale, con i suoi principi di universalità, prossimità, uguaglianza, solidarietà, equità. Principi che rendono orgoglioso il 92% degli italiani, secondo i Rapporti Fnomceo-Censis: anche per questo, l’83,6% dichiara esplicitamente che, dopo l’esperienza traumatica del Covid, si aspettava molte più risorse e un impegno più intenso per potenziare la sanità. Una riserva di disillusione consistente – conclude Anelli - che è anche una domanda sociale pressante per tornare al dettato di quanto promesso e che gli italiani reputano urgente».

Categorie: Medicina integrata

Diabete, ok Aifa a tirzepatide: migliora la glicemia e previene le complicanze

Mar, 03/18/2025 - 16:31
Farmaci Diabete.jpg Immagine: ©HealthDesk

I pazienti con diabete hanno a disposizione un’arma in più per controllare la malattia. L’Agenzia Italiana del Farmaco ha infatti approvato la rimborsabilità di tirzepatide, il primo e, fino ad oggi, unico farmaco di una nuova classe terapeutica agonista recettoriale di GIP e GLP-1. Il farmaco, contenuto in una penna preriempita facile da usare, è inserito in Nota 100 e può essere prescritto sia dagli specialisti e sia dai medici di medicina generale.

Il diabete colpisce circa 4 milioni di italiani, il 7% della popolazione, con picchi sopra l’8% in Calabria e Campania. Si stima che entro il 2040 la prevalenza aumenterà fino al 9-10%.

«I dati degli Annali di AMD rilevano che solo il 56% delle persone con diabete di tipo 2 raggiunge un valore di emoglobina glicata sotto il 7%, che è il primo grande obiettivo target nel controllo glicemico», spiega Riccardo Candido, presidente dell’Associazione Medici Diabetologi. «I motivi sono molteplici: diagnosi tardiva e inizio del trattamento non tempestivo; inerzia terapeutica da parte dei professionisti che non intervengono in maniera precoce e incisiva nelle modifiche delle terapie qualora il diabete non sia sufficientemente controllato; difficoltà da parte dei pazienti a mantenere adeguati stili di vita in termini alimentazione e attività fisica; utilizzo di terapie fino a qualche tempo fa non del tutto efficaci e gravate dal rischio di ipoglicemia; ridotta aderenza dei pazienti alle terapie; difficoltà a livello regionale di mettere a disposizione rapidamente le innovazioni terapeutiche che oggi sono più efficaci, come tirzepatide; da ultimo, la disequità di accesso alle nuove opportunità terapeutiche e tecnologiche».

Il mancato controllo della malattia non è senza conseguenze. Anzi: quanto più a lungo la glicemia è fuori dai limiti tante più numerose e gravi sono le complicanze a cui vanno incontro le persone con diabete.

«Le principali conseguenze del diabete di tipo 2 sono quelle croniche, dovute al prolungato mantenimento negli anni di elevati valori della glicemia e della tossicità legata agli zuccheri nel sangue», spiega Gianluca Aimaretti, Presidente SIE – Società Italiana di Endocrinologia, Professore Ordinario di Endocrinologia Università del Piemonte Orientale e Direttore Dipartimento di Medicina Traslazionale. «Le principali riguardano il rene, l’occhio, il sistema nervoso centrale e periferico, micro- e macro-circolo, con danni importanti che nel tempo aumentano il rischio di infarto, ictus, e problemi anche a livello epatico, della sfera genitale e del cavo orale. È necessario diagnosticare il più precocemente possibile la malattia diabetica per intervenire con adeguati trattamenti, solo così è possibile rallentare o in qualche caso prevenire le complicanze che talvolta insorgono quando ancora il paziente non sa di essere diabetico e non ha disturbi. Inoltre, gli studi dimostrano che le complicanze possono portare negli anni a gravi disabilità e ridurre l’aspettativa di vita in media di 6-7 anni».

L’approvazione si tirzepatide può aiutare in queste circostanze. Gli studi clinici studi del programma SURPASS hanno dimostrato che il farmaco è in grado di migliorare il controllo glicemico dei pazienti, con una riduzione dell’emoglobina glicata e del peso corporeo; inoltre migliora il controllo della pressione arteriosa e del colesterolo agendo anche sulla prevenzione del danno cardiovascolare e renale. Il farmaco, in più, non è gravato dal rischio ipoglicemia.

«Investire in salute facilitando l’accesso all’innovazione è cruciale per le persone con diabete di tipo 2», commenta dichiara la presidente della Società Italiana di Diabetologia Raffaella Buzzetti,. «L’accesso a terapie innovative può migliorare significativamente gli esiti clinici e la qualità della vita; inoltre, può ridurre il carico clinico e sociale: il diabete di tipo 2 è una malattia cronica con un impatto significativo sulla qualità della vita e sulla società. L’accesso a terapie innovative permette un miglior controllo della glicemia, riducendo il rischio di complicanze come malattie cardiovascolari, insufficienza renale e neuropatie e ciò si traduce in minori ospedalizzazioni e in un miglioramento della qualità di vita. L’innovazione può condurre a migliorare l’aderenza terapeutica: le nuove terapie offrono benefici in termini di tollerabilità ed efficacia, hanno minori effetti collaterali e modalità di somministrazioni più semplici con migliori risultati clinici che motivano a seguire il trattamento con maggiore costanza».

« Tirzepatide non solo migliora il controllo glicemico e riduce i fattori di rischio cardiovascolare ma supporta anche la perdita di peso, un fattore chiave nella gestione della malattia, rispondendo a un bisogno clinico ancora insoddisfatto», commenta Federico Villa, Associate Vice President Corporate Affairs & Patient Access Lilly Italy Hub. «Oggi, questo impegno si rinnova con tirzepatide, una terapia innovativa per il diabete di tipo 2, frutto di decenni di ricerca metabolica. Come azienda ci siamo impegnati molto per far sì che tirzepatide potesse essere disponibile per tutti i pazienti che ne avessero bisogno in ogni regione, andando anche a rispondere al problema delle carenze che ha caratterizzato questa classe di farmaci negli ultimi anni».

Categorie: Medicina integrata

Tumori orofaringei da Papilloma virus: passi avanti verso il primo test per la diagnosi precoce

Lun, 03/17/2025 - 19:02
Lo studio

In uno studio internazionale coordinato dall’Istituto europeo di oncologia (Ieo), Irccs e sostenuto dalla Fondazione Airc, un gruppo di ricercatori ha messo a punto un test di altissima sensibilità e specificità per la diagnosi dei carcinomi dell’orofaringe correlati all’infezione con Hpv. I risultati, appena pubblicati sul Journal of Medical Virology, hanno dimostrato che con l’esame della saliva ottenuta con un semplice gargarismo è possibile rilevare la presenza nel cavo orale del virus del Papilloma umano (Hpv). Quest’ultimo è la causa della maggioranza dei tumori orofaringei, in forte aumento nel mondo occidentale. Il test salivare potrebbe dunque segnalare la presenza di eventuali lesioni tumorali prima che siano rilevabili dagli esami di imaging o dall’esame clinico, permettendo cure più tempestive e mirate.

