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HealthDesk - Gio, 02/06/2025 - 17:42
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Categorie: Medicina integrata

Tumori: dalle esperienze dei pazienti all’impegno comune per il diritto alla salute

HealthDesk - Mer, 02/05/2025 - 18:00
World Cancer Day

Il Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” ha riunito per il terzo anno consecutivo le Associazioni dei pazienti oncologici e onco-ematologici e i decisori politici in occasione del “World Cancer Day”, la Giornata mondiale contro il cancro che ricorre il 4 febbraio di ogni anno, per sensibilizzare l’opinione pubblica e sollecitare azioni dei Governi e della collettività per migliorare l’accesso alle cure.

In Italia nel 2024 sono state stimate 390 mila nuove diagnosi di cancro, numero tendenzialmente stabile rispetto al precedente biennio. Il trend favorevole si associa a un altro dato positivo: la riduzione della mortalità nella fascia tra i 20 e i 49 anni del 21,4% nelle donne e del 28% negli uomini. Ma c’è un terzo elemento positivo: il costante aumento del numero di persone che vivono dopo una diagnosi di cancro, a oggi 3,7 milioni.

Tema della campagna mondiale 2025-2027: #UnitedByUnique, che invita a riflettere sull’unicità di chi convive con un tumore, per andare oltre la diagnosi clinica, dentro la storia umana di ciascun paziente.

«Il racconto unico delle storie dei pazienti ci emoziona – dice Annamaria Mancuso, presidente di Salute Donna ODV e coordinatrice del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” - perché ha il potere di avvicinarci tutti a viaggi personali unici e ogni storia è un messaggio di speranza, Per questo – prosegue – è fondamentale che chi riceve una diagnosi di tumore possa dire la sua e far sentire la propria voce. In questo senso siamo perfettamente allineati al tema di questa Giornata mondiale contro il cancro e abbiamo incentrato l’odierno incontro proprio partendo dalle storie dei pazienti.

Nucleo dell’incontro promosso dal Gruppo, le cinque storie dai pazienti: Annamaria (Salute Donna), Gianluca (Melanoma Day), Barbara (Oltre la ricerca), Daniela (WALCE) e Riccardo (Fondazione Città della Speranza) hanno testimoniato con il loro personale racconto la forza, il coraggio e la ricchezza del vissuto di ciascun paziente.

«Numerosi studi evidenziano l’importanza di tener conto di ciò che pensano e sentono le persone con tumore – ricorda ancora la presidente di Salute Donna - per arrivare a cure più efficaci e che garantiscano una migliore qualità della vita. La partecipazione attiva dei pazienti presuppone competenze specifiche: per questo abbiamo promosso un Corso di perfezionamento dedicato alle Associazioni aderenti al Gruppo in collaborazione con l’Università di Pavia. Il coinvolgimento delle Associazioni nei processi decisionali in ambito sanitario è un grande risultato, ottenuto soprattutto grazie all’impegno di tante Associazioni e alla sensibilità dei parlamentari che ci hanno supportato in questo lungo cammino che oggi è approdato al testo di legge della manovra di Bilancio 2025, insieme ad altre istanze sulle quali il Gruppo ha lavorato in questi anni».

«Carenza di strutture adeguate, minimizzazione dei tempi di visita, attese spasmodiche, burocratizzazione delle attività mediche, visione economicista dell’assistenza sanitaria, assoluta incomprensione del fatto che spendere in salute non è una perdita ma un investimento: il mondo politico deve prendere contezza di questa realtà – avverte Alberto Scanni, presidente emerito del Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo) – e comprendere che, al di là della buona volontà degli operatori, le cose non possono migliorare se non si mette al primo posto il “bene salute” . La ricerca ha fatto passi da gigante – aggiunge Scanni - e la personalizzazione delle cure è diventata la via maestra: l’interdisciplinarietà diventa giocoforza la carta vincente e l’approccio alla malattia deve essere frutto di confronti tra specialisti di vari settori. Ma anche questo presuppone un’attenzione particolare da parte dei decisori – conclude - ripensando a investimenti corposi in strutture e organici».

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Tumori, il 40% delle morti causato da fattori di rischio modificabili

HealthDesk - Mar, 02/04/2025 - 17:28
Giornata mondiale Doctor_and_patient_looking_at_CT_Scan_of_Lungs.jpg Immagine: M Joko Apriyo Putro, CC BY 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/4.0>, via Wikimedia Commons Il motto del World Cancer Day di quest’anno è ‘United by Unique’: ogni persona colpita dal cancro è unica e pertanto necessita di una presa in carico che tenga conto degli aspetti emozionali, psicologici e sociali legati alla malattia

«Nel 2022, nel mondo, sono stati 20 milioni i nuovi casi di cancro e 9,7 milioni i decessi. Il 40% delle morti è causato da fattori di rischio modificabili, in particolare da fumo, consumo di alcol, sedentarietà ed eccesso ponderale». È il dato che, in occasione del World Cancer Day, ricorda il presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) Francesco Perrone. «La prevenzione dei tumori deve essere sempre più al centro della nostra attenzione e delle nostre azioni», ricorda Perrone. 

Il tema della giornata di quest’anno è ‘United by Unique’, un modo per ricordare che ogni persona colpita dal cancro è unica e pertanto necessita di una presa in carico che tenga conto degli aspetti emozionali, psicologici e sociali legati alla malattia.

«La nuova dimensione della cura del cancro, infatti, è la cosiddetta ‘people-centred care’ che si focalizza a 360 gradi sulla persona colpita dalla malattia, coinvolgendo nel percorso assistenziale anche i familiari e l’intera comunità che circonda il paziente», aggiunge Perrone nel corso del convegno nazionale “World Cancer Day: United by Unique” promosso in occasione della Giornata Mondiale. «Questo approccio, che supera quello centrato sul paziente o sulla persona, ha le potenzialità per migliorare i risultati clinici e la qualità di vita, con un uso più efficiente delle risorse e una riduzione dei costi dell’assistenza».

Qualcosa, su questo fronte, si sta già muovendo. Aiom e l’Agenzia Italiana del Farmaco, per esempio, hanno recentemente istituito un gruppo di lavoro per monitorare l’appropriatezza d’uso delle terapie oncologiche. «Grazie a questa collaborazione abbiamo evidenziato che il profilo dei pazienti coinvolti negli studi clinici è diverso rispetto a quello di coloro che, dopo l’approvazione, vengono trattati con gli stessi farmaci nei reparti di oncologia, cioè nella pratica clinica quotidiana», dice ancora Perrone. 

I pazienti della vita reale, in particolare, sono in genere più vecchi rispetto a quello degli studi clinici e quindi più fragili e con più comorbidità. Un dettaglio non da poco. 

La people-centred care, però, non si applica solo alle terapie, ma anche alla prevenzione. «Quasi il 60% degli adulti consuma alcol, il 33% è in sovrappeso e il 10% è obeso, il 28% è sedentario, il 24% fuma. Serve più impegno per sensibilizzare tutti i cittadini, soprattutto le persone che non adottano stili di vita sani. Il consumo di alcol è correlato a 7 tipi di carcinoma, l’obesità a 12. E il fumo, da solo, è responsabile del 25% dei decessi oncologici nel mondo», afferma Saverio Cinieri, presidente della Fondazione Aiom. «La ‘people-centred care’ porta anche a considerare il contesto sociale di ogni paziente», continua Cinieri. «Ad esempio, il fumo di sigaretta, la sedentarietà e l’eccesso ponderale sono più diffusi fra le persone con difficoltà economiche e un basso livello di istruzione. È già stato dimostrato che i problemi di natura finanziaria determinano una riduzione della sopravvivenza dei pazienti oncologici, con un rischio di morte più alto del 20%, anche in un servizio sanitario universalistico come il nostro. Ora è necessario allargare l’orizzonte dei programmi di prevenzione, considerando l’impatto degli ostacoli economici sull’adesione agli stili di vita sani».

