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Innanzitutto è necessario ascoltarsi o “guardarsi dentro” (e guardare dentro la coppia genitoriale) per scovare quali sono le ragioni di questa scelta e per valutarne la portata educativa. Non è infrequente, infatti, incappare in alcuni errori emotivi caricando l’evento di eccessiva ansia, angoscia, terrore. Molti genitori attraverso la somministrazione del test antidroga cercano solo la conferma di quello che sospettano, sperando fino alla fine di avere torto! (Se ci pensiamo bene, si tratta di un comportamento piuttosto curioso).
Il test è uno strumento utile in alcuni situazioni, ma è pur sempre uno strumento e come tale non può neppure in minima parte rappresentare la ricchezza della relazione educativa.

Ogni risultato può variare in base a diversi fattori come il metabolismo, la tolleranza, la frequenza di utilizzo, il consumo di liquidi e la quantità e la “purezza” della sostanza assunta" nonché il tempo trascorso tra l’ultima assunzione e la somministrazione del test. Ovviamente, è necessario essere sicuri che il campione non sia stato alterato, scambiato, diluito...
E’ necessario infine sottolineare che in caso di esito positivo (presenza di cataboliti) il test non permette di costruire la storia clinica del consumatore (non sono note le modalità, il grado di implicazione e di problematicità, ecc). Per converso in caso di esito negativo (non presenza di cataboliti), significa “solamente” che il soggetto non ha consumato nella finestra di tempo indicata in tabella, ma non dice assolutamente che cosa pensa dei consumi e che scelte fa. Il test non decreta che sono stato…”un bravo genitore”. Come dire, il significato “chimico” del test non ne esaurisce quello “clinico”.
In altre parole, per affrontare il tema “sostanze” in famiglia, è bene cominciare ad affidarsi all’arte dell’ascolto e della parola, piuttosto che al mestiere del piccolo chimico!