«Siamo orgogliosi dei risultati di questa ricerca traslazionale, realizzata fra ricerca in laboratorio e pratica clinica in ambulatorio che aspettavamo da dieci anni – ricorda Mohssen Ansarin, direttore del Programma Cervico-facciale Ieo - e che potrebbe segnare una pietra miliare nella diagnosi dei tumori orofaringei da Hpv». Adesso bisogna che il test salivare sia validato in studi più ampi: «Se supererà queste prove ulteriori – spiega Ansarin - potrà essere utilizzato sia per la diagnosi di sospetto carcinoma orofaringeo, sia durante il follow-up dei pazienti con malattia già trattata, per cogliere in anticipo un’eventuale ripresa di malattia. In entrambi i casi – sottolinea - il vantaggio clinico per i pazienti può essere significativo: se la diagnosi è precoce, i tassi di guarigione sono infatti elevati e i trattamenti possono essere più efficaci, meno invasivi e meno tossici».

I tumori orofaringei causati dall’Hpv sono più che raddoppiati negli ultimi trent’anni soprattutto nei maschi, e nei prossimi trenta potrebbero uguagliare e superare per incidenza il tumore della prostata. Con la vaccinazione contro l’Hpv, offerta gratuitamente a tutti gli adolescenti di entrambi i sessi attorno agli 11-12 anni, si può fermare questa tendenza, legata alla sempre più ampia diffusione dell’Hpv, che è l’infezione sessualmente trasmessa più frequente al mondo.

Grazie allo studio, «abbiamo scoperto che i campioni salivari ottenuti con gargarismo da pazienti con tumori orofaringei permettono un tasso di rilevamento altissimo per l’Hpv 16 – precisa Susanna Chiocca, direttrice dell’Unità Viruses and Cancer dell'Ieo - e autrice di riferimento dello studio. il ceppo virale più diffuso e pericoloso del virus, indipendentemente dallo stadio del tumore, quindi anche negli stadi più precoci».

Lo studio è nato nell’ambito di Allenza contro il cancro (Acc), l’organizzazione di ricerca oncologica italiana che riunisce gli Irccs oncologici, in collaborazione con l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) di Lione.

Categorie: Medicina integrata

Parkinson: caregiver soli e poco supportati

Lun, 03/17/2025 - 18:57
L'indagine

Tre persone su quattro che assistono un paziente con malattia di Parkinson sono donne tra i 55 e i 70 anni, l’80% delle quali vive con il paziente. L’avanzare della malattia impone un’assistenza quotidiana che incide su lavoro e salute di chi assiste: il 15% ha lasciato il proprio impiego, il 75% soffre di stanchezza cronica e il 65% di disturbi del sonno. Nonostante ciò, il 70% non riceve alcun tipo di supporto. Solo il 9% dei caregiver beneficia di una formazione adeguata, gli altri si affidano a risorse personali o all’improvvisazione.

Sono alcuni dati rilevati dall'indagine sul caregiving nella malattia di Parkinson realizzata su un campione di 478 caregiver dalla Fondazione LIMPE per il Parkinson in collaborazione con Confederazione Parkinson Italia.

Si stima che in Italia siano oltre 300 mila le persone che convivono con il Parkinson, malattia neurodegenerativa che causa sintomi motori, come tremori, rigidità e difficoltà nei movimenti, ma anche disturbi non motori, tra cui problemi del sonno, depressione e alterazioni cognitive. L’incidenza aumenta con l’età, ma la malattia colpisce anche fasce più giovani. L’età di esordio si sta abbassando e attualmente un paziente su quattro ha meno di 50 anni, mentre il 10% ne ha meno di 40. Con il progredire della patologia, il bisogno di assistenza diventa sempre più intenso. A garantire un supporto essenziale nella vita quotidiana sono i caregiver, spesso familiari, che si trovano ad affrontare da soli le conseguenze fisiche ed emotive di un impegno crescente.

I risultati dell'indagine, insieme alle nuove prospettive terapeutiche e alle opportunità di supporto, saranno al centro di Parkinson Corpo e Anima, il primo forum italiano organizzato da Fondazione LIMPE che, il 21 e 22 marzo a Napoli, riunirà persone con Parkinson, familiari, caregiver, neurologi e personale sanitario.

«Il Parkinson - sottolinea Alessandro Tessitore, coordinatore della Convention - è una sfida complessa che richiede un approccio su più livelli: medico, psicologico e relazionale. Con questo forum vogliamo offrire risposte concrete a chi vive la malattia ogni giorno e creare una rete efficace per migliorare la qualità di vita di chi affronta questa sfida, spesso in solitudine».

Categorie: Medicina integrata

Un Premio per giovani ricercatori nell'ambito della nutrizione

Lun, 03/17/2025 - 18:56
L'iniziativa

Unione italiana food, in collaborazione con la Società italiana di scienze dell'alimentazione (Sisa) ha istituito il "Premio Andrea Ghiselli", dedicato alla memoria del nutrizionista scomparso un anno fa. Il premio, del valore di 3 mila euro, è destinato a giovani ricercatori under 40 che si sono distinti nel campo della nutrizione e dell'alimentazione.

«Andrea Ghiselli ha rappresentato un ponte fondamentale tra il mondo della ricerca e quello dell’alimentazione quotidiana» ricorda Mario Piccialuti, direttore generale di Unione italiana food. «Questo premio – aggiunge - vuole essere un piccolo tributo al suo straordinario impegno e un investimento sui giovani che intendono lavorare per la ricerca nutrizionale in Italia».

Ghiselli è stato presidente della Sisa che, sottolinea Silvia Migliaccio, attuale presidente della Società scientifica, «ha tra i suoi obiettivi anche quello di promuovere una corretta informazione ed educazione alimentare. E in questo ambito si è impegnato, informando e divulgando in maniera seria e puntuale, ma sempre con un pizzico di ironia che lo ha fatto apprezzare anche dal grande pubblico, i corretti principi di un’alimentazione sana e sostenibile».

Il Premio avrà cadenza biennale ed è rivolto a laureati magistrali in diverse discipline scientifiche tra cui Biologia, Nutrizione umana, Tecnologie alimentari, Biotecnologia, Management in Scienze enogastronomiche, Farmacia e Ctf, Chimica, Medicina e chirurgia. Le aree di ricerca includono Nutrizione e alimentazione umana, Nutrizione sostenibile e ambiente, Alimenti funzionali e prevenzione, Nutrigenomica e Nutrigenetica.

Il Premio verrà assegnato durante il congresso nazionale della Società italiana di scienze dell'alimentazione. Oltre al riconoscimento economico, il vincitore riceverà l'iscrizione gratuita alla Sisa per il primo anno e al Convegno nazionale.