Intanto, sul fronte della ricerca si aprono nuove prospettive che consentono di migliorare ulteriormente l’efficacia dei trattamenti. Un cambiamento culturale di grande rilevanza nell’oncologia degli ultimi anni è rappresentato dalla crescente attenzione agli esiti riferiti dal paziente (patient-reported outcomes, PROs), sia nelle sperimentazioni sai nella pratica clinica. «I patient-reported outcomes e la qualità di vita del paziente sono sempre più un importante tassello del complesso mosaico di valutazione del valore dei trattamenti oncologici e rientrano a pieno titolo nella ‘people-centred care’», spiega Massimo Di Maio, presidente eletto AIOM. «Questa consapevolezza sta aumentando e il risultato è che, negli anni recenti, quasi il 70% degli studi clinici sui tumori include la qualità di vita dei pazienti tra gli endpoint, cioè tra gli obiettivi da analizzare», sottolinea Di Maio. «I dati relativi alla qualità di vita, pur compresi fra gli endpoint, però vengono pubblicati solo in circa la metà dei casi in cui sono stati raccolti. È importante, quindi, migliorare la tempestività con cui queste informazioni sono comunicate e pubblicate». Non solo. «Oggi pochi ospedali adottano misure di monitoraggio sistematico dei sintomi da parte dei pazienti. Serve un cambio di passo, perché la raccolta del punto di vista dei malati sull’esito di un trattamento non resti una semplice affermazione retorica ma diventi un metodo imprescindibile», conclude l’oncologo.

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Tumori, all’Istituto superiore di sanità si punta a battere le cellule dormienti

HealthDesk - Mar, 02/04/2025 - 09:50
World Cancer Day

Combattere il cancro comprendendo il comportamento delle cellule cosiddette dormienti, cellule tumorali che spesso rimangono nel corpo e che sono responsabili delle recidive, e quello delle cellule chemio-resistenti. Sono queste le due sfide nella ricerca sul cancro intraprese dall’Istituto Superiore di Sanità.

Il occasione del Giornata mondiale sul cancro, l’Iss fa il punto sul suo impegno nella ricerca oncologica, guidata dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare dell’Istituto Superiore di Sanità.

Da una parte, i ricercatori sono impegnati a colpire le cellule tumorali dormienti o renderle tali per sempre. A tale scopo è stato prodotto e brevettato in Istituto una nuova formulazione di un farmaco, la fenretinide, che in passato aveva mostrato una efficacia limitata per problemi di scarso assorbimento, per prolungare la dormienza delle cellule nel tumore della mammella in un modello animale. I risultati della ricerca, condotta in collaborazione con le Università di Siena e di Bologna e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, sono stati pubblicati nel mese di novembre sulla rivista Journal of Experimental & Clinical Cancer Research. Lo studio è stato realizzato grazie a dei finanziamenti della Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro e interni all’Iss.

Vi è poi un altro progetto in corso, che riguarda la chemio- resistenza. Si cerca di capire perché le cellule siano chemio-resistenti e come questo accada, oltre ad individuare delle vulnerabilità che rendano possibile colpirle. Il progetto è un progetto Pnrr, di cui l’Iss è capofila, del valore economico di un milione per quattro unità operative coinvolte.

Tra le altre importanti attività svolte dall’Iss in ambito oncologica, c’è anche quella del monitoraggio tramite il sistema di sorveglianza Passi dei programmi di prevenzione individuale (screening colorettale, mammografico e cervicale).

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Tumore al seno metastatico, Il CHMP raccomanda una nuova approvazione di datopotamab deruxtecan

HealthDesk - Lun, 02/03/2025 - 17:15
Farmaci

Il Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell'Agenzia europea del farmaco (EMA) ha raccomandato datopotamab deruxtecanq (Dato-DXd) per l'approvazione nell'Unione europea per il trattamento di pazienti adulti con cancro della mammella positivo al recettore ormonale (HR), HER2-negativo (IHC 0, IHC 1+ o IHC 2+/ISH-) non resecabile o metastatico, che hanno ricevuto una terapia endocrina e almeno una linea di chemioterapia nella malattia avanzata.

Datopotamab deruxtecan è un anticorpo farmaco-coniugato specificamente ingegnerizzato per essere diretto contro la proteina TROP2. Scoperto da Daiichi Sankyo, è attualmente sviluppato e commercializzato congiuntamente da Daiichi Sankyo e AstraZeneca.

Nel 2022, in Europa, sono stati diagnosticati più di 500 mila casi di tumore al seno. Circa il 70% dei casi è considerato cancro al seno HR positivo, HER2 negativo. L'attuale standard di cura dopo la terapia endocrina è la chemioterapia.

Il parere del CHMP si basa sui risultati dello studio di fase 3 TROPION-Breast01, pubblicati sul Journal of Clinical Oncology. La raccomandazione sarà ora esaminata dalla Commissione europea, che ha l'autorità di concedere le autorizzazioni all'immissione in commercio dei farmaci nell'Ue.

Nello studio TROPION-Breast01, datopotamab deruxtecan ha ridotto significativamente il rischio di progressione della malattia o di morte del 37% rispetto alla chemioterapia scelta dallo sperimentatore in pazienti con carcinoma mammario metastatico HR positivo, HER2 negativo. La sopravvivenza mediana libera da progressione (progression-free survival, PFS) è stata di 6,9 mesi nelle pazienti trattate con datopotamab deruxtecan rispetto ai 4,9 mesi della chemioterapia.

Il farmaco è approvato in Giappone e negli Stati Uniti per il trattamento di pazienti con carcinoma mammario non resecabile o metastatico HR positivo, HER2 negativo, precedentemente trattati con una terapia endocrina e una chemioterapia per la malattia non resecabile o metastatica.

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Aifa Ascolta, un filo diretto con le Associazioni dei pazienti

HealthDesk - Lun, 02/03/2025 - 12:57
Il progetto

Uno sportello d’ascolto dedicato esclusivamente alle Associazioni dei pazienti, con l’obiettivo di valorizzare il contributo che possono dare al miglioramento dell’assistenza farmaceutica.

Questo è, in sintesi, “Aifa Ascolta”, il nuovo progetto promosso dall'Agenzia italiana del farmaco, approvato all’unanimità dal Consiglio di amministrazione dell’Agenzia nell’ultima riunione.

«Aifa Ascolta è un’opportunità di collaborazione virtuosa» assicura il presidente Robert Nisticò. «Grazie a questo progetto – prosegue - l’Agenzia potrà conoscere e approfondire tematiche di particolare delicatezza e complessità per i pazienti e, da parte loro, le Associazioni avranno modo di sensibilizzare l’Agenzia sulla risoluzione di questioni che stanno loro particolarmente a cuore, segnalando eventuali criticità come la carenza di farmaci o la necessità di accelerare i processi di autorizzazione. Teniamo molto a questo progetto che rafforza il ruolo istituzionale dell’Aifa, ma soprattutto assicura la prossimità alle esigenze dei pazienti».

“Aifa Ascolta” è istituita presso l’Ufficio di presidenza dell’Agenzia che, con un successivo Regolamento, definirà le modalità e i criteri di realizzazione del progetto, che non comporterà oneri aggiuntivi. La partecipazione, infatti, è a titolo puramente gratuito. Su iniziativa del presidente dell’Aifa, le istanze ritenute più rilevanti verranno sottoposte all’attenzione del Cda o della Commissione scientifica ed economica. Il nuovo progetto è speculare ad “Aifa Incontra”, il canale diretto di comunicazione con le aziende e gli altri stakeholder, realizzato nel 2023.

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Trovato il legame tra intestino e cervello nell'Alzheimer

HealthDesk - Lun, 02/03/2025 - 12:38
Lo studio ImmagineCnr.png Immagine 3D ottenuta con Nano-XPCT che permette di ottenere immagini dettagliate dell'intestino, distinguendo e quantificando le cellule immunitarie (gialle e blu) presenti (credits: Alessia Cedola Cnr-Nanotec)

Una ricerca guidata dall’Istituto di Nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Nanotec) sede secondaria di Roma, condotta in collaborazione con l'European Synchrotron Radiation Facility (ESRF) di Grenoble e l’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano, ha consentito di osservare dettagliatamente, utilizzando la nano e micro-tomografia a raggi X a contrasto di fase (XPCT), le alterazioni strutturali e morfologiche provocate dalla malattia di Alzheimer nell'intestino di modelli animali.

Questa tecnica ha permesso di ottenere immagini tridimensionali dell'intestino con una risoluzione e una qualità senza precedenti: la nitidezza ottenuta ha rivelato dettagli morfologici mai osservati prima, portando alla luce alterazioni a livello cellulare e strutturale nell'intestino in presenza di Alzheimer.