Le candidature dovranno essere inviate per via telematica all’indirizzo info@sisalimentazione.it. La commissione di valutazione, composta dal Consiglio direttivo Sisa, comunicherà i risultati entro il 30 dicembre 2025.

Ulteriori informazioni si possono trovare sul sito di UnionFood e sul sito della Sisa.

Categorie: Medicina integrata

La settimana su HealthDesk

Lun, 03/17/2025 - 17:51

 

Tumore al seno, si può fare di più L’Italia è tra i Paesi che garantisce il maggiore accesso ai farmaci, ma difettiamo in prevenzione e capacità di garantire gli stessi diritti a tutti i cittadini. Il bilancio del report europeo “Advancing Breast Cancer Care in Europe: A Roadmap to a Women-Centric Approach” Leggi tutto Settimana mondiale del cervello: un decalogo per la salute mentale Nella settimana mondiale del cervello 2025 che si celebra dal 10 al 16 marzo, la Società Italiana di Neurologia fa il punto sulla Strategia italiana per la salute del cervello 2024-2031 e lancia l’Alleanza italiana per la salute del cervello Leggi tutto Oltre 18 mila operatori sanitari aggrediti in un anno. Tra le cause le difficoltà del Servizio sanitario nazionale Leggi tutto A pazienti e familiari i professionisti della salute appaiono, anziché le vittime, i responsabili di una crisi provocata da scelte di altri. Le difficoltà del Ssn e le aspettative eccessive, dice il presidente Fnomceo, Filippo Anelli, «fanno da incubatore allo stato di frustrazione dei cittadini» Altre notizie Altroconsumo: le spese per la salute pesano ancora troppo sul bilancio delle famiglie italiane Consultazione pubblica dell'Aifa sui criteri di attribuzione dell’innovatività terapeutica L'Anaao boccia la “riforma Bernini” sull’accesso a Medicina: «Inizia oggi la pletora medica» Save the Children premia la ricerca Il valore dell’ascolto e della vicinanza negli Humanizing Health Awards 2025 di Teva


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Categorie: Medicina integrata

Italia tra i primi cinque Paesi al mondo per la ricerca sul cancro

Ven, 03/14/2025 - 19:17
Corso Aiom-Asco

Gli Stati Uniti sono al vertice della ricerca mondiale contro il cancro e il nostro Paese si colloca nella “top five” della classifica degli studi oncologici. È la dimostrazione della qualità del lavoro dei nostri ricercatori, ma l’Italia deve definire nuovi modelli, velocizzando i tempi di avvio dei trial ed eliminando gli ostacoli burocratici, per non restare indietro e tenere il passo degli altri Paesi. L’appello viene dalla terza edizione del “Clinical Research Course”, il corso, che si è aperto venerdì 14 marzo a Roma, organizzato dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) in collaborazione con l’American Society of Clinical Oncology (Asco).

In dieci anni (2011-2021), nel nostro Paese, i decessi per cancro sono diminuiti del 15%, percentuale migliore rispetto all’Unione europea, in cui il calo si è fermato al 12%. Negli Stati Uniti la mortalità complessiva per tumori è diminuita del 34% dal 1991 al 2022, con circa 4,5 milioni di decessi evitati (oltre 268 mila in Italia fra il 2007 e il 2019).

«I lavori scientifici italiani in ambito oncologico pubblicati su riviste mediche internazionali sono oggetto di migliaia di citazioni da parte di altri autori – ricorda Francesco Perrone, presidente nazionale Aiom - e pongono il nostro Paese tra i primi cinque al mondo in questa speciale classifica. L’Oncologia italiana, se adeguatamente supportata dalle Istituzioni, può affermarsi come un motore di sviluppo in ambito non solo scientifico, ma anche economico e sociale. L’obiettivo del corso ASCO-AIOM è fornire a giovani ricercatori provenienti da tutto il mondo gli strumenti per comprendere la metodologia delle sperimentazioni cliniche, implementare idee di ricerca e imparare a valutare la letteratura scientifica».

Nel 2023, l’Agenzia italiana del farmaco ha autorizzato 212 trial sulle neoplasie. In Italia l’oncologia resta l’area in cui si concentra il maggior numero di sperimentazioni, che hanno raggiunto nel 2023 il 34,7% del totale, in calo del 5,2% rispetto al 2022. Nel nostro Paese, «nonostante il Regolamento europeo, l’iter di approvazione delle sperimentazioni cliniche risulta più lungo e difficoltoso rispetto alla media continentale – osserva Perrone - soprattutto a causa delle procedure amministrative, che in troppi casi comportano mesi di attesa prima di attivare i centri italiani. Queste criticità mettono a rischio l’attrattività del nostro Paese per i promotori profit e ritardano l’opportunità della partecipazione agli studi per i pazienti. È fondamentale puntare alla semplificazione».

Le cause della riduzione del numero di studi clinici condotti in Italia «vanno trovate, ad esempio, nella carenza di figure professionali dedicate, nei ritardi nell’approvazione da parte dei Comitati etici e nella firma del contratto a livello delle Direzioni aziendali e nella lentezza nell’arruolamento dei pazienti» dice Massimo Di Maio, presidente eletto Aiom. «Negli ultimi anni le sperimentazioni cliniche hanno effettuato una vera e propria migrazione verso Paesi a più alta attrattività – prosegue - che sono riusciti a investire sempre di più in ricerca e sviluppo».

Un’altra svolta riguarda il superamento del modello istologico che, per molti anni, ha governato la ricerca in oncologia, le decisioni regolatorie e la pratica clinica. «In questo approccio – spiega Giuseppe Curigliano, membro del Direttivo nazionale Aiom - il punto di partenza è rappresentato dall’organo da cui la malattia ha origine. Negli ultimi anni, le prospettive sono cambiate, anche in seguito all’approvazione di molecole con indicazione cosiddetta “agnostica2, cioè indipendente dal tessuto di origine della neoplasia. Nella ricerca e nella pratica clinica, si sta pertanto affermando un nuovo modello, definito “mutazionale”. Si tratta di una vera e propria rivoluzione scientifica e culturale, destinata a condurci lontano. Questa strategia terapeutica – precisa Curigliano - si basa su un importante nuovo paradigma, nel quale la firma genomica supera il valore della sola caratterizzazione istologica. Diventa quindi essenziale la profilazione genomica, cioè l’individuazione delle mutazioni o delle alterazioni molecolari che giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo delle neoplasie, indipendentemente dalla sede del tumore».

Nel 2025, negli Stati Uniti sono stimati oltre due milioni di nuovi casi di cancro (390.100 in Italia nel 2024) e circa 618 mila decessi. La mortalità oncologica «sta progressivamente diminuendo sia negli USA sia in Italia» sottolinea Saverio Cinieri, presidente di Fondazione Aiom. Uno dei dati «più sorprendenti» della realtà americana è l’aumento delle diagnosi di cancro tra le donne e i giovani adulti. Per la prima volta, i tassi di incidenza dei tumori tra le donne di età compresa tra i 50 e i 64 anni hanno superato quelli degli uomini. E, nelle donne under 50, sono ora più alti dell’82% rispetto ai coetanei maschi. Il fenomeno è particolarmente evidente nel caso del tumore del polmone, che è diventato più comune nel sesso femminile sotto i 65 anni. Anche in Italia «questa neoplasia è sempre più “rosa” – rileva Cinieri - per la diffusione dell’abitudine del fumo di sigaretta in questa parte della popolazione. Nel nostro Paese, nella pratica clinica, osserviamo sempre più casi di cancro nei giovani. I dati devono essere ancora definiti – conclude - ma la tendenza è chiara anche in Italia».

Categorie: Medicina integrata

Altroconsumo: le spese per la salute pesano ancora troppo sul bilancio delle famiglie italiane

Gio, 03/13/2025 - 19:05
L'indagine

Ancora un segnale della progressiva crisi del Servizio sanitario nazionale, sempre più in difficoltà nel rispondere ai bisogni di salute degli italiani e, perciò, di obbedire alla propria mission.

Il segnale, indiretto, viene stavolta dal Termometro Altroconsumo 2024 che, dopo tre anni di peggioramento continuo, registra un lieve miglioramento della capacità di spesa delle famiglie italiane, anche se permangono alcune difficoltà, in particolare per quanto riguarda i costi da sostenere per abitazione e, appunto, la salute. Non solo: le aspettative per il 2025, osserva Altroconsumo, non sono positive e si segnalano i timori per un peggioramento all’orizzonte.

È questo il quadro generale emerso dall’indagine annuale che Altroconsumo, insieme alle Organizzazioni omologhe di Spagna, Belgio e Portogallo che fanno parte di Euroconsumers ha svolto anche lo scorso anno su un campione di 2.699 cittadini, distribuiti come la popolazione italiana.

In generale, dall'indagine risulta che nel 2024 la capacità delle famiglie italiane di affrontare le spese quotidiane sembra finalmente allinearsi a un contesto nazionale che, nonostante il rallentamento della crescita economica, registra un miglioramento dell’occupazione e un rallentamento dell’inflazione. Resta tuttavia motivo di preoccupazione la scarsa capacità di risparmio di una ampia parte della popolazione, a cui si contrappone una percentuale ristretta di famiglie che possono accumulare riserve economiche con facilità, un dato che sembra riflettere il continuo aumento della diseguaglianza economica nella società contemporanea.

In questo quadro, le spese per abitazione e salute si confermano quelle che generano più problemi: rispettivamente il 48% e il 45% delle famiglie hanno incontrato difficoltà nel sostenerle. Più in dettaglio, le voci di spesa che nel 2024 hanno generato i maggiori problemi alle famiglie sono state i costi legati all’automobile (il 57% è in difficoltà); le cure dentistiche (55%), le visite mediche (52%), viaggi e vacanze (51%) e bollette (46%).

In particolare, sono proprio le spese legate alla salute che risultano sempre più difficili da gestire, con un incremento delle famiglie in difficoltà sulle voci cure dentistiche (+4 punti percentuali), occhiali e apparecchi acustici (+3%), assistenza psicologica (+2%).

In uno scenario positivo di miglioramento complessivo della condizione delle famiglie italiane emerge però la nota dolente delle spese sanitarie che anche quest’anno sono l’ambito in cui l’Italia si discosta maggiormente, in negativo, dagli altri Paesi: la percentuale di famiglie italiane in difficoltà, infatti, è del 45% rispetto al 37% della Spagna, il 34% del Portogallo e il 24% del Belgio.

Il Termometro di Altroconsumo 2024 «ci restituisce l’immagine di un’Italia ancora in difficoltà. Se da un lato si intravede un miglioramento dell’indice rispetto all’anno scorso, dall’altro resta evidente il peso che le spese essenziali continuano ad avere sui bilanci familiari» commenta Federico Cavallo, responsabile delle Relazioni esterne di Altroconsumo. «A preoccupare – prosegue - è anche la crescente difficoltà nell’accesso alle cure sanitarie: il 45% delle famiglie italiane fatica a sostenere spese per cure dentistiche, occhiali, apparecchi acustici e assistenza psicologica. Un dato ben più alto rispetto agli altri Paesi europei analizzati, che dimostra quanto le inefficienze del nostro sistema sanitario nazionale stiano pesando sulle tasche dei cittadini, costringendoli sempre più spesso a ricorrere alla sanità privata». Per Cavallo, dunque, «servono risposte concrete da parte delle istituzioni nazionali ed europee per ridare stabilità economica alle famiglie e garantire un accesso equo ai servizi essenziali. È il momento di intervenire – conclude - con misure strutturali per il rilancio, innanzitutto, del potere d’acquisto e una riforma seria della sanità pubblica.

Categorie: Medicina integrata

Tumore al seno, si può fare di più

Gio, 03/13/2025 - 17:16
Il report Many_Hands_(16859686419).jpg Immagine: Sharon & Nikki McCutcheon from We currently live in the United States, we are paying it forward and spreading love worldwide!, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons L’Italia è tra i Paesi che garantisce il maggiore accesso ai farmaci, ma difettiamo in prevenzione e capacità di garantire gli stessi diritti a tutti i cittadini. Il bilancio del report europeo “Advancing Breast Cancer Care in Europe: A Roadmap to a Women-Centric Approach”

L’Italia fa bene, ma può fare ancora meglio contro il cancro al seno: investendo sulla prevenzione, contrastando le diseguaglianze di assistenza e di accesso ai farmaci tra Regioni, rafforzando le reti oncologiche. Sono le conclusioni che si traggono dal report europeo “Advancing Breast Cancer Care in Europe: A Roadmap to a Women-Centric Approach”, realizzato dall’Economist Impact con il supporto non condizionante di Daiichi Sankyo. 

Il tumore al seno è la neoplasia più diffusa tra le donne in Europa e in Italia, con oltre 55 mila nuove diagnosi ogni anno solo nel nostro Paese. Grazie ai progressi nella diagnosi e nelle terapie, la sopravvivenza a cinque anni ha raggiunto l’88%, superando il 90% nei casi individuati precocemente. Tuttavia, sono ancora numerose le sfide che le persone con tumore al seno affrontano ogni giorno e che incidono in maniera significativa sulla loro qualità di vita, sia durante il percorso di cura che negli anni successivi.

Il report, realizzato con il contributo di oltre 75 esperti di diverse discipline e nazionalità raccolto attraverso workshop e interviste condotte in Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, ha approfondito l'attuale panorama della gestione del cancro al seno in Europa in ogni fase del percorso di cura, dalla prevenzione alla diagnosi, al trattamento e follow-up, fino al post-cura, identificando le principali sfide ancora aperte e le opportunità di miglioramento.