Lo studio è descritto sulla rivista Science Advances ed evidenzia per la prima volta un legame diretto tra questa malattia neurodegenerativa e specifiche modifiche morfologiche e cellulari a livello intestinale.

«La ricerca si concentra sull'asse intestino-cervello, un sistema di comunicazione bidirezionale tra questi due organi» spiega Alessia Cedola, ricercatrice del Cnr-Nanotec e corresponding author del lavoro. «Recenti studi – aggiunge Francesca Palermo, ricercatrice del Cnr-Nanotec - hanno evidenziato come la disfunzione di questo asse possa essere collegata a disturbi neurologici, incluso l'Alzheimer. Il microbiota intestinale, l'insieme dei microrganismi presenti nell'intestino, gioca un ruolo cruciale in questo processo. La disbiosi, uno squilibrio nella composizione microbica, può portare alla produzione di metaboliti tossici che promuovono l'infiammazione e compromettono le barriere tra intestino e cervello».

Il team di ricerca è ora impegnato ad approfondire ulteriormente lo studio del sistema nervoso enterico e il suo ruolo nella malattia, con l'obiettivo di identificare nuovi bersagli terapeutici.

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Questa settimana su HealthDesk

HealthDesk - Lun, 02/03/2025 - 07:58

 

Rischio Hikikomori tra gli adolescenti italiani: aumentano i “ritirati sociali” Dopo la pandemia è cresciuto il numero di adolescenti che non incontrano più i loro amici nel mondo extrascolastico. Ma in molti si 'disconnettono' anche dalle interazioni virtuali Leggi tutto Alterazioni epigenetiche tra le possibili cause della depressione Studio italiano svela una riduzione anomala della metilazione di un gene coinvolto nella regolazione delle emozioni Leggi tutto Dopo l’uscita degli Usa, al via campagna per sostenere dal basso l’Oms Leggi tutto Lanciata dai dipendenti dell’agenzia punta a raccogliere 1 miliardo di dollari con micro-donazioni Non solo farmaci per le persone con ipertensione arteriosa polmonare Leggi tutto Una malattia rara e subdola, che, però, nell’ultimo ventennio ha potuto godere di importante innovazioni terapeutiche. Ora arrivano anche soluzioni tese a migliorare la qualità di vita dei pazienti Linfoma: dall’innovazione terapeutica benefici per i pazienti e il servizio sanitario Leggi tutto Un bilancio a un anno dalla rimborsabilità di polatuzumab per il trattamento dei pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B Diabete, un percorso in sicurezza per i pazienti con diabete che arrivano in pronto soccorso Leggi tutto Un diabetico su sei finisce in pronto soccorso almeno una volta l'anno. Spesso ciò avviene per un insufficiente controllo della malattia. Una volta dimesso, però, non ha nessun punto di riferimento. Un PDTA punta a definire una presa in carico condivisa tra ospedale e territorio Malattie tropicali neglette: 1,7 miliardi di casi nel mondo. In Italia aumenta la Dengue Leggi tutto In Italia, nel 2024 anno numero record di casi di Dengue: 213 a trasmissione autoctona che vanno ad aggiungersi ai 474 casi d’importazione Altre notizie Arriva a Roma “The Impossible Gym”, una palestra impossibile per raccontare le difficoltà delle persone con obesità #UNIAMOleforze: parte dal ministero della Salute la campagna per la Giornata delle malattie rare Liste d’attesa: in sei mesi approvato solo uno dei sei decreti attuativi previsti dalla legge Tre nuovi amministratori indipendenti nel Cda del Gruppo Chiesi Tumore della prostata metastatico mutato: l'Aifa approva nuova associazione in prima linea


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Rischio Hikikomori tra gli adolescenti italiani: aumentano i “ritirati sociali”

HealthDesk - Gio, 01/30/2025 - 17:40
Il fenomeno Internet_addiction.jpg Sam Wolff from Phoenix, USA, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons Dopo la pandemia è cresciuto il numero di adolescenti che non incontrano più i loro amici nel mondo extrascolastico. Ma in molti si 'disconnettono' anche dalle interazioni virtuali

Il numero di adolescenti italiani che non incontrano più i loro amici nel mondo extrascolastico è sensibilmente aumentato dopo la pandemia.

A questo risultato è giunto uno studio condotto dal gruppo di ricerca “Mutamenti sociali, valutazione e metodi” (MUSA) dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Cnr-Irpps), che ha indagato, attraverso un approccio di tipo socio-psicologico, l’eziologia del ritiro sociale identificando i fattori che scatenano questo comportamento tra gli adolescenti.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature, si è basata sui dati di due indagini condotte dal gruppo nel 2019 e nel 2022 su studenti di scuole pubbliche secondarie di secondo grado e su campioni rappresentativi a livello nazionale composti rispettivamente da 3.273 e 4.288 adolescenti con un’età compresa tra 14 e 19 anni. Sono stati identificati tre profili di adolescenti: le “farfalle sociali", "gli amico-centrici” e i "lupi solitari": proprio all’interno di quest’ultimo profilo, è stato individuato un sottogruppo composto da adolescenti che non incontrano più i loro amici nel mondo extrascolastico, il cui numero è quasi raddoppiato dopo la pandemia, passando dal 5,6% del 2019 al 9,7% del 2022. Si tratta dei “ritirati sociali”.

Precedenti studi dello stesso gruppo di ricerca avevano già chiarito le cause di alcuni effetti negativi del mutamento delle interazioni sociali accelerato della pandemia, «che ha esacerbato la trasposizione delle relazioni umane verso la sfera virtuale» spiega Antonio Tintori, tra gli autori del lavoro assieme a Loredana Cerbara e Giulia Ciancimino del gruppo di ricerca MUSA. «Si è visto in particolare – precisa -che l’iperconnessione, ossia la sovraesposizione ai social media, ha un ruolo primario in questo processo corrosivo dell’interazione e dell’identità adolescenziale e successivamente del benessere psicologico individuale. L’iperconnessione è principale responsabile tanto dell’autoisolamento quanto dell’esplosione delle ideazioni suicidarie giovanili». Lo studio mostra «che non solo dal 2019 al 2022 sono drasticamente aumentati i giovani che si limitano alla sola frequentazione della scuola nella loro vita – aggiunge Tintori - ma anche nel mondo adolescenziale è significativamente diminuita l’abitudine a trascorrere il tempo libero faccia a faccia con gli amici: i “lupi solitari” sono addirittura triplicati in tre anni, passando dal 15 al 39,4%».

Sebbene leggermente più diffuso tra le ragazze, il fenomeno riguarda entrambi i sessi e non presenta sostanziali differenze regionali, di tipologia scolastica frequentata o di background socio-culturale ed economico familiare, come invece si è supposto in passato. Questo starebbe a indicare che il problema sta diventando globale ed endemico.

Ad accomunare questi giovani sono la scarsa qualità delle relazioni sociali (con i genitori, in particolare con la madre), la bassa fiducia nella relazioni, la vittimizzazione da cyberbullismo e bullismo, iperconnessione da social media, scarsa partecipazione alla pratica sportiva extrascolastica e insoddisfazione per il proprio corpo. Questi fattori, alimentati dalle pressioni sociali a conformarsi a standard irraggiungibili, erodono l'autostima favorendo un senso di inadeguatezza nelle interazioni sociali con i coetanei.

«Abbiamo, inoltre, constatato - aggiunge Tintori - che coloro che già versano in uno stato di ritiro sociale presentano un uso più moderato dei social media: ciò apre all’ipotesi che, all’aumentare del tempo di isolamento fisico ci si disconnetta gradualmente anche dalle interazioni virtuali, ossia ci si diriga verso la rinuncia totale alla socialità».

Il fenomeno, assimilabile a quello degli hikikomori del Giappone, secondo gli studiosi potrebbe generare una vera e propria emergenza sociale.

Il gruppo di ricerca MUSA avvierà ora una vasta indagine che coinvolgerà migliaia di adolescenti per cinque anni con lo scopo di rispondere agli interrogativi ancora aperti e chiarire maggiormente i fattori del processo che conduce all’auto-isolamento.

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#UNIAMOleforze: parte dal ministero della Salute la campagna per la Giornata delle malattie rare

HealthDesk - Gio, 01/30/2025 - 14:52
28 febbraio

In Italia le persone con malattia rara sono più di 2 milioni per le circa 8 mila patologie oggi conosciute. Solo per il 5% di queste malattie, però, esiste una cura. Numeri e quindi vite che possono cambiare anche drasticamente con i risultati della ricerca scientifica.