I dati  confermano che il nostro Paese possiede ancora un sistema sanitario forte, capace di garantire l’accesso ai migliori trattamenti. Infatti, l'Italia si distingue infatti, tra i Paesi analizzati, per il numero di trattamenti oncologici disponibili (40 sui 48 approvati da Ema tra il 2019 e il 2022), al secondo posto dopo la Germania. Siamo inoltre tra i Paesi che garantiscono la piena rimborsabilità al maggior numero di trattamenti (il 78%, al secondo posto dopo la Germania e la Scozia). 

Anche sui tempi di approvazione dei farmaci, l’Italia si situa bene:  mediamente intercorrono 417 giorni tra l’approvazione europea e la disponibilità effettiva delle terapie oncologiche per i pazienti italiani, a fronte di 559 giorni. Tuttavia, proprio su questo fronte si comincia a notare una delle principali criticità italiane: la frammentazione su base locale. Infatti, la peculiarità del sistema italiano decentralizzato e il passaggio attraverso i prontuari terapeutici regionali tendono ad allungare i tempi di accesso alle nuove terapie, creando disuguaglianze territoriali significative.

Le differenze territoriali si osservano su tutti gli indicatori analizzati dal rapporto. L’adesione ai programmi di screening mammografico, per esempio. In media, nel Paese è al di sotto della soglia minima raccomandata dall’Ue del 70-75%, ma sussistono forti disparità regionali tra il Nord e il Sud e le isole, dove si registra la partecipazione più bassa. Inoltre, non tutte le Regioni hanno esteso il programma alla fascia 45-74 anni, come suggerito dalle raccomandazioni europee. 

La stessa dinamica si osserva per le Reti oncologiche. «Rivestono un ruolo fondamentale nella gestione delle pazienti con tumore della mammella, garantendo percorsi e interazioni organizzate tra le diverse strutture sanitarie presenti sul territorio, dalle case della salute alle strutture più complesse come gli ospedali, i policlinici plurispecialistici e gli Irccs», spiega Carmine Pinto, direttore della Struttura Complessa di Oncologia Medica, Comprehensive Cancer Centre dell’AUSL – IRCCS Istituto di Tecnologie Avanzate e Modelli Assistenziali in Oncologia di Reggio Emilia.

«Le Reti Oncologiche - continua - possono e devono garantire qualità, sicurezza e appropriatezza dei percorsi di cura, ma esistono purtroppo ancora oggi importanti disparità tra le diverse Regioni italiane nella loro implementazione». 

Da questo punto di vista, «è indubbia la necessità di potenziare modelli organizzativi che favoriscono la collaborazione professionale e organizzativa come le Reti oncologiche regionali, per garantire un continuum of care efficace e uniforme sul territorio. Un elemento cruciale è supportare l’integrazione tra i diversi momenti del percorso di cura e accompagnare le donne nel percorso stesso, ad esempio identificando punti unici d’accesso oppure assicurando una più stretta integrazione tra lo screening e l’accesso alle Breast Unit, che attualmente risulta ancora frammentato», afferma Francesca Ferrè, ricercatrice di Management Sanitario, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università di Milano. 

Differenze sostanziali si osservano anche per i test diagnostici di precisione. «Questi strumenti, fondamentali sia nella fase precoce sia nella malattia metastatica, non sono uniformemente disponibili su tutto il territorio nazionale», spiega Carmen Criscitiello, professore associato al Dipartimento Oncologia ed Emato-Oncologia, Università di Milano, Istituto Europeo di Oncologia (IEO). «Un passo avanti significativo è stato compiuto con l'inclusione del sequenziamento di nuova generazione (NGS) nel nuovo tariffario nazionale, particolarmente rilevante per i pazienti con malattia metastatica. Tuttavia, persistono disparità regionali nell'implementazione: alcune regioni hanno attivato percorsi operativi efficaci, mentre altre sono ancora in ritardo. Nel contesto metastatico, dove l'NGS può cambiare radicalmente il percorso terapeutico e queste disparità risultano particolarmente critiche», prosegue. «Spesso, infatti,  l'approvazione di farmaci innovativi non è accompagnata dall'immediata disponibilità e rimborsabilità dei test molecolari necessari per la loro prescrizione, creando un paradosso in cui esistono terapie che non possono essere utilizzate per mancanza della diagnostica appropriata». 

Il rapporto, mostra inoltre, che l’impatto economico del cancro al seno è enorme: più di 1 miliardo di euro. Costi che ricadono sul servizio sanitario, sulla società, come conseguenza di invalidità civile e perdita di produttività lavorativa, ma soprattutto sulle malate e le famiglie. 

«La tossicità finanziaria è un “effetto collaterale” spesso sottovalutato del tumore al seno, con un forte impatto sulla vita delle donne che affrontano questa diagnosi, molte delle quali in piena età lavorativa», dice Flori Degrassi, presidente ANDOS Onlus Nazionale. «La malattia comporta lunghi periodi di assenza dal lavoro per seguire le terapie e gestire gli effetti collaterali, a cui si aggiungono in molti casi i costi per gli spostamenti e l’accompagnamento ai centri di cura. Difficoltà che gravano sulla situazione economica delle pazienti, soprattutto di coloro che affrontano la malattia da sole o con figli a carico, e che possono incidere sulla loro qualità di vita già compromessa dalla malattia. In alcuni casi - aggiunge - il rischio di perdere il lavoro e il peso finanziario sono talmente rilevanti che, sommati agli effetti collaterali dei farmaci, possono persino portare all’abbandono delle cure», conclude. 

Da questo punto di vista, il report evidenzia quindi l’urgenza di garantire un’assistenza onnicomprensiva che vada oltre la cura oncologica, integrando nel percorso di cura aspetti come la sessualità, la preservazione della fertilità, il supporto psico-oncologico e finanziario, il sostegno al reinserimento lavorativo. Non solo durante le cure, ma anche negli anni che seguono la fine del trattamento. In questo senso, un traguardo significativo è stata l’introduzione nel 2023 della Legge sull’oblio oncologico

«La legge sull’oblio oncologico, entrata in vigore in Italia nel gennaio dello scorso anno, segna un cambiamento culturale prima ancora che normativo. Per la prima volta, viene sancito nero su bianco che dal cancro si può guarire, offrendo una prospettiva di speranza anche a chi sta ancora affrontando la malattia e contrastando le discriminazioni ingiustificate legate a una patologia pregressa», afferma Elisabetta Iannelli, vicepresidente di AIMaC e segretario generale di FAVO. «Grazie anche all’impegno delle associazioni, sono stati introdotti importanti decreti attuativi, come il certificato di guarigione e la riduzione dei tempi per il riconoscimento della guarigione in alcune patologie. Per il tumore al seno negli stadi iniziali, ad esempio, si potrà essere considerati guariti già un anno dopo la fine dei trattamenti, se non ci sono evidenze di malattia», continua. «Ulteriori misure riguardano la tutela nell’accesso alle adozioni dei minori, mentre sono in via di finalizzazione provvedimenti specifici sul riconoscimento di politiche attive per l’inclusione lavorativa e la regolamentazione in ambito assicurativo. Sebbene l’Italia sia arrivata dopo altri Paesi europei alla legge sull’oblio oncologico, ha introdotto importanti elementi innovativi, ampliando ad esempio la tutela lavorativa, la possibilità di adottare un figlio o una maggiore agilità normativa nella definizione dei termini ridotti per attestare la guarigione». 

La legge, dunque, «segna una vera e propria rivoluzione dalla diagnosi di tumore come “sentenza definitiva” del passato alla consapevolezza che il cancro è oggi una malattia curabile e che chi è guarito ha diritto a una vita senza discriminazioni», conclude Iannelli. 

«Partendo dall’ascolto di clinici, ricercatori e associazioni pazienti, questo rapporto europeo ci ha restituito una fotografia accurata e aggiornata dello stato dell’arte della gestione del tumore al seno in Europa e nel nostro Paese offrendoci importanti spunti di riflessione e suggerendo possibili percorsi di miglioramento da intraprendere», dichiara Mauro Vitali, head of Oncology di Daiichi Sankyo Italia. «Crediamo fermamente che per affrontare il cancro sia indispensabile adottare un approccio olistico che consideri le specificità di ogni persona nel suo percorso di cura. Per questo collaboriamo costantemente con società scientifiche, associazioni, professionisti sanitari, stakeholder e tutti coloro che possono contribuire alla ricerca di soluzioni efficaci, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita dei pazienti oncologici e l’esperienza di chi affronta il tumore al seno», conclude Vitali. 

 

 

L'impegno della politica Loizzo: «La politica unisca le forze sulla profilazione genomica»

 

 

Zambito: «L'Italia sta facendo molto sul cancro al seno»

 

 

Pirro: «Necessario un dialogo tra politica e scienza»

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Consultazione pubblica dell'Aifa sui criteri di attribuzione dell’innovatività terapeutica

Mer, 03/12/2025 - 21:53
Farmaci

L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) avvia la consultazione pubblica sul documento “Criteri di valutazione per l’attribuzione dell’innovatività terapeutica e sulla gestione degli agenti antinfettivi per infezioni da germi multiresistenti”.

La consultazione pubblica, spiega l'Aifa, è preliminare alla definizione dei criteri di attribuzione dell’innovatività terapeutica da parte dell’Agenzia al fine dell’accesso al Fondo dei farmaci innovativi, come previsto dalla Legge n. 207 del 30 dicembre 2024.

«Il confronto che si apre oggi su temi di fondamentale importanza per l’accesso alle cure e il diritto alla salute conferma la propensione all’ascolto da parte di Aifa» sostiene il presidente Robert Nisticò. «Un’apertura – aggiunge - che assume una particolare rilevanza quando si tratta, come in questo caso, di stabilire quali medicinali possiedono un vantaggio terapeutico tale da meritare incentivi economici che, per motivi di compatibilità economica, non possono essere estesi a tutto ciò che è semplicemente nuovo».

La consultazione «rappresenta un passaggio estremamente importante nell’aggiornamento della normativa sui farmaci innovativi, compresi gli antibiotici - sottolinea il direttore tecnico-scientifico, Pierluigi Russo – condotto dalla Commissione scientifico-economica. Con questo passaggio, la Cse si apre al confronto con le associazioni dei pazienti e gli stakeholder, per acquisire in piena trasparenza eventuali contributi».

A partire da mercoledì 12 marzo fino alle 18,00 del 22 marzo 2025, tutti i portatori di interesse nonché le Associazioni di pazienti e cittadini potranno far pervenire i propri contributi in forma non anonima o anonimizzata esclusivamente in formato word alla casella di posta elettronica infoinnovativi@aifa.gov.it.

Sul portale dell’Agenzia è pubblicato il documento oggetto della consultazione.

 

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L'Anaao boccia la “riforma Bernini” sull’accesso a Medicina: «Inizia oggi la pletora medica»

Mer, 03/12/2025 - 21:50
Formazione

«Da oggi inizia la nuova pletora medica, che vuol dire più neolaureati nel 2032 e meno qualità formativa. Il tutto sbandierato come abolizione del numero chiuso che di fatto non c’è». È una chiara bocciatura quella di Pierino Di Silverio, segretario nazionale dell’Anaao Assomed.

Oltre alle perplessità per i problemi organizzativi che il sistema produrrà, «siamo assolutamente contrari ai principi e alle finalità di questa riforma», dice Di Silverio, innanzitutto perché «non risolve in alcun modo la carenza di personale»: coloro che entreranno nelle Facoltà di Medicina nel 2025 (nel 2024 sono stati 70 mila) arriveranno nel mercato del lavoro non prima del 2035. Inoltre, «ben sapendo che nel nostro Pese l’ingresso in ospedale è subordinato alla specializzazione, avremo sempre il problema delle borse di studio» (oggi sono 14 mila): «Cosa ne faremo delle migliaia di colleghi che rimarranno fuori da questi paletti? Forse il Governo avrà già pronte le valigie per spedirli in altri Paesi d’Europa e del mondo mentre i meno fortunati rimarranno in Italia a foraggiare il privato».

Secondo un recente studio dell’Anaao Assomed, nel 2032 avremo 60 mila medici in cerca di lavoro, «ma questo per chi legifera senza visione e senza prospettiva – dice Di Silverio - è evidentemente solo un numero senza alcun impatto sulla qualità del nostro sistema sanitario. Si, perché è di questo che si tratta: di un disegno per distruggere le competenze di una professione già in crisi».

Di Silverio sostiene che «le nostre soluzioni sono state completamente ignorate dalla ministra che non ha mai accolto le richieste di incontro: modificare le modalità di accesso alla Facoltà di Medicina e chirurgia, ma non eliminare il numero programmato. Non siamo pregiudizialmente contrari alla modifica del test di ingresso, ma rigettiamo un sistema che non tiene conto di una adeguata preparazione, dell’adozione di testi unici, di una formazione preliminare in capo al ministero della Salute. Siamo, invece, di fronte all'ennesima trovata populistica – conclude il segretario nazionale Anaao Assomed - che demolirà il sistema salute di oggi e di domani».

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Settimana mondiale del cervello: un decalogo per la salute mentale

Mer, 03/12/2025 - 16:00
Il documento Preferiti - 5 di 6.jpeg Immagine: @HealthDesk Nella settimana mondiale del cervello 2025 che si celebra dal 10 al 16 marzo, la Società Italiana di Neurologia fa il punto sulla Strategia italiana per la salute del cervello 2024-2031 e lancia l’Alleanza italiana per la salute del cervello

Dieci raccomandazioni pratiche per mantenere il cervello in salute: sono quelle presentate mercoledì 12 marzo a Roma dalla Società italiana di neurologia (Sin), in occasione della Settimana mondiale del cervello 2025 che si celebra dal 10 al 16 marzo.

L’evento è stato anche l’occasione per fare il punto sulla Strategia italiana per la salute del cervello 2024-2031 e lanciare l’Alleanza italiana per la salute del cervello, un’organizzazione strutturata a firma "One Brain One Health" e “Italian Brain Health Strategy”, a conferma di un impegno condiviso sul piano nazionale e internazionale.