Proprio quello della ricerca è il tema scelto da UNIAMO - Federazione italiana malattie rare per la campagna di sensibilizzazione #UNIAMOleforze. Per tutto il mese di febbraio saranno realizzati più di 60 gli eventi, accomunati dal claim “Molto più di quanto immagini”, che condurranno al 28 del mese, appunto la Giornata delle malattie rare.

L'evento inaugurale si è svolto giovedì 30 gennaio al ministero della Salute a Roma.

«La ricerca – sottolinea la presidente UNIAMO, Annalisa Scopinaro - rappresenta speranza per le persone con malattia rara. Dobbiamo pensare però a tutti i tipi di ricerca, non solo quella fnalizzata alla produzione di farmaci: comportamentale, sulla storia naturale, sull'efficacia delle riabilitazioni e così via sono tutte ugualmente importanti». In ogni caso, aggiunge Scopinaro, è «indispensabile coinvolgere i rappresentanti dei pazienti fin dall'inizio della progettualità di ricerca, qualunque essa sia; farli partecipare alla governance delle sperimentazioni; raccogliere con rigore gli outcome dai pazienti e utilizzarli nei percorsi approvativi e di revisione dei trattamenti. Il miglioramento della qualità di vita non riguarda solo aspetti prettamente clinici. Ricerca è anche disponibilità del dato, pulito e sistematizzato. Durante la Campagna #UNIAMOleforze approfondiremo questi concetti dando la nostra prospettiva di comunità».

Nel corso dell’evento è stato anche presentato il video ufficiale della campagna di UNIAMO, prodotto da Revok e Poti Pictures, divisione cinematografica della Cooperativa Il Cenacolo. «Con la provocazione di mettere all’asta Tiziano - spiega la Presidente UNIAMO -vogliamo far passare il messaggio che è ora che si riconosca il valore intrinseco di ogni persona. La persona non è la sua disabilità o malattia; a prescindere dalle proprie condizioni ognuno deve avere il diritto e gli strumenti per costruire il proprio percorso di vita».

Gli eventi in calendario e tutte le informazioni per partecipare alla campagna per la Giornata delle malattie rare 2025 sono reperibili sul sito uniamo.org

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Liste d’attesa: in sei mesi approvato solo uno dei sei decreti attuativi previsti dalla legge

HealthDesk - Mer, 01/29/2025 - 19:47
Gimbe

A sei mesi dalla conversione in legge (107/2024) del decreto 73/2024 sulle liste di attesa, si registra uno stallo «che paralizza l’attuazione delle misure previste dalla norma, ritardando un provvedimento cruciale per risolvere i problemi dei cittadini».

A esprime «preoccupazione» per questo ritardo è la Fondazione Gimbe, che ricorda come la legge preveda almeno sei decreti attuativi che sono «il motore delle riforme». Tuttavia, al 29 gennaio 2025, secondo quanto riportato dal Dipartimento per il Programma di Governo, risulta approvato un solo decreto attuativo. Degli altri, tre sono già scaduti (due da quasi quattro mesi e l’altro da quasi cinque mesi) e per due non è stata definita alcuna scadenza.

Cosicchè, sostiene la Fondazione Gimbe, «i potenziali benefici previsti dal Dl Liste di attesa rimangono un lontano miraggio»

«Le interminabili liste d’attesa – sostiene il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta – sono il sintomo di un indebolimento tecnologico, organizzativo e soprattutto professionale del Ssn. Affrontare questa criticità richiede consistenti investimenti sul personale sanitario e coraggiose riforme organizzative. Concentrarsi unicamente sul “sintomo”, i lunghi tempi di attesa, piuttosto che risolvere “le cause della malattia” è un approccio semplicistico che guarda al dito invece che alla luna.

In questo senso, secondo Cartabellotta, «l'ambiziosa complessità» della legge, «sommata al giogo amministrativo di sei decreti attuativi, allunga le tempistiche perché si scontra con numerosi ostacoli: attriti istituzionali a livello centrale, diseguaglianze regionali nella completezza e trasparenza dei dati, modalità poco trasparenti nella gestione delle agende di prenotazione sia del pubblico che del privato convenzionato, impossibilità di assumere personale sanitario per gli stringenti vincoli economici imposti dal Mef». Inoltre, prosegue Cartabellotta, «il tentativo di centralizzare dati, informazioni e decisioni, che da quasi 25 anni vedono le Regioni nel duplice ruolo di controllati e controllori, aggiunge ulteriori complessità non facilmente risolvibili. Questi fattori rallentano la pubblicazione dei decreti attuativi, rendono impossibile definire tempistiche certe e, da ultimo, allontanano i benefici attesi per milioni di cittadini e pazienti. In definitiva – conclude - le riforme annunciate restano un esercizio retorico se non tradotte in azioni concrete, mentre il raggiungimento di risultati parziali è solo una magra consolazione politica, priva di reali benefici per la società».

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Tre nuovi amministratori indipendenti nel Cda del Gruppo Chiesi

HealthDesk - Mer, 01/29/2025 - 19:46
Aziende

Il gruppo Chiesi ha annunciato la nomina di tre nuovi Amministratori non esecutivi indipendenti (NED - Non Executive Director) nel Consiglio di amministrazione di Chiesi Farmaceutici Spa: Roch Doliveux, Paolo Pucci e Daphne Quimi che si sono aggiunti agli attuali cinque componenti di Chiesi, con nomina effettiva dal 28 gennaio 2025.

Roch Doliveux è stato CEO di UCB per dieci anni. Presiede i Consigli di amministrazione di Pierre Fabre SA e Oxford Biomedica.

Paolo Pucci è stato CEO di ArQule, guidandola fino alla sua acquisizione da parte di Merck & Co. nel 2020. Fa parte dei Consigli di amministrazione di Replimune Group, Merus e West Pharmaceutical Services.

Daphne Quimi h ricoperto ruoli di rilievo in Johnson & Johnson, Bristol-Myers Squibb e Avon. Siede dei Consigli di amministrazione di Amylyx Pharmaceuticals e Century Therapeutics.

«La loro esperienza rafforzerà la governance di Chiesi – commenta il presidente del Gruppo, Alessandro Chiesi.- e supporterà le nostre ambizioni globali. In linea con la visione della nostra famiglia, questa scelta riflette ulteriormente il nostro impegno a migliorare costantemente e ci permetterà di concentrarci ancora meglio sui driver strategici».

«Sono certo che Roch, Paolo e Daphne saranno addizioni di altissimo valore per il Consiglio di Amministrazione di Chiesi»,

Il CEO Giuseppe Accogli sottolinea come «tutti e tre portano un'ampia esperienza internazionale e competenze diversificate, che miglioreranno la nostra competitività. Le loro nuove prospettive, unitamente alle preziose competenze, arricchiranno le discussioni del Consiglio e rafforzeranno il nostro modello di governance, aiutandoci a liberare appieno il nostro potenziale per crescere e svilupparci come Gruppo».

Con l'inclusione dei nuovi membri, Chiesi ha istituito tre Comitati interni pensati per ottimizzare i processi decisionali: Governance, nomine e compensi; Audit e rischi; Strategia, sostenibilità e innovazione

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Alterazioni epigenetiche tra le possibili cause della depressione

HealthDesk - Mer, 01/29/2025 - 19:11
Lo studio Depression_-_a_lonely_alcoholic_in_fear_covers_his_face_with_his_hands.jpg Immagine: Attribution is to be given to Rehab Center Parus. When using on the Web, a link to http://rebcenter-moscow.ru is appreciated., CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons Studio italiano svela una riduzione anomala della metilazione di un gene coinvolto nella regolazione delle emozioni

La depressione potrebbe essere connessa alla riduzione anomala della metilazione, un processo di modulazione dell’attività dei geni senza cambiare la sequenza del DNA, in alcuni geni coinvolti nella regolazione delle emozioni. È quanto hanno scoperto ricercatori del del laboratorio di Genetica Medica del CDI Centro Diagnostico Italiano, del Department of Brain and behavioral Sciences dell’Università degli Studi di Pavia e dell’Unità di Bioinformatica e Genomica statistica di Auxologico IRCCS in uno studio pubblicato sulla rivista Biomedicines

«Un numero crescente di studi evidenzia una correlazione tra ipometilazione e depressione. Sebbene le evidenze scientifiche siano ancora in fase di approfondimento, questo legame rappresenta una direzione promettente per comprendere meglio una patologia altamente invalidante e multifattoriale», commenta Lucy Costantino, responsabile del Laboratorio di Genetica medica presso il Centro Diagnostico Italiano. 