A un anno dalla presentazione del Manifesto “One Brain, one Health”, il Decalogo per la salute del cervello include consigli su attività fisica, alimentazione, sonno, stimolazione mentale, gestione dello stress, vita sociale, prevenzione dei traumi, salute cardiovascolare, evitamento di sostanze dannose e supporto alla salute mentale. Tutto questo per far fronte a numeri che preoccupano: secondo uno studio pubblicato su The Lancet Neurology con il contributo dell’Organizzazione mondiale della sanità quasi tre miliardi e mezzo di persone in tutto il mondo (cioè il 43% della popolazione mondiale) convivono con una condizione neurologica, in primis ictus, encefalopatia neonatale, emicrania cronica, demenza, neuropatia, meningite, epilessia, complicazioni neurologiche da parto pretermine, disturbo dello spettro autistico e tumori del sistema nervoso centrale. In Italia si stima che oltre il 10% delle famiglie abbia una persona che soffre di malattie neuropsichiatriche, con un costo totale stimato di circa 87 miliardi di euro all'anno.

«Il primo anno della Strategia italiana per la salute del cervello – osserva  Alessandro Padovani, presidente Sin - ha segnato un importante passo avanti nella promozione del benessere cerebrale. Riteniamo che le malattie del cervello abbiano lo stesso diritto di protezione e cura durante tutto l’arco della vita. E questo a prescindere che si tratti di patologie psichiatriche, neurologiche o neurochirurgiche, croniche o acute, dettate o meno da condizioni relazionali o psicologiche perché la salute del cervello è strettamente connessa alla salute nella sua accezione più ampia e globale, che include le persone, le comunità, gli animali, l’ambiente. La creazione della nuova Alleanza per la salute del cervello e la registrazione dei marchi “One Brain One Health” e “Italian Brain Health Strategy” sono testimonianze del nostro impegno condiviso a livello nazionale e internazionale. Il decalogo che presentiamo oggi – aggiunge - è uno strumento fondamentale per sensibilizzare la popolazione sull'importanza di prendersi cura del proprio cervello allo scopo di garantire un futuro migliore per sé stessi e per la società».

In occasione della presentazione del Decalogo è stata anche lanciata l’Alleanza italiana per la salute del cervello, un’organizzazione che vede la presenza di esponenti dei ministeri della Salute e dell'Università, dell'Istituto superiore di sanità e del Parlamento allo scopo di mettere in atto strategie e nuove iniziative per l'integrazione tra salute neurologica e mentale, contribuendo così a costruire una società più consapevole e attenta al benessere cerebrale.

 

Cosa prevede, in sintesi, il decalogo Sin:

    1. Attività fisica regolare: L'esercizio migliora il flusso sanguigno cerebrale, riduce l'infiammazione e promuove la plasticità neuronale;

    2. Dieta salutare: La dieta mediterranea, ricca di verdure, frutti di bosco, frutta secca, cereali integrali e grassi sani, supporta la funzione cognitiva;

    3. Sonno di qualità: Dormire 7-9 ore a notte aiuta la memoria e la plasticità cerebrale, oltre che a mantenere una routine regolare;

    4. Stimolazione mentale: Attività mentali costanti e l'acquisizione di nuove abilità rafforzano la riserva cognitiva. Leggere, imparare nuove lingue, suonare strumenti musicali e ascoltare musica sono attività consigliate;

    5. Gestione dello stress: Lo stress cronico può danneggiare l'ippocampo e influenzare il sistema immunitario. Tecniche come meditazione, mindfulness, yoga e respirazione profonda aiutano a regolare le risposte allo stress;

    6. Vita sociale attiva: Le interazioni sociali stimolano la funzione cognitiva ed emotiva;

    7. Prevenzione dei traumi cranici: Indossare il casco in situazioni pericolose e adottare misure per prevenire le cadute;

    8. Salute cardiovascolare, uditiva e visiva: Ipertensione, diabete, obesità e colesterolo alto possono danneggiare il cervello. Disturbi della vista e dell'udito possono avere un impatto negativo, soprattutto negli anziani;

    9. Evitare sostanze dannose: Limitare l'assunzione di alcol, evitare sigarette, droghe e inquinamento atmosferico;

    10. Salute mentale: La depressione e l'ansia sono fattori di rischio per il declino cognitivo. Cercare supporto professionale se necessario.

Categorie: Medicina integrata

Oltre 18 mila operatori sanitari aggrediti in un anno. Tra le cause le difficoltà del Servizio sanitario nazionale

Mer, 03/12/2025 - 15:58
Rapporto Fnomceo-Censis Covid-19_San_Salvatore_09.jpg Immagine: Alberto Giuliani, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons A pazienti e familiari i professionisti della salute appaiono, anziché le vittime, i responsabili di una crisi provocata da scelte di altri. Le difficoltà del Ssn e le aspettative eccessive, dice il presidente Fnomceo, Filippo Anelli, «fanno da incubatore allo stato di frustrazione dei cittadini»

Nel 2023 sono stati 18.213 gli operatori sanitari coinvolti in aggressioni: nel 26% dei casi si è trattato di aggressioni fisiche, circa il 68% sono state verbali e il 6% contro la proprietà. Il 64% delle vittime sono uomini, il 36% donne. Il 60% delle violenze ha riguardato infermieri, il 15% medici, il 12% operatori sociosanitari e il 3% altro personale non sanitario. Le aggressioni sono state perpetrate nel 69% dei casi da pazienti, nel 28% da parenti e caregiver, nel 3% da una persona non legata ai pazienti. Il 78% delle aggressioni è avvenuta in ospedali e il 22% in strutture del territorio.

Sono dati che si trovano nel Terzo Rapporto Fnomceo-Censis “Centralità del medico e qualità del rapporto con i pazienti per una buona sanità: alle origini della criticità della condizione dei medici nel Servizio sanitario”. Una sintesi dei principali risultati è stata presentata mercoledì 12 marzo a Foggia, nell’ambito delle celebrazioni della Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo) per la Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari.

Il Rapporto incrocia i dati provenienti da fonti istituzionali come Istat e ministero della Salute con quelli di due indagini condotte in parallelo: la prima su un campione nazionale rappresentativo di mille cittadini maggiorenni, la seconda su un panel di cinquecento medici.

Dove nasce la frustrazione dei cittadini in sanità

Nove italiani su dieci (l’87,3%) quando stanno male vorrebbero tempo per dialogare con il medico, avere informazioni per capire la diagnosi, le terapie, la prognosi. Nella realtà, però, al 48,4% degli assistiti il medico ha dovuto concedere troppo poco tempo e al 47,8% non ha dato le informazioni di cui aveva bisogno. Il 52,2% ha vissuto, per sé o per un parente, un’esperienza negativa nel Pronto soccorso, con lunghissime attese e carenza di informazioni, tanto che il 35,1% ha detto di non sentirsi rispettato nel rapporto con la sanità. Il 66,4% ha comunque verificato la forte carenza di medici e infermieri nelle strutture sanitarie e il 72,3% un progressivo peggioramento nel Servizio sanitario. Il 90,4% degli italiani apprezzerebbe nei Pronto Soccorso e negli ospedali la presenza di mediatori, persone di riferimento competenti che informano, si relazionano con pazienti e familiari.