Il team di ricercatori ha analizzato sei database pubblici della Gene Expression Omnibus, esaminando campioni di sangue e di tessuto cerebrale di persone affette da depressione e sane, per un totale di oltre 1.700 persone. Il gruppo non ha rilevato differenze significative su larga scala, ma concentrandosi su singole regioni di Dna ha scoperto una consistente ipometilazione, cioè una riduzione di questo meccanismo vicino al gene SHF, già di interesse per la neurologia,  in particolare nella malattia di Alzheimer. La proteina SHF, codificata dal gene, è infatti espressa nel cervello, ed è coinvolta nella formazione, tra gli altri, di ippocampo, amigdala, midollo spinale e cervelletto, per lo più legati alla regolazione emotiva e ai processi neurobiologici.

«Questo studio approfondisce come l’epigenetica costituisca un ponte tra genetica e ambiente, una prospettiva che ci permette di esplorare territori ancora in gran parte inesplorati. Rivela come fattori esterni possano influenzare l’espressione dei geni senza modificare la sequenza del DNA, aprendo nuove strade per comprendere la patofisiologia di malattie complesse come la depressione», aggiunge Davide Gentilini, direttore dell’Unità di bioinformatica e statistica genetica presso l’Istituto Auxologico Italiano e responsabile dell’Unità di statistica medica presso il Dipartimento di scienze del sistema nervoso e del comportamento dell’Università di Pavia.

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Dopo l’uscita degli Usa, al via campagna per sostenere dal basso l’Oms

HealthDesk - Mer, 01/29/2025 - 17:01
Salute globale auto.jpeg Lanciata dai dipendenti dell’agenzia punta a raccogliere 1 miliardo di dollari con micro-donazioni

Raccogliere 1 miliardo di dollari con mini-donazioni promosse dai cittadini di tutto il mondo ancora convinti che l’Oms è importante per difendere la salute di tutti noi. È la sfida lanciata con ‘One Dollar, One World’, una campagna promossa dai dipendenti dell’Oms e proposta da Tania Cernuschi, a capo dei programmi di immunizzazione dell’agenzia.

«Ieri, un membro dello staff dell'Oms si è avvicinato a me dicendo che vorrebbe lanciare il suo appello per attirare sostegno e finanziamenti. Ero eccitata e allo stesso tempo cauta per l’ambiziosità dell’obiettivo», afferma Sandra Sorial direttrice delle campagne della Oms Foundation.

In poche ore la proposta è diventata realtà e ora è possibile donare online.

«Sono all'Oms per oltre 10 anni. Come i miei colleghi, ho lavorato sodo giorno e notte per combattere il Covid e lavoro per l'accesso universale all'assistenza sanitaria. Questo posto mi frustra ogni giorno. Dovrei andare via o mi sforzarmi di più?», afferma Cernuschi nella landing page della campagna.

« Se ognuno di noi, credendo che non sia perfetta ma che sia tutto ciò che abbiamo, desse solo 1 dollaro raccoglieremmo 1 miliardo di dollari per sostenere la missione fondamentale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità di proteggere la salute globale, in particolare in tempi di incertezza e finanziamenti ridotti».

È possibile donare all'indirizzo https://whofoundation.donorsupport.co/page/FUNEKRBXNHP

Categorie: Medicina integrata

Non solo farmaci per le persone con ipertensione arteriosa polmonare

HealthDesk - Mar, 01/28/2025 - 17:52
Malattie rare 26443673001_758b4d74f1_o.jpg Immagine: PHoTowalX / Flickr Una malattia rara e subdola, che, però, nell’ultimo ventennio ha potuto godere di importante innovazioni terapeutiche. Ora arrivano anche soluzioni tese a migliorare la qualità di vita dei pazienti

È subdola, perché i suoi sintomi si confondono con quelli di malattie molto più comuni. È grave e può essere molto complessa da gestire. Tuttavia, l’ipertensione arteriosa polmonare è una di quelle patologie rare in cui in pochi anni lo scenario terapeutico è profondamente mutato e a disposizione dei pazienti sono arrivati farmaci capaci di cambiare drasticamente il decorso della patologia. Ora, però, c’è un’ulteriore novità: a fianco delle terapie stanno maturando servizi a supporto dei pazienti che li aiutino nella gestione della malattia, li supportino in caso di emergenze relative ai trattamenti e ne rendano meno gravosa la gestione.

L’ultimo di questi servizi è stato presentato oggi a Roma: si tratta della possibilità di ricevere a domicilio, mediante un servizio di “home delivery”, la terapia. Un aspetto non scontato, dal momento che si tratta di un delicato farmaco che viene distribuito solo dalle farmacie ospedaliere.

Una malattia difficile

L’ipertensione arteriosa polmonare è una malattia rara, che colpisce circa 15-50 persone per milione di abitanti. Oggi i pazienti con una diagnosi accertata in Italia sono circa 3.000, con una maggiore incidenza nella popolazione tra i 30 e i 60 anni.

È una malattia che interessa i vasi sanguigni di piccolo calibro dei polmoni. Si tratta di strutture che sostengono un equilibrio molto delicato, in cui la pressione sanguigna è circa sei volte più bassa rispetto a quella del resto del corpo. Quando si verifica aumento della pressione nel circolo polmonare, il risultato è un sovraccarico per il cuore, in particolare per il ventricolo destro che porta, se non trattato adeguatamente, a insufficienza cardiaca e a morte prematura.

Nonostante il suo impatto nel lungo termine sia pesante, l’ipertensione arteriosa polmonare si presenta con sintomi che all’inizio, spesso, non preoccupano il paziente. Più spesso vengono confusi anche dai medici con quelli caratteristici di malattie molto più comuni, a carico sia del sistema cardiovascolare sia respiratorio: spossatezza, affanno, svenimenti.

Il risultato è che molto spesso i pazienti scontano un pesante ritardo diagnostico, con un serio peggioramento della loro condizione.

Trattamento possibile

Il riconoscimento precoce della patologia è invece cruciale, soprattutto da quando sono disponibili farmaci per trattarla. Nell’ultimo ventennio, infatti, lo scenario terapeutico è profondamente cambiato. Dalla quasi totale assenza di terapie si è passati alla disponibilità di una decina di farmaci, spiega Carmine Dario Vizza, professore di Cardiologia all'Università di Roma 'La Sapienza' e direttore della Cardiologia presso l'Azienda ospedaliero-universitaria Policlinico Umberto I.

«I primi farmaci introdotti in questo campo - e che restano ancora tra i più efficaci - sono i prostanoidi, farmaci analoghi della prostaciclina, un potente vasodilatatore presente nel nostro organismo», spiega Vizza.

Questi farmaci funzionano molto bene, ma tradizionalmente presentano un problema: vengono degradati molto in fretta, quindi necessitano di una somministrazione continua, 24 ore su 24, in genere endovena. Ciò comporta, non solo la necessità che il paziente sia costantemente allacciato alla pompa di infusione, ma anche il frequente rimpiazzo del medicinale nell’infusore.

Nel tempo, sono stati introdotti prostanoidi di nuova generazione capaci di rimanere in circolo più a lungo. L’ultimo di questi - treprostinil - per esempio, ha una migliorata stabilità che consente l’utilizzo nella micro-pompa per infusione sottocutanea, da 3 giorni fino a 14 giorni.

Inoltre, sono giunti sul mercato farmaci con meccanismi di azione diversi, che possono anche agire in maniera sinergica ai prostanoidi. Così oggi, si dispone di regimi terapeutici che comprendono più medicinali e che hanno consentito ai pazienti di guadagnare in qualità e aspettativa di vita.

«Quando abbiamo iniziato a trattare i pazienti con ipertensione arteriosa polmonare, la sopravvivenza mediana era di circa 2 anni e mezzo», dice Vizza. «Oggi, con una terapia ‘aggressiva’, la sopravvivenza mediana è sui 7 anni, ma probabilmente è più lunga». L’utilizzo di questo nuovo approccio è infatti troppo recente per avere una misura della sua effettiva efficacia nel lungo periodo. «Ma abbiamo pazienti che sono in trattamento da 20-25 anni e che stanno bene. È vero che sono una minoranza - 5-10% - però 20 anni fa era una cosa assolutamente impossibile da pensare», conclude Vizza.

Gestire la complessità

Se gli ultimi 20 anni hanno rappresentato una svolta nelle cure dell’ipertensione arteriosa polmonare, ci sono due aspetti che rimangono critici: il ritardo diagnostico e la complessità del trattamento. «Non si tratta soltanto di pillole da prendere per bocca, ma comprende anche farmaci che si somministrano in maniera piuttosto complessa: con infusione continua in vena o sottocute tramite pompe di infusione. Inoltre comporta la necessità di cambiare gli aghi di infusione, ricaricare la pompa di infusione e poi una cura accurata del sito di infusione per evitare problemi», spiega Stefano Ghio, presidente dell’Italian Pulmonary Hypertension Network (iPHnet).

In questo scenario medici e aziende stanno fornendo risposte sempre più articolate.

L’Italian Pulmonary Hypertension Network è una di queste. Tra i fondatori del network ci sono Vizza e Ghio e il suo obiettivo è intensificare e diffondere la ricerca scientifica sull’ipertensione arteriosa polmonare, condividere protocolli diagnostici e clinici tra i vari centri, ma anche creare una maggiore consapevolezza sulla patologia al fine di anticipare la diagnosi.

Intanto, alcune aziende forniscono ai pazienti servizi che affiancano i farmaci e che sono tesi a semplificare la gestione della malattia e migliorare la qualità di vita. Nel caso di treprostinil, i malati hanno a disposizione un’assistenza infermieristica h24, 7 giorni su 7, per far fronte a tutti i problemi con la terapia. «C’è un numero di telefono a cui rispondono sanitari che capiscono come funzionano gli ausili, li sanno adoperare e, se necessario, possono andare a casa a risolvere problemi. Quindi il malato si trova in una cornice di sicurezza», commenta Vittorio Vivenzio, presidente dell’Associazione Malati Ipertensione Polmonare (AMIP).

In questo contesto l’ultima novità è un servizio di consegna a domicilio che che risparmia al paziente la necessità di rivolgersi alla farmacia ospedaliera. «Sembra una cosa banale, ma per un malato di ipertensione polmonare non essere costretto a fare il giro delle sette chiese, con la sua condizione, è una grande cosa».

«È un grande passo avanti poter rispondere alle necessità dei pazienti e dei loro caregiver di avere soluzioni terapeutiche personalizzate che permettono di alleggerire l’impatto psicologico e il carico organizzativo derivante dalla gestione della malattia», aggiunge la presidente dell’Associazione Italiana Ipertensione Polmonare (AIPI) Pisana Ferrari, che ha ricevuto una diagnosi di ipertensione arteriosa polmonare a 28 anni, dopo un lungo tempo passato a sottovalutare l’affanno che veniva tutte le volte che saliva le scale.

Orgogliosa l’azienda che ha realizzato il progetto. «Quanto presentato è il risultato di un lavoro che oggi, con grande soddisfazione, possiamo mettere a disposizione dei pazienti e dei loro familiari», dice Emanuele Oro, country manager di AOP Health Italy. «Si tratta di un’ulteriore tappa in un percorso che portiamo avanti nel tempo, perchè da sempre siamo impegnati per mettere a disposizione dei pazienti, oltre ai nostri farmaci prodotti in Europa secondo i più elevati standard qualitativi, anche servizi innovativi per la cura e l’assistenza lungo tutto il percorso terapeutico con un approccio integrato alla cura», conclude Oro.

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Linfoma: dall’innovazione terapeutica benefici per i pazienti e il servizio sanitario

HealthDesk - Mar, 01/28/2025 - 15:25
Farmaci IMG_2233.jpg Un bilancio a un anno dalla rimborsabilità di polatuzumab per il trattamento dei pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B

I pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) in cura con polatuzumab hanno meno probabilità di ricevere successive linee di trattamento, con un risparmio medio stimato in costi sanitari associati di circa 12.300 euro per ciascun paziente nel primo anno.

A questa cifra è arrivato uno studio condotto da AdRes, Health Economics & Outcome Research di Torino, a un anno dalla rimborsabilità della terapia nel nostro Paese. Più in particolare dall’analisi, presentata al Congresso ISPOR dello scorso novembre a Barcellona, emerge la minore probabilità, osservata nel trial registrativo, di ricorrere alle linee successive alla prima nei pazienti trattati con polatuzumab in associazione a rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina e prednisone (Pola-RCHP) rispetto a quelli trattati con R-CHOP, insieme alla riduzione del numero di terapie nel paziente che progredisce (2,26 contro 3,13, rispettivamente).

Dei vantaggi derivati dall’introduzione di questo nuovo approccio terapeutico, si è parlato martedì 28 gennaio in un incontro con i media a Milano.

Il DLBCL è una forma aggressiva e complessa di malattia, la variante più diffusa di linfoma non Hodgkin in Italia, con circa il 30% delle nuove diagnosi: ogni anno se ne contano oltre 500 mila a livello mondiale e circa 13.200 in Italia.

Polatuzumab vedotin è un coniugato anticorpo-farmaco (ADC, antibody-drug conjugate) anti-CD79b first-in-class. A dicembre 2023, in associazione a rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina e prednisone è stata la prima terapia approvata e rimborsata dal Servizio sanitario nazionale italiano negli ultimi venti anni per il trattamento in prima linea di questa malattia. 

L'approvazione da parte dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) «sta rappresentando e rappresenterà una svolta significativa per i pazienti italiani affetti da linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL)» ed è ormai «lo standard di cura per i pazienti di prima linea» sottolinea Pier Luigi Zinzani, direttore dell'Istituto di Ematologia "L. e A. Seràgnoli" dell'Università di Bologna.

Il follow up a cinque anni dello studio Polarix, presentato nell’ultimo Congresso degli ematologi americani (ASH), ha confermato il beneficio dell’anticorpo farmaco-coniugato nella riduzione del rischio di progressione della malattia (Progression Free Survival) del 23% rispetto al trattamento R-CHOP. I pazienti trattati con polatuzumab ottengono anche migliori risultati nella gestione della malattia.

«La ricerca ci rende continuamente partecipi di un momento che nella cura dei tumori del sangue definirei magico – commenta Davide Petruzzelli, presidente dell'Associazione La Lampada di Aladino –  aumentando l’aspettativa e la qualità della vita, per alcune patologie in modo significativo, a cui non eravamo abituati fino a poco tempo fa. Cronicizzazione e guarigione sono parole finalmente sdoganate nel lessico dell’ematologia oncologica. In questo scenario, considerando che stiamo ridisegnando l’intero nostro sistema sanitario, è necessario da un lato offrire cure sempre più di prossimità per migliorare la qualità del tempo di chi cura e di chi viene curato, dall’altro misurare con attenzione l’impatto del valore dell’innovazione – aggiunge - in un’ottica di sostenibilità quantomai necessaria per continuare a garantire cure a tutti, secondo l’universalismo che finora siamo riusciti a garantire».

Adottare un approccio basato sul valore complessivo delle tecnologie sanitarie «significa investire in soluzioni innovative ed efficaci che apportano benefici concreti all’intero sistema Paese» rileva Andrea Marcellusi, presidente dell’ISPOR Italy Chapter Roma e docente al Dipartimento di Scienze farmaceutiche dell’Università di Milano. «In una prospettiva di programmazione sanitaria – prosegue - l’impiego di tecnologie ad alto valore come Pola-R-CHP consente non solo di migliorare significativamente la qualità di vita dei pazienti, ma anche di ridurre i trattamenti per linee successive, generando un risparmio di oltre 60 milioni di euro in tre anni per il Servizio sanitario nazionale».

«Siamo consapevoli – assicura infine Anna Maria Porrini, direttrice medica di Roche Italia – che oggi più che in passato e ancora di più nel prossimo futuro, la sfida per la ricerca farmaceutica sia quella di riuscire a creare valore con soluzioni terapeutiche capaci di rispondere a bisogni clinici insoddisfatti e fare la differenza nelle vite dei pazienti, garantendo, al tempo stesso, che l’accesso all’innovazione possa essere equo e sostenibile per il Sistema Salute e per la collettività».