Senza investimenti tutto peggiorerà

Due medici su tre, di fronte alle richieste di attenzioni di pazienti e familiari, non hanno mai abbastanza tempo per dialogare o dare informazioni e spiegazioni. Del resto, il 66% lavora in strutture o servizi con forti carenze di personale e il 51,8% deve ricorrere ad attrezzature obsolete o non perfettamente funzionanti. Non sorprende che secondo nove medici su dieci (90,4%) non bastano ritocchi per rilanciare il Servizio sanitario, ma sono indispensabili investimenti massici, prolungati, dando priorità alle condizioni del personale.

La crescente paura dei medici sul posto di lavoro

Quasi la metà (41,2%) dei medici non si sente più sicuro nello svolgere il proprio lavoro a causa delle violenze, il 18% ha paura di lavorare di notte, l’11,8% di recarsi nel suo luogo di lavoro. Per il 91,2% dei medici è sempre più difficile e stressante lavorare nel Servizio sanitario. Inoltre, il 74,6% dei medici sente di lavorare troppo e si sente psicologicamente a rischio burn-out (il 78,4% tra chi lavora negli ospedali).

Le difficoltà con i pazienti vissute dai medici

Il ridimensionamento che il Servizio sanitario nazionale sta subendo da almeno un ventennio fa da contesto alla deriva conflittuale, a volte violenta, del rapporto medico-paziente. Infatti, il 25,4% dei medici ha subito minacce da pazienti o dai loro familiari (il 34,1% dei medici che lavorano tra ospedali e ambulatori), il 16,4% ha subito denunce, il 5,8% è stato perseguitato da hater sui social network per ragioni legate al lavoro, il 3,8% ha subito qualche forma di violenza fisica. Ormai il 42,8% dei medici ha paura delle reazioni di pazienti o familiari alle sue decisioni e il 70,2% si sente stressato proprio dalle difficoltà nel rapporto con pazienti e familiari.

Sentirsi capro espiatorio di una situazione in cui si è vittime

Il 71,8% dei medici si sente il capro espiatorio delle carenze del Servizio sanitario. Da eroi a colpevoli di quel che non funziona: è questa la traiettoria psicologica insopportabile vissuta da tanti medici in questo quadriennio. Del resto, il 51% sente di essere esposto in totale solitudine di fronte ad aggressività o controversie con i pazienti o familiari.

Io me ne andrei

Oltre la metà (il 51,4%) dei medici dichiara esplicitamente di avere la tentazione di andare a lavorare in un altro Paese; la quota è del 53% tra medici ospedalieri e oltre il 68% tra coloro che lavorano in ospedale e in ambulatorio. Inoltre, il 32,6% vorrebbe cambiare posto di lavoro arriva al 38% tra chi lavora solo negli ospedali). D’altro canto, l’84,8% dei medici (l’89,5% tra gli ospedalieri) ritiene di non guadagnare abbastanza per quel che fa.

Il ridimensionamento del Servizio sanitario nazionale

Nel 2003 i punti di Pronto soccorso erano 659 nel 2003, venti anni dopo, nel 2023, erano scesi a 433: 226 in meno. Nello stesso arco temporale il totale degli accessi al Ps è sceso da 22,7 milioni a 18,4 milioni, ma il numero medio per ciascun Pronto Soccorso è salito da 34.463 a 42.386: quasi 8 mila in più all'anno (+23%). Tra 2003 e 2023 sono diminuite anche le strutture di ricovero: da 1.281 a 996 (285 in meno) e sono stati tagliati 59 mila posti letto nelle degenze ordinarie (da 233.576 a 174.663). I medici di famiglia sono 37.983 nel 2003: 9 mila in meno rispetto a venti anni fa. Erano in media 8,2 per 10 mila abitanti, sono 6,4 nel 2023. Quelli con più di 1.500 assistiti erano meno del 16% nel 2003, sono il 51,7% nel 2023. 

Un riferimento solido: il medico di medicina generale

In un contesto di crisi del Servizio sanitario e in un momento di incrinatura nel rapporto medico-paziente, il medico di famiglia tiene. 

Per l’88,9% dei cittadini è importante perché lo aiuta a trovare soluzioni adatte alle proprie esigenze. Lo pensa in particolare l’88,2% dei residenti al Nord Ovest, il 91,5% al Nord Est, l’85,4% al Centro e il 90% al Sud e Isole. 

Inoltre, per il 76% è essenziale avere il medico vicino casa (75,6% dei residenti al Nord Ovest, 77,3% al Nord Est, 76,5% al Centro e 75,3% al Sud e Isole). Il 71,8% non rinuncerebbe mai al proprio medico di fiducia, opinione nettamente prevalente in modo trasversale ai gruppi sociali e ai territori.

Il sentiment generale

Dal Rapporto e dai sondaggi emerge un desiderio generalizzato di rilancio del Ssn.

L’86,8% degli italiani ritiene, tra l'altro, che nell’investire sul rilancio del Servizio sanitario un’attenzione particolare debba essere data alla tutela e potenziamento dell’umanità, intesa come maggiore attenzione al malato come persona e più ascolto nel rapporto medico-paziente. D'altra parte, il 72,4% si dichiara convinto che algoritmi e intelligenza artificiale non potranno mai sostituire il rapporto umano diretto col medico.

L’urgenza di un impegno di rilancio di lungo periodo

Il 90,4% degli italiani condivide l’idea che ormai ci vuole un impegno di lunga durata, una intenzionalità condivisa con forza superiore a quella che ha portato alla fragilizzazione del Servizio sanitario.

«Dalle esperienze convergenti di pazienti e medici – sottolinea in conclusione Filippo Anelli, presidente della Fnomceo - emerge che per sradicare la violenza sugli operatori sanitari, oltre al pugno di ferro sui responsabili di atti violenti, occorre un massiccio rilancio del Servizio sanitario che allenti la pressione che nel quotidiano la domanda sanitaria dei cittadini esercita su strutture e servizi e che è la prima causa della difficile condizione lavorativa di medici, infermieri e altro personale sanitario. Del resto – ricorda - come mostrato nelle prime due edizioni del Rapporto, investire in sanità significa anche promuovere lo sviluppo dell’economia italiana, visto che ogni euro di spesa sanitaria pubblica ne genera quasi due di valore nella produzione dei vari settori economici attivati. Inoltre, il rilancio del Servizio sanitario è oggi l’obiettivo più desiderato e condiviso dagli italiani – conclude Anelli - che confermano l’alta fiducia nei medici e l’amore per la nostra sanità».

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