 

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Diabete, un percorso in sicurezza per i pazienti con diabete che arrivano in pronto soccorso

HealthDesk - Mar, 01/28/2025 - 14:13
Cronicità 0Y1A1268 copia.JPG Immagine: @HealthDesk Un diabetico su sei finisce in pronto soccorso almeno una volta l'anno. Spesso ciò avviene per un insufficiente controllo della malattia. Una volta dimesso, però, non ha nessun punto di riferimento. Un PDTA punta a definire una presa in carico condivisa tra ospedale e territorio

Le persone con diabete arrivano in pronto soccorso con una probabilità fino a 7 volte più alta rispetto agli altri. A uno su sei succede almeno una volta all’anno.  Le ragioni cui ciò avviene, sono diverse, ma il più delle volte sono riconducibili a una inadeguata gestione farmacologica o da una insufficiente attività di monitoraggio dei livelli glicemici. Usciti dal pronto soccorso, però, spesso non trovano nessun punto di riferimento e rientrano in circolo vizioso che li porta nuovamente a perdere il controllo della malattia. 

Nasce da queste ragioni l’iniziativa della rivista di politica sanitaria Italian Health Policy Brief (IHPB) che ha promosso, sotto l’egida dell’Intergruppo Parlamentare Diabete, Obesità e Stili di Vita e con la partecipazione delle società scientifiche, oltre che delle associazioni pazienti, un Dialogue Meeting con l’obiettivo di formulare un primo documento-proposta per un percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale (PTDA) a favore della persona con diabete in pronto soccorso.

«Cerchiamo di definire un percorso per le persone con diabete che accede al Pronto Soccorso», spiega Lina Delle Monache, presidente di FederDiabete Lazio. «Le parole d’ordine sono: dimissioni pianificate, ottimizzazione delle procedure, creazione di percorsi e un network tra i Dea con il territorio, con i medici di medicina generale, con le case di comunità perché le persone con diabete che vengono dimesse spesso si trovano da sole e, se non accompagnati attraverso un percorso nella gestione di una malattia che non conoscono, generalmente finiscono di nuovo in pronto soccorso”, aggiunge. 

Il documento, frutto dei contributi di un comitato di alto profilo scientifico ed istituzionale, oltre a porre l’accento sulla mancanza di una strutturata continuità assistenziale tra ospedale e territorio, raccomanda di concretizzare una gestione integrata dei dati clinici che possa essere disponibile ai diversi operatori sanitari che gravitano attorno alla persona con diabete, lamentando ancora un inadeguato utilizzo dell’innovazione tecnologica che oggi consentirebbe una più agevole gestione della patologia. 

«Rafforzando una organica presa in carico del paziente cronico e diabetico sul territorio si contribuisce ad alleggerire la pressione sui pronto soccorso che sono un caposaldo centrale del nostro sistema sanitario nel quale gli operatori devono prestare la propria opera con un minor livello di affanno», ha commentato Federico Serra, capo della segreteria tecnica dell’Intergruppo parlamentare Obesità e Diabete. «Inoltre va ricordato che l’accesso al pronto soccorso nelle aree interne marginali è particolarmente difficile e che l’ausilio dell’innovazione tecnologica potrebbe offrire un valido supporto per la prevenzione di episodi acuti».

PDTA dedicati a diabete, su base regionale o aziendale già asistono. Tuttavia, le persone con diabete continuano ad accedere ai pronto soccorso a causa del mancato controllo glicemico e accade frequentemente che siano gli stessi servizi di emergenza a diagnosticare per primo il diabete. 

«Si pone la necessità che si metta a punto un nuovo PTDA specifico che prenda le mosse da un’adeguata formazione del personale ospedaliero/territoriale, e che preveda – prima della sua dimissione - una organica azione informativa sul paziente oltre che sull’eventuale caregiver e che porti ad una reale e successiva presa in carico della persona con diabete sia in età adulta che in età evolutiva,(in particolare diabete di tipo 1) in tutte le fasi di necessaria assistenza», afferma Paola Pisanti, coordinatrice del comitato che ha realizzato il documento-proposta. «Un insieme di elementi informativi che deve trasferire maggior consapevolezza della malattia, focus adeguato circa l’importanza dell’aderenza terapeutica che oggi può essere resa più efficiente anche con l’utilizzo dei dispositivi autogestiti di monitoraggio continuo della glicemia».

Il pronto soccorso è quindi di fatto un nodo strategico nella gestione della patologia diabetica e un polo di acquisizione di dati e informazioni in grado di offrire importanti elementi di valutazione: dal numero assoluto dei pazienti che vi accedono per la mancata presa in carico da parte della rete territoriale diabetologica alla valutazione della ripetitività prescrittiva dei medici di medicina generale/ pediatri di libera scelta  o al loro livello di aggiornamento in materia o, ancora,  al loro mancato engagement del paziente; dagli accessi determinati dal piede diabetico - da considerarsi come indicatore indiretto di inadeguatezza del PDTA adottato e della scarsa diffusione della medicina di iniziativa - alla percentuale di utilizzo dei dispositivi di monitoraggio in continuo dei livelli glicemici; dallo stato di aggiornamento della medicina di base come referente per gli specialisti alla sua capacità di essere il primo step in grado di valutare la capacità del paziente di comprendere e utilizzare le nuove tecnologie per la misurazione dei livelli glicemici.

«Se si considera che la spesa sanitaria annuale per la patologia diabetica – parliamo solo dei costi diretti - è di circa 10 miliardi di euro, il 53 per cento dei quali è assorbito dalla spesa ospedaliera, si comprende bene come sia fondamentale un approccio organizzativo più efficace ed efficiente che passi da una logica ancora prevalente di sanità di attesa ad una più incisiva logica  di sanità di iniziativa, caratterizzata anche da attività di prevenzione e formazione sui pazienti e sui caregivers», conclude Andrea Lenzi, Emerito di Endocrinologia all’Università La Sapienza di Roma e Presidente del Comitato di Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio che ha presieduto il comitato che ha redatto il PDTA.

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Tumore della prostata metastatico mutato: l'Aifa approva nuova associazione in prima linea

HealthDesk - Mar, 01/28/2025 - 12:43
Farmaci

L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha approvato la rimborsabilità di olaparib, terapia orale di AstraZeneca e MSD, in associazione con abiraterone e prednisone o prednisolone, per il trattamento di prima linea di pazienti con carcinoma della prostata metastatico e resistente alla castrazione (mCRPC) e con mutazioni BRCA 1/2 (germinali e/o somatiche), in cui la chemioterapia non è clinicamente indicata. Nello studio PROpel, in questa popolazione di pazienti, olaparib, terapia mirata capostipite della classe dei PARP inibitori, in associazione con una terapia ormonale di nuova generazione (abiraterone), ha ridotto del 71% il rischio di morte.

Le nuove prospettive aperte dall’approvazione dell'Aifa sono state approfondite martedì 28 gennaio in una conferenza stampa a Milano.

Nel 2024, in Italia, sono stati stimati oltre 40 mila nuovi casi di carcinoma prostatico, il più frequente negli uomini.

Questa forma di cancro non ha sintomi specifici e quelli riscontrabili sono gli stessi di altre patologie che comportano l’ingrossamento della prostata, come per esempio indebolimento del getto delle urine, frequente necessità di urinare, dolore alla minzione e presenza di sangue nelle urine o nel liquido seminale. I sintomi compaiono solo se il tumore è abbastanza voluminoso da esercitare pressione sull’uretra, ma sono difficilmente riconoscibili quando è di piccole dimensioni. «Va ricordato che in circa il 10% dei pazienti – sottolinea Orazio Caffo, direttore dell'Oncologia all’Ospedale Santa Chiara di Trento - la malattia si sviluppa su base ereditaria. La presenza di mutazioni nei geni di riparazione del Dna, in particolare di BRCA1 e BRCA2, espone infatti gli uomini a un rischio maggiore di sviluppare il carcinoma prostatico. Queste mutazioni aumentano la probabilità di insorgenza anche dei tumori della mammella, dell’ovaio e del pancreas».

La sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi raggiunge il 91%. «Un dato notevole, se si considera l’età avanzata dei pazienti e la frequente presenza di altre patologie croniche» dice Giuseppe Procopio, direttore del Programma Prostata e dell’Oncologia medica genitourinaria all‘Istituto dei tumori di Milano. I sintomi, però, sono spesso sottovalutati, portando alla scoperta della malattia in fase avanzata. «Circa il 10-20% degli uomini con carcinoma della prostata avanzato sviluppa la forma resistente alla castrazione (CRPC) entro cinque anni – precisa Procopio - e oltre l’80% presenta metastasi alla diagnosi di CRPC. Questa condizione, che fino a oggi ha presentato come standard di cura la terapia ormonale o la chemioterapia, resta associata a un tasso di mortalità significativo e a una sopravvivenza limitata».

«Siamo di fronte a una grande risorsa terapeutica – sostiene Caffo - che cambia la pratica clinica in prima linea e che l’oncologo, da oggi, ha a disposizione per migliorare il controllo della malattia nei pazienti con mutazione dei geni BRCA».

Il test BRCA è «uno step fondamentale nella decisione del trattamento del carcinoma prostatico metastatico – interviene Procopio - e dovrebbe costituire un esame da eseguire tempestivamente in tutti i pazienti con malattia avanzata. Non solo. L’identificazione di varianti nei geni BRCA in un uomo con carcinoma prostatico – spiega - permette di intraprendere un percorso di consulenza oncogenetica nei familiari per identificare i portatori ad alto rischio, a cui è possibile proporre programmi di diagnosi precoce o strategie per ridurre la probabilità di sviluppare il cancro».

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Malattie tropicali neglette: 1,7 miliardi di casi nel mondo. In Italia aumenta la Dengue

HealthDesk - Mar, 01/28/2025 - 12:31
Malattie infettive Aedes_aegypti_CDC-Gathany.jpg Immagine: James Gathany, Public domain, da Wikimedia Commons In Italia, nel 2024 anno numero record di casi di Dengue: 213 a trasmissione autoctona che vanno ad aggiungersi ai 474 casi d’importazione

Secondo il rapporto del World Economic Forum sugli effetti del cambiamento climatico sulla salute umana, entro il 2050 a causa dell’aumento delle temperature globali potrebbero essere oltre mezzo milione in più le persone esposte a malattie trasmesse da insetti come Dengue, malaria e Zika. 

Già oggi, però, quelle che vengono classificate come malattie tropicali neglette (NTDs) colpiscono circa 1,7 miliardi di persone nel mondo. Si tratta di un gruppo eterogeneo di patologie, molte delle quali infettive, causate da virus, funghi, batteri e tossine, accomunate dall’essere diffuse nelle zone povere e marginalizzate del mondo, specialmente tropicali e subtropicali, con scarse risorse.

I massimi esperti internazionali faranno il punto su queste malattie a Verona il 30 gennaio in un convegno organizzato dall’Irccs di Negrar.

«Malgrado le difficoltà di finanziamenti, soprattutto a seguito dell'epidemia di Covid-19 che in molti Paesi ha causato l'interruzione dei programmi di controllo, gli sforzi internazionali hanno permesso di eliminare alcune di queste malattie e di ridurne la prevalenza» sottolinea Federico Gobbi, direttore del Dipartimento di Malattie infettive e tropicali dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) e professore di Malattie infettive all’Università di Brescia.

Per contrastare ed eliminare le NTDs, ricorda Denise Mupfasoni del Dipartimento NTDs dell’Oms, «l’Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato una road map per le malattie tropicali dimenticate per il decennio 2021-2030 nella quale sono definiti gli obiettivi globali per prevenire, controllare ed eradicare queste patologie».

A oggi, trascorsi quattro anni dall’introduzione del Piano dell'Oms, i risultati raggiunti, osserva Dora Buonfrate, direttrice del Centro collaboratore dell’Oms per la strongiloidosi e le altre malattie tropicali neglette, «sono confortanti, infatti si è raggiunta l’eliminazione di almeno una malattia tropicale negletta in 54 Paesi tra i cento previsti dalla road map e sono oltre 600 milioni le persone che non avranno più necessità di cure, con un significativo risparmio in termini di risorse economiche e sanitarie». Tuttavia, avverte, «siamo ancora lontani dal target ottimale fissato dalla road map dell’Oms, pari al 90% di riduzione» e pertanto, aggiunge Gobbi, c’è ancora «molto lavoro da fare per diminuire le infezioni e la circolazione delle malattie e per ridurre il pericolo a livello globale».

In Italia, 2024 anno record di casi di Dengue

La scorsa estate ha segnato il record nel nostro Paese di casi di Dengue a trasmissione autoctona: 213 che vanno ad aggiungersi ai 474 casi d’importazione.

La Dengue è una malattia infettiva, non trasmissibile da uomo a uomo, ma attraverso la zanzara tigre, che è presente in Italia dal 1990. Asintomatica in più del 50% dei casi, può manifestarsi con sintomi simili a quelli dell’influenza, febbre alta, mal di testa, dolori dietro agli occhi e soprattutto forti dolori ai muscoli, caratteristica per cui la Dengue è conosciuta come “febbre spaccaossa”. In una minima percentuale può evolversi in febbre emorragica con perdita di sangue da diversi organi e può avere esiti anche letali. Non esiste terapia farmacologica specifica e il vaccino, introdotto in commercio nel 2023, è indicato solo per i viaggiatori che si recano spesso in zone endemiche o dove è presente un’epidemia.

«In Italia nei prossimi anni assisteremo molto probabilmente a epidemie sempre più importanti di Dengue – prevede Gobbi - complice l’innalzamento della temperatura che favorisce la sopravvivenza e la proliferazione della zanzara vettore della malattia. Ma dobbiamo prepararci a epidemie autoctone anche di chikungunya e di altre malattie tropicali neglette». 

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Mobilitazione dei medici a sostegno della professione e del Servizio sanitario nazionale. A maggio manifestazione a Roma

HealthDesk - Dom, 01/26/2025 - 18:10
Sindacati

Svolgere serenamente il proprio lavoro di medici e, come cittadini, continuare ad avere «un servizio di cure pubblico, umano, condiviso e universale, come sancisce la nostra Carta costituzionale». Un duplice obiettivo, questo, per raggiungere il quale sono «essenziali» la definizione di atto medico; la revisione della responsabilità medica; rendere attrattiva e riqualificare la professione medica; garantire la tutela dei professionisti e la sicurezza sui luoghi di lavoro; rinsaldare il rapporto medico-paziente; la definizione di un nuovo patto per la salute; l'adozione di un approccio “One Health”.

È, in sintesi, quanto di legge a conclusione del “Manifesto” unitario sottoscritto dalla quasi totalltà delle organizzazioni sindacali dei medici che a vario titolo lavorano per il Servizio sanitario nazionale, dagli ospedalieri agli specialisti ambulatoriali ai medici di famiglia ai pediatri di libera scelta, dipendenti e convenzionati.

Il documento è stato presentato sabato 25 gennaio, quando i sindacati hanno riunito i rispettivi Direttivi nazionali, e hanno annunciato la mobilitazione sotto lo slogan unitario “Investire sui medici per salvare il Servizio sanitario nazionale”.

«Nasce oggi un movimento che ci auguriamo possa essere sempre più largo e che non riconosce leadership personali o sindacali – si legge ancora nel “Manifesto” - ma si identifica in un’idea diversa di sanità, un’idea diversa di professionista. Nasce un movimento che punta a dialogare contestualmente con Istituzioni che abbiano un ruolo ben definito e con i cittadini, rispetto ai quali abbiamo il dovere e il diritto di riacquisire un rapporto che sostituisca quello economicistico verso cui è virato. Nasce oggi una mobilitazione allargata alla società, ai medici tutti».

La mobilitazione annunciata dai sindacati (Anaao Assomed, Cimo-Fesmed, Als, Gmi, Fimmg, Fimp, Sumai, Smi, Snami, Ftm) ha il sostegno della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo) e vedrà la partecipazione di Cittadinanzattiva. Inizierà con manifestazioni locali e regionali per portare «all’attenzione dei cittadini e delle Istituzioni regionali le nostre istanze, le nostre proposte, le nostre aspettative» e avrà il suo culmine a maggio, con una manifestazione nazionale a Roma.

«Non ci fermeremo – avvertono comunque i sindacati - finché non vedremo un cambiamento reale che restituisca dignità ai medici, accessibilità alle cure e un futuro al nostro Servizio sanitario nazionale».

